Ohad Naharin

MINUS 16 di Mr. Gaga Ohad Naharin

Torino Danza chiude al Teatro Regio l’edizione del 2017 e l’era guidata da Cristoforetti con l’omaggio della Gautier Dance/Dance Company a quattro coreografi israeliani. Tre lavori di grande impatto, complessità e vitalità come Uprising di Hofesh Shechter, Killer Pig di Sharon Eyal e Gai Behar, e Minus 16 di Ohad Naharin.

Non ero mai riuscito a vedere dal vivo una coreografia di Ohad Naharin e ho atteso questo appuntamento con grande trepidazione. Per cui alla fine è solo di quest’ultimo che vorrei parlare e non è per niente semplice.

Avevo visto il documentario Mr. Gaga di Tomer Heymann con materiale girato in più di sette anni, che ci regala un’immagine potente e estremamente vitale del grande coreografo e della danza gaga da lui creata. Ma un biodumentario è sempre, in qualche modo una forma di agiografia. Per farsi veramente un’idea di un tipo di danza o di teatro è imprescindibile il contatto diretto, la visione dal vivo.

Ohad Naharin non delude le attese. Minus 16 del 1999, uno dei suoi pezzi più famosi insieme a Mamootot, Arbos, Anaphase, un lavoro che si insinua nell’occhio dell’osservatore con delicata ironia, una garbata gentilezza, quasi di soppiatto.

Nell’intervallo, tra il chiacchiericcio della gente e i movimenti del pubblico che entra ed esce dalla sala, quasi per caso si nota sul palco un ballerino in frac che compie piccoli movimenti di danza. Gradualmente attira l’attenzione su di sé, le sue evoluzioni, i suoi movimenti ironici, a volte ridicoli, da cinema muto conquistano via via l’occhio del pubblico che comincia a riprendere posto.

Infine la platea è conquistata, soggiogata da quella vitalità che sola ha vinto i cento occhi di Argo del pubblico. Quando tutti ormai sono seduti e già ammaliati, ecco che subentra l’intera compagnia, uno a uno, moltiplicando all’infinito l’immagine di quell’uno che ha danzato e danza, quell’uno che improvvisamente diviene legione. Ma non è l’inizio, non ancora.

Il sipario cala e si rialza. Un semicerchio di sedie, i ballerini schierati davanti a ciascuna sedia e una voce sussurra. Qual è la linea sottile che separa la follia dalla sanità? La stessa flebile barriera che separa la fatica dall’eleganza. E poi il coro Echad mi yodea e la danza comincia.

Materiali diversi si intrecciano e si accumulano in Minus 16 di Ohad Naharin, insieme ad atmosfere emozionali diverse e contrastanti. La vita pulsa in questo lavoro, pianto e riso, tragico e comico, violenza e gentilezza. Alla grande vitalità e potenza del coro iniziale, potente come una haka degli All Blacks, segue un fine seppur a volte drammatico settetto e poi un dolcissimo pas de deux sul delicato e incantevole Nisi dominus di Antonio Vivaldi.

Ma fino a questo punto, forse, saremmo ancora in qualcosa di apparentemente consueto. Improvviso è lo sfondamento di questa coreografia in sala. I danzatori prelevano alcune persone del pubblico e intrecciano la loro danza con quella un po’ impacciata o troppo esuberante di questi partecipanti improvvisati sulle note di un cha cha di Don Swan.

Quello che accade in questo abbraccio tra danzatori e pubblico è decisamente emozionante. C’è la ragazza che sa ballare e ben si accorda con il suo partner, come il signore anziano che ci prova gusto, il ragazzo impacciato di star davanti agli occhi di tutti, la madama che con eleganza fa buon viso a cattiva sorte. Mille stati d’animo e stile esplodono sul palco animando il legame tra palco e platea.

È una deflagrazione di energie. Ecco la vera forza della danza di Ohad Naharin. La gioia di vivere nonostante il dolore e la fatica, nonostante il male del mondo. È un grido animalesco, istintuale, la voce primordiale della vita bella e crudele. Ed è anche la forza insopprimibile ed estremamente comunicativa del corpo in movimento. Un’emozione che solo uno spettacolo dal vivo può concedere. E questo Minus 16 di Ohad Naharin ci dice anche che è di tutti, non solo dei ballerini in scena, non solo dei professionisti, ma è qualcosa che abita il corpo di ognuno di noi.

Niente di nuovo si può dire su questo straordinario coreografo e artista, se non sperimentare di persona. Vedere con i propri occhi e sentire sulla propria pelle la vibrazione di energia che emana la scena abitata dalle sue coreografia. E quindi più che una recensione il mio è un invito a cercare di compiere quest’esperienza, saggiare con il proprio corpo la potenza della danza di Ohad Naharin.

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