stelarc

INTERVISTA A STELARC: Speciale Venice International Performance Art Week:

Questa intervista a Stelarc, uno dei maestri della Performance art, è stata da me effettuata per Passparnous durante la terza edizione della Venice International Performance Art Week di Venezia a Palazzo Mora il 15 dicembre 2016

EP: Qual è, seppur ve n’è una, la funzione della performance? Qual è la sua natura?

S: Il significato della performance art consiste nel non rapportarsi con il metaforico e con un immaginario simbolico. Si concretizza fisicamente le proprie idee. Il corpo non è solo uno strumento di espressione ma un modo di fare esperienza e, conseguentemente, deve fare i conti con le conseguenze fisiche delle tue proprie idee. Se hai l’idea di sospendere il tuo corpo con degli ami da squalo, o se decidi di inserire una scultura all’interno del tuo corpo, come nel caso di ear on arm, devi comprendere che possono esserci problemi medici, di rigetto, di infezione. Questo credo che sia il significato della performance e la differenza con la danza o il teatro: non solo espressione di sé ma corpo come veicolo di esperienza.

EP: L’approccio non rappresentativo, simbolico o metaforico è però comune anche a molto teatro, danza o alle performance di musica contemporanea. L’idea di un processo esperienziale contro un processo rappresentativo/espressivo appartiene anche alle tradizionali arti che si esprimono con il corpo dal vivo. Non c’è forse quindi un terreno comune dove incontrarsi?

S: Quello che dici è giusto, ma credo che vi sia un’ulteriore differenza. La danza o il teatro richiedono comunque la presenza di un pubblico. La performance non necessariamente, Per farti un esempio la maggior parte delle mie suspension performances non richiedono la presenza del pubblico e se a volte questo succede è casuale e non preparato o previsto. Spesso queste performance avvengono in luoghi privati o remoti e le uniche persone che assistono sono coloro che mi assistono. Nelle cities suspension certo c’è un pubblico perché siamo in posti facilmente accessibili ma non è a loro che è rivolta la performance. Per questo tipo di artisti, i performer, e io per primo non progetto una performance per un pubblico. Non c’è quindi nessun dispositivo teatrale. Non c’è questo rapporto che si instaura tra la performance e il pubblico. Nella performance si parla di installazioni corporee che non hanno lo scopo di intrattenere un pubblico.

EP: Quello che dici però è comune anche alle migliori ricerche in ambito teatrale o della danza contemporanea, dove non si ricerca l’intrattenimento o la rappresentazione narrativa di una storia o di un immaginario simbolico, ma un luogo di esperienza che amplifichi la conoscenza del mondo. Più parliamo insieme su questo argomento e più mi convinco che vi siano molti più terreni in comune che differenze.

S: In effetti quando ho iniziato questo tipo di eventi mi sono trovato molto a disagio con il termine: performance è una categoria che si riferisce molto a un modo di agire prettamente americano.

EP: Ed è in effetti un termine molto ambiguo.

S: Performance si riferisce, e contiene in sé, sempre una sorta di riferimento a un costrutto teatrale. Io preferisco usare i termini evento o azione.

EP: anche John Cage chiamò il primo cosiddetto happening Al Black Mountain College Untitiled Event

S: Si questo era molto in voga nei primi anni Sessanta. Io però credo molto nel potere delle parole e evento è una di quelle che contiene un’enorme apertura che me lo fa preferire a performance. Anche se nel mondo dell’arte contemporanea si continua ad usare in larga misura il termine performance.

EP: Perché usare il corpo come campo di sperimentazione?

S: In primo luogo questo mio corpo è convenientemente un corpo accessibile che mi garantisce di poter attuare le mie idee. Sarebbe estremamente complesso e difficoltoso se decidessi di creare una scultura con l’interno del tuo stomaco. Ci sarebbero una quantità di problemi medici che ti consentano una completa sicurezza. Vi sarebbero quindi tutta una serie di problemi e inconvenienti in più. Quindi questo mio corpo è il campo preferibile per attuare e concretizzare le mie idee. Io personalmente ho cominciato a usare il corpo perché non ero assolutamente portato per la pittura quando facevo la scuola d’arte. Tutti gli altri miei compagni di corso erano assolutamente più bravi di me nella pittura. Mi stava venendo una sorta di vero complesso esistenziale (ride). In modo meno frivolo sono sempre stato interessato alla complessa architettura del corpo. È assolutamente vero che non ero bravo nella pittura e che ho cominciato a intraprendere la via della performance per questo, ma è anche vero che quello che mi ha spinto in profondità era l’interesse per l’evoluzione dell’architettura corporea, come poteva relazionarsi con il mondo e se potesse essere un campo di azione per rendere fisiche alcune idee.

EP: Carmelo bene diceva: “il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può”.

S: (Ride) Fantastico! Io faccio quello che posso, è vero, ma sfortunatamente non sono un genio! (Ride). Ottima citazione!

EP: Cosa è cambiato nel mondo della performance da quando hai mosso i primi passi? Quali sono le tue possibili direzioni di ricerca? Quali le possibili nuove frontiere, se possiamo chiamarle così.

S: Domanda interessante. Domani sera (16 dic. 2017) presenterò una conferenza sui miei lavori che sono suddivisi in maniera logica: performance fisiche, tecnologiche e quelle implicate con la realtà virtuale. Eppure nonostante questa divisione nella mia esperienza esse si sono mischiate senza alcuna logica. Le sospensioni vengono dopo molte ricerche con la tecnologia, anzi potremmo tranquillamente dire che la tecnologia viene prima di tutto. Fin dai primi anni ’70 le mie sperimentazioni sono state fortemente caratterizzate dalla tecnologia. Non mi sono quindi mai orientato in maniera precisa e costante verso un unico mezzo o media in particolare. A volte le mie performance sono puramente fisiche, in altri casi la tecnologia o la virtualità sono assolutamente preponderanti. Non mi sono mai sentito particolarmente costretto a seguire un approccio specifico alla performance.

EP: La realtà sfugge sempre alle costrizioni e alle definizioni.

S: Sì! Esatto. Quello che dici è molto giusto. Tutto quello che ho fatto è stata sempre una fuga da ogni forma di definizione. Quando ho mosso i miei primi passi nel mondo della performance, negli ultimi anni ’60, credo di essere stato l’unico a implementare la sua ricerca con le nuove tecnologie. Quasi tutti gli altri artisti, tipo Vito Acconci per esempio, erano più interessati a a ciò che coinvolgeva la psiche, il fisico, ciò che era personale. Persino oggi molti performance artist sono coinvolti con ciò che riguarda la loro propria storia personale. Io non sono interessato a questo mio corpo particolare e specifico, né nella mia particolare persona. Questo corpo è solamente conveniente perché a disposizione. Ma non mi interessa perché è mio, non c’è io in quello che faccio. Non vi è nessuna catarsi personale, né alcuna forma di self-expression. Non è il mio corpo che è sospeso, è qualsiasi corpo sospeso. Ho sempre parlato del corpo come di un oggetto. E non come oggetto di desiderio ma come oggetto che è possibile ridisegnare, perché siamo inadeguati e assolutamente inadeguati.

EP: Pensi che l’arte possa in qualche modo influenzare la società? Mi spiego meglio: negli anni ’60 e ’70 c’erano figure di artisti che avevano un impatto largo sulla società anche verso quelle fascie di popolazione che non erano interessate propriamente all’arte: potrei dire John Cage o Carmelo Bene. Pensi che questo sia ancora possibile oppure oggi l’arte si può rivolgere solo a settori specializzati e interessati?

S: Difficile rispondere. È vero che quando ho cominciato l’intento politico nelle performing arts era preponderante. Si pensava che la’gire artistico potesse influenzare la società e la politica. Io non sono mai stato interessato a questo. Anche oggi ci sono artisti che hanno, direttamente o indirettamente, questo modo di agire. Penso a Ai Wei Wei anche se penso che il suo agire si possa definire politico più per la reazione del governo cinese e per le posizioni che assume la sua opera in Occidente. Io credo che si possa comprendere se l’arte o la filosofia siano effettivamente efficaci possa essere compreso e misurato solo sul lungo periodo. Fra cinquant’anni o venti o trenta. L’arte e la filosofia non sono mai comprensibili nel momento presente in cui agiscono se sono veramente efficaci.

Lascia un commento