Ivo Dimchev

IVO DIMCHEV – P PROJECT

Pochi semplici passi. Cinque candidi piccoli quadri. Ma attenzione Ivo Dimchev non si occupa di ciò che viene disegnato all’interno, a lui interessa costruire una robusta cornice capace di contenere qualsiasi cosa possa apparire. Non siamo nel campo dell’autoralità né in quello dell’estetica. Quello che si manifesta è un piano di consistenza dove ci sono tutte le condizioni affinché alcuni accadimenti possano manifestarsi. Il come e il cosa, non sono nella premessa.
Due computer, una tastiera e un Ipad. Nient’altro.
L’inizio è volutamente fuorviante. Un uomo in tacchi a spillo vestito solo di un’esile tanga bianco e di un trasparente velo color mandarino. Parrucca e rossetto. Si siede alla tastiera. Ringrazia Dio per essere qui riuniti (come a voler insinuare che vi sia, in tutto quello che seguirà, un pizzico di ritualità) e infine da inizio agli avvenimenti. Con garbo grazioso, leggero spinge noi tutti a scivolare sul piano inclinato che lui a preparato per noi.
Vengono invitate due persone del pubblico a salire sul palco, sedersi di fronte ai computer e scrivere due poesie. “Don’t worry”, rassicura sornione “I’m not looking for a professional poets”. All’ovvia riluttanza a divenir partecipi, come incentivo, offre una piccola ricompensa – 20 franchi – Ancora un po’ di incertezza, poi la girandola parte. Un piccolo amo, un’esca, e la pesca può cominciare.
Un paio di giri in questo modo, giusto per prendere confidenza, poi si incomincia, sempre con leggerezza, quasi a voler dire: “tranquilli non c’è problema, niente di male vi può accadere”, si comincia ad alzare la posta. Chi di voi vuole salire sul pubblico e improvvisare, per cinque minuti, una piccola danza? :”Don’t worry, I’m not looking for a professional dancer?”
La posta si alza ancora, ma come al texas hold’em, il bluff si scopre solo alla fine.
Chi di voi vuole salire sul palco e baciarsi per cinque minuti, mentre io canto le poesie?
Tutto molto semplice. I poeti scrivono, i due si baciano mentre Ivo Dimchev canta sciocche canzonette. Niente è stato detto sul contenuto. Sul come baciarsi o cosa scrivere. Tutto è lecito. Ovviamente aumentata la difficoltà, aumenta anche la ricompensa: 80 franchi per un bacio.
Ma non siamo ancora giunti al culmine. Chi è ora disposto, mentre i poeti scrivono e Ivo Dimchev canta, a simulare, nudi, un atto sessuale? Duecentocinquanta franchi a testa per chi si offre. La riluttanza aumenta. Alcuni sono tentati, altri imbarazzati, alcuni perfino un po’ scandalizzati. Ivo in tutto questo è imperturbabile. Lui non va avanti finché qualcosa non accade. Lui non è l’autore, è il costruttore della cornice. Cerca solo, con un pizzico di artigiana abilità, di oliare il motore quanto basta per farlo funzionare. Alla fine, i volontari si trovano. In un nano secondo sono nudi e distesi sul materasso, pronti ad ardite posizioni da Kamasutra. Il loro compito, badate, era solamente simulare un atto d’amore. Dietro le parole interi mondi si aprono. Dal romantico sfiorarsi al porno violento. La scelta di ciò che appare e di quali forze evocare è in mano al pubblico. Un intero universo di valori prende corpo, attraverso la simulazione di una semplice azione. Ecco finalmente siamo giunti all’apice. L’atto è consumato, gli amanti vengono pagati.
Ora non resta che concludere, serenamente. Ultimo step.
Due persone del pubblico devono salire sul palco e scrivere due recensioni: la più brutta e la più bella possibile. Ovviamente: gratis. Qui si fa più in fretta a trovare i volontari. I partiti si sono formati già da tempo. Entrambe vengono lette. Gli estremi si manifestano, la cornice agli eventi è completa. Tutto ciò che poteva apparire esiste tra questi due estremi, e ciò che appare è del pubblico non è dell’autore, che non c’è. Forse esiste solo un deus ex machina in tanga e tacchi a spillo. Il contenuto, squallido o meraviglioso che sia, è determinato dalle scelte del pubblico. I compiti che vengono suggeriti sono semplici, ma dietro la semplicità si nasconde il pericolo della scelta.
Anche il compito di una critica risulta inutile. Qualsiasi cosa si possa dire su questa performance è già stato evocato tra gli estremi. Tutto è come se fosse già stato detto. Quello che si può forse dire, è che in una certa forma, con questa piéce, si è raggiunto un grado zero di autoralità, un zero che non è un nulla, ma la possibilità di un tutto. E se ciò che si concretizza in questo tutto non piace? Non resta che dire mea culpa. Ciò che appare è in noi. Se l’immagine che si rifrange nello specchio risulta orribile, la colpa non è dello specchio. Teatron è solo il luogo da cui si guarda. Nulla è specificato, come nei compiti di Ivo.

Lascia un commento