Santarcangelo

IDENTITÀ E ALTERITÀ A SANTARCANGELO DEI TEATRI

Le interrogazioni dell’On. Fedriga e del Consigliere Regionale Foti contro il programma di Santarcangelo dei Teatri incentrato sul tema del corpo e del genere provano una volta di più, qualora che ne fosse bisogno, che l’immagine del corpo e la sua fisicità son ancora un terreno di scontro politico e ideologico notevole.

Analoghe interrogazioni si rinnovano nella loro goffaggine di tanto in tanto qualora appaiano immagini del corpo che esulano da una cosiddetta normalità. È successo, per esempio, ad Andres Serrano nel 1995 con la mostra fotografica The morgue (a cui appartiene l’immagine in testa all’articolo). Ogni giorno vediamo immagini di morti ammazzati nei cinema o in qualsiasi telegiornale all’ora di pranzo o cena, ma le immagini parziali di morti che sembrano vivi provocarono l’indignazione politica in Francia. Così come di tanto in tanto fa discutere Cattelan (pensiamo a Him, o a La Nona ora, e infine ai bambini appesi a Milano nella serie Untitled).

L’immagine del corpo fa discutere, offende, crea scompensi alla politica e alla società che tranquillamente ingurgita immagini di morte ogni giorno senza battere ciglio. Eppure un bacio omosessuale, il corpo ambiguo di un trans, un malato terminale intrappolato nel suo corpo che chiede una morte dignitosa, scatenano putiferi senza fine. Se quindi Fedriga e Foti si scandalizzano e polemizzano con il festival di Santarcangelo non stupisce più di tanto: il corpo è soggetto politico, come viene specificato nel comunicato stampa di risposta da parte delle due curatrici Eva Neklayeva e Lisa Gilardino e quindi è ovvio che l’arte se ne occupi. E se il corpo è politico lo sono anche gli atti che compie fuori e dentro la scena. Ma la questione è un po’ più ampia.

Nel 1995 per il centenario della Biennale di Venezia, si inaugura una mostra dal titolo Identità e alterità. In essa il curatore Jean Clair riunì una miriade di immagini e rappresentazione di corpi che attraversano l’arte, la fotografia, la scienza in quegli ultimi cento anni. Raggi X, fotografia, telecamere che sondano l’interno del corpo, immagini di guerra, di ospedali psichiatrici, corpi deformi, ibridi, automi, burattini, maschere. Una vera e propria teoria di inquietudini legate al corpo. Come non provarne di fronte agli archi isterici, ai tipi lombrosiani, alle deformità derivate dalle mutilazioni delle guerre, dai mostri partoriti dall’immaginazione, ma anche di fronte ai corpi perfetti, maestosi e marziali partoriti dai regimi. Il corpo e la sua immagine scatena dentro l’animo umano un terrore e passioni incontrollabili.

Pensiamo alla morbosa attrazione verso gli automi, che dal Sette e Ottocento si trasferisce nella fantascienza in Blade Runner, Ghost in the Shell e Battlestar Galactica: quella cosa che si muove, che sembra viva lo è veramente? Dove nasce la coscienza e l’identità? Essere corpo è anche essere vivo? La filosofia e la scienza, non solo l’arte, non sono ancora riuscite a dare risposte certe in merito. E quindi anche l’ambiguità sessuale incute timore. Dove tutto non è manicheamente diviso in maschi e femmine, il pensare comune si inquieta e si appassiona. Vi è tutto una scatenarsi di attrazioni e repulsioni, di scontri ideologici, intolleranze religiose, elucubrazioni filosofiche.

Il corpo scheletrico di una modella anoressica, così come quello obeso, il transessuale nella sua ambiguità, il corpo deforme da freak show, le malattie imbarazzanti: tutto diventa inquietante perché ci ricorda che non è assolutamente chiara la nostra identità. Non c’è canone che la stabilisca. Persino la genetica è ambigua. A tutti può capitare di non essere in quella calda e rassicurante divisione manichea di maschi e femmine. Soprattutto perché tale divisione non esiste. Scriveva Antonin Artaud: «nei ritratti da me disegnati […] alla testa umana ho spesso accostato oggetti, alberi, o animali, in quanto non sono ancora sicuro dei limiti entro cui può fermarsi il corpo dell’io umano».

L’On. Fedriga e il Consigliere Foti invitano il Ministero a vigilare su «eventi culturali realizzati da parte di enti […] che utilizzano finanziamenti statali […] che si qualificano come propaganda politica e di diffusione di ideologie totalmente scollegate dalla realtà e dai problemi di concreto interesse di cittadini». Ma come? Il corpo non è di comune interesse ai cittadini? Nemmeno la sessualità? Essere corpo e l’immagine di quel corpo non è di interesse? Diciamo che l’immagine del corpo che risulta dall’indagine artistica è molto più vasta, ambigua, indefinibile di quello che si pensava. E questo inquieta e scuote i pregiudizi. Ma questo non è questione degli ultimi giorni nostri contemporanei ma dell’inizio della nostra cultura. I miti greci sono cosparsi di dei ambigui, si pensi a Dioniso né maschio né femmina, dio degli opposti; pensiamo a Tiresia che primo fra tutti sperimentò la natura del maschio e della femmina; al mito di Ermafrodito, che ricordiamo era essere costituito di coppia sì maschio e femmina, ma anche maschio/maschio e femmina/femmina. E solo per elencarne alcuni. Quindi l’arte si occupa di argomenti molto vicini ai cittadini, ma di cui la politica e molta parte della società non vuole occuparsi perché significherebbe mettere mano e pensiero a qualcosa che ridefinirebbe l’essere umano, la sua sessualità e la sua corporeità. È più facile dividere tutto in maschi e femmine, sani e malati, belli e brutti. E così i corpi della Gribaudi o di Chiara Bersani diventano subito indefinibili, portatori di angosciose domande, di questioni irrisolte. Ignorarle sarebbe sicuramente più comodo e semplice. Quindi le interrogazioni politiche dimostrano solo una cosa: una costante e prevedibile pigrizia della politica ad affrontare i temi di interesse capitale per i cittadini che non chiedono definizioni ma diritti fondamentali riconosciuti dalla costituzione. E l’arte continuerà ad occuparsene finché la società e la politica non affronteranno queste immagini e le domande che comportano.

Il corpo non è solo l’involucro di carne e ossa che abitiamo, è lo scrigno delle domande fondamentali sull’esistenza. Cosa ci rende vivi? Cosa ci rende quello che siamo? Cosa si può definire umano? E soprattutto: l’immagine che abbiamo di noi corrisponde veramente alla realtà? Direi che queste sono domande capitali e se non sono di interesse ai cittadini è perché in fondo viviamo in una civiltà soporifera, addormentata nei piaceri e nelle schiavitù quotidiane, immerse in illusioni di superiorità e normalità, e dove le infinite sfaccettature della vita vengono sempre più relegate all’estremo. E quindi l’arte e i festival come Santarcangelo, come azione politica, hanno il diritto/dovere di ribellarsi e proporre immagini e riflessioni sul corpo che possano scuotere, e portino a nuove formulazioni dell’umano.

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