TRE UNO di Fabio Liberti con Elita Cannata, Davide Valrosso, Anna Jirmanova

Tre Uno, viene definito sul programma di sala come un viaggio. Definizione fatta tramite domande: verso cosa? Attraverso cosa? E cosa c’era dentro? Sono le stesse domande che si pone lo spettatore alla fine dello spettacolo. Un palco ricoperto di palloncini neri. Sul proscenio una linea bianca, netta. Poi una danzatrice che compie i primi passi in questo mare nero di palloncini. Segue l’entrata degli altri due danzatori, la linea diventa un quadrato che racchiude e da cui si evolve un paesaggio naif, con casette dal tetto a punta e comignolo fumante, albero in giardino e uccelli in volo. I palloncini scoppiano, diradano per lasciare lo spazio a questo paesaggio infantile ed elementare. Infine il buio in cui echeggia il suono dei palloncini scoppiati. Questo il viaggio. Una proposta un po’ troppo naif, ingenua, infantile, nel senso di rifarsi agli stereotipi iconografici dell’infanzia. Benché work in progress non sembra che questo lavoro possa riservare sorprese verso una complessità che doni spessore. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una visione basica, estremamente lineare, a un messaggio di banale ottimismo del tipo: la marea nera che circonda il nostro agire sarà rasserenata dall’azione creatrice e immaginatrice. Ma l’immaginazione proposta è costituita da stereotipi, da schemi ripetuti e frusti. Tra i lavori proposti fino ad ora alle Lavanderie a Vapore nella rassegna Permutazioni, progetto, lo ricordiamo, di residenze creative promosso da Zerogrammi e dalla Fondazione Piemonte dal Vivo, Tre Uno è sicuramente il lavoro più debole e scontato. Elias Canetti diceva: “Solo ciò che tocca la collettività nel suo insieme mi pare degno di essere rappresentato”. A questo pensiero non posso che associarmi. In questa contemporaneità afflitta da innumerevoli conflitti sociali ed economici, non servono risposte semplici e banali. Serve uno sforzo per comprendere, per poter vivere e forse solo in questo risiede una possibile funzione per le arti. Non serve a niente e a nessuno una confortevole visione, serve essere crudeli, come può esserlo un medico che incide la carne per raggiungere il male.

Foto: Fabio Melotti

Lascia un commento