Licia Lanera

THE BLACK’S TALES TOUR di Licia Lanera

Ogni volta che assisto a uno spettacolo di Licia Lanera, in questo caso Black’s tale tour, provo sempre grande disagio e sconcerto. Tale turbamento deriva dal non riuscire a far coincidere l’immagine di grande attrice pluripremiata con quanto vedo sulla scena. E le ragioni non stanno tanto in una questione di gusto, – in quanto mi sforzo come critico di andare aldilà del semplice mi piace/non mi piace, ma cerco di indagare le motivazioni, le funzioni che tengono in piedi un lavoro o un’interpretazione -, quanto piuttosto una questione di concepire il teatro e la sua funzione in maniera completamente opposta.

Per me l’attore è colui che fa, compie veramente delle azioni, delle procedure, dei processi nell’istante in cui incontra il pubblico, azioni che non sono ripetibili, ma che ogni volta mutano al mutare delle condizioni. L’attore è colui che è presente all’istante, reagisce al momento, crea mondo e pensiero con la sua azione. Attore, per me, non è colui che agisce nel contesto della finzione, simulazione, rappresentazione di altro da sé. Questo semmai compete all’istrione che come da definizione è colui che tende ad enfatizzare la propria recitazione, colui che platealmente assume atteggiamenti di finzione, declamando in maniera esagerata. E l’arte dell’attore, sempre secondo la mia opinione, non è neppure finalizzata alla self-expression, al manifestare pensieri ed emozioni dell’autore. L’attore è tramite di una questione fondamentale che riguarda il mondo di tutti, una questione sovrapersonale che obbliga tutti al confronto.

Sono queste due concezioni del teatro opposte non conciliabili. C’è un teatro che cerca la finzione, di rappresentare altro da sé, fingendo di essere quello che non si è, e un teatro che cerca una relazione con il pubblico tramite un processo, un procedimento che è sempre differente perché non reiterabile in quanto le variabili in campo sono sempre mutevoli (persone, spazi, tempi, modalità). Nel primo si cerca la fascinazione, la meraviglia, l’inganno; il secondo non cerca altro che la messa in questione del mondo, ponendo domande che si articolano fisicamente nell’agire, una sorta di prassi filosofica. Da una parte si cerca l’immedesimazione, nell’altra il dubbio.

E con questo siamo arrivati alla funzione di questo agire scenico, funzioni che stanno dietro al manifestarsi di tipi diversi di teatro. Per cosa si fa quello che si fa? Per intrattenere il pubblico? Per esprimersi? Per comunicare qualcosa? O per riflettere insieme, per cercare di comprendere il mondo e le sue contraddizioni?

Sono interrogativi importanti, non oziosi, perché sono le motivazioni che fanno la sostanza di un agire. E per dare peso e consistenza a un lavoro artistico basta come motivazione l’esprimersi, il voler dire qualcosa a qualcuno? Io mi sono dato le mie risposte, che sono mie, generate dal mio processo di vita, dalla somma delle mie esperienze. Per me dunque il teatro non è rappresentazione, mi infastidisce vedere in scena la simulazione, una recitazione affettata, un pathos eccessivo, un’interpretazione emotiva e fasulla anche quando ben eseguita.

Date queste premesse, di fronte a Black’s tale tour si è rinnovato un disagio che sorge dall’essere sul lato opposto della barricata. Non ho niente a che vedere con questo tipo di teatro, né con questo tipo di interpretazione. È quello che combatto da una vita, e quindi l’errore è stato mio, andare a vedere ciò che già sapevo non era nelle mie corde. Con queste motivazioni rinuncio a una recensione. Sarebbe ingiusto recensire negativamente qualcosa che già in partenza non approvo e mi repelle. Sarebbe come combattere i mulini a vento, vedere dei giganti dove ci sono solo piccoli mulini che macinano grano. È un’altra realtà, non è la mia battaglia. Non mi sono mai interessati gli istrioni, né gli attori che declamano coi coturni. Vengo dalla tradizione in cui gli attori agiscono, processano in ogni senso la realtà, e per far questo non servono toni altisonanti, fumi e raggi laser. È un gioco diverso, più difficile e complicato dove in palio non c’è l’ego da gratificare ma un mondo da comprendere.

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