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Marco Chenevier

QUESTO LAVORO SULL’ARANCIA di Marco Chenevier

Sabato 2 dicembre alla Dancehaus di Milano nell’ambito del festival Exister è andato in scena Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier con Alessia Pinto, spettacolo di estrema intelligenza e acume, che presenta la danza non come oggetto da ammirare ma piuttosto come esperienza che interroga, filosofia in azione, prassi del pensiero attraverso il corpo in movimento.

Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier comincia con la distribuzione di un welcome kit. Contiene vari e semplici oggetti: un’arancia, un foglio di carta A4, una pallina di carta, una galatina. Si intuisce subito che non si sarà spettatori passivi ma che in qualche modo si finirà per partecipare, ma è difficile prefigurare quanto sta per avvenire.

Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier si configura da subito come un dispositivo di crudeltà. A partire dalle due scene propedeutiche una voce spiega le regole del gioco al pubblico che ha il potere di fermare o meno quanto avverrà sulla scena. Il danzatore tirerà uno schiaffo alla danzatrice a meno che voi non lo fermiate col dissenso. A partire da questo punto il percorso diventa chiaro: è necessario prendere posizione, perfino l’astenersi è di fatto un gesto attivo e politico, una scelta.

Il pubblico è immerso in una trappola, è preso al laccio, diventa vittima e carnefice, dall’istante in cui accetta di restare e partecipare all’esperienza.

Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier contiene già nel titolo un indizio ulteriore per mappare questo territorio che via via, scena per scena, si sta costruendo davanti a noi: un’arancia, un bicchiere di latte, l’amatissimo Ludovico Van e una bella dose di ultraviolenza. Non serve lambiccarsi troppo il Gulliver per capire che l’universo evocato è quello di Arancia Meccanica e capire che quello che stiamo per subire è un vero e proprio trattamento Ludovico.

Una voce anonima da navigatore ci guida passo per passo verso un’escalation, proponendo nuove e più atroci prove: una serie di volontari sale sulla scena. Si trovano davanti a una scelta: il danzatore è intollerante al lattosio è ha in mano un bicchiere di latte. Si può fermarlo o farglielo bere per intero e in questo caso si vincono 5 € (poi 10€ fino a 20€). C’è chi lo ferma e chi no.

Altre prove si accumulano seguite da intermezzi in cui sempre la voce indica regole e procedure di intervento. Possiamo fermare la scena quando vogliamo lanciando pallette di carta o aereoplanini. Se uno solo lo fa vince dei soldi, se più di uno nessuno vince nulla. E anche in questo caso scatta una forma di crudeltà: si permetterà all’uno di vincere il danaro? Oppure proveremo a impedirglielo?

Ma arriviamo al finale in modo da non svelare tutto il processo di accumulo che In questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier porta ad accrescere la partecipazione e a alzare l’asticella di intervento del pubblico su quanto andrà ad avvenire sulla scena. Si allestisce un ambiente: una piccola piscina, un tavolo, vari bidoni di latte, dei secchi che vengono riempiti di latte, del ghiaccio in cubetti che viene gettato nei secchi di latte. Tutto bianco ospedaliero e luce abbacinante.

Si chiede al pubblico nuovi volontari disposti a spogliarsi in intimo ed entrare nella piscina. Il primo per 5€, il secondo per 10€ fino a 50€. I volontari si prestano, si spogliano ed entrano nella piscina e il pubblico può sempre scegliere se farglieli vincere oppure no. I danzatori a loro volta eseguono azioni sui malcapitati. Cosa sei disposto a fare per 5€? cosa sei disposto a fare per non farli guadagnare?

E infine la tortura finale. Un’urna, nella quale all’inizio dello spettacolo vengono raccolte delle offerte per la grande estrazione finale, viene portata in scena, così come un coltello e un cesto di arance e un piccolo cerchio nero di non più di un metro di diametro che viene posto in proscenio. Chi vuole vincere il danaro deve mettere il suo nome nell’urna e spremere negli occhi della danzatrice, legata e imbavagliata, il succo dell’arancia. Inoltre il danzatore versa su di lei i secchi di latte ghiacciato (chiaro il riferimento alla violenza sulla donna). Chi vuole impedire l’atto violento deve entrare nel cerchio e lì rimanervi dopo aver lanciato sul danzatore l’arancia contenuta nel welcome kit. Dopo sedici centri l’azione crudele si interrompe e nessuno vince; oppure può lanciare nella piscina il suo aereoplanino di carta, ma sono necessari sessantacinque centri per interrompere l’azione. Altre scelte sono possibili: stare a guardare e godersi lo spettacolo, oppure reagire infrangendo le regole.

E avviene di tutto: si fa la fila per spremere negli occhi della danzatrice inerme le arance, si viola le regole lanciandone più di una sul danzatore (azione inutile che non porta al blocco dell’azione), c’è chi entra in scena e sottrae degli oggetti per sabotare il carnefice. C’è chi seduto in scena urla consigli, inneggia, oppure inorridisce impotente. I più cercano di lanciare gli aereoplanini nella piscina non riuscendovi per la grande distanza, e quanto è inutile l’atto in sé di fronte a tanta violenza. E pure inutile aver lanciato l’arancia e restare impotenti e pigiati sul disco nero.

C’è un’opzione non considerata da nessuno: impedire l’azione con una scelta consapevole.

In questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier si costruisce un meccanismo di tortura che mette in scena la banalità del male. Tutti partecipano, tutti costruiscono il dispositivo, tutti in qualche modo sono complici del suo svolgimento, in quanto anche la ribellione in qualche modo viene disinnescata dall’inutilità dell’atto in sé. E infine si compie un percorso di mercificazione, si viene pagati per soffrire e far soffrire, si stabilisce un patto economico per subire o partecipare a un atto scellerato. Il tutto è condito da una forte dose di ironia e dimostra ancor di più che si può ridere e sorridere ed essere dei furfanti non solo in Danimarca.

Esperienza e non oggetto questo spettacolo, erlebenis che porta a galla, fa emergere dal profondo le nostre nature violente. E pone quesiti, domande scomode su se stessi e sulla società in cui si vive, società dello spettacolo in cui in massima parte esposta è la violenza e la crudeltà, violenza generata e provocata in prevalenza dal mercato.

Carnefici e prostitute, osservatori voyeur disgustati seppur eccitati, vittime condiscendenti. Meccanismo sadomaso, specchio bisturi dell’anima nera di tutti noi, Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier è spietato, non concede facili assoluzioni seppur non esprima giudizi. È semplicemente Teatron, il luogo da cui si guarda il mondo e se il mondo non piace non resta che cambiarlo, se l’immagine disgusta basterebbe distogliere lo sguardo da quello di questa scena medusa che anziché pietrificare scatena.

Questo lavoro sull’arancia di Marco Chenevier ricorda esperienze analoghe messe in atto da Ivo Dimchev (penso ad esempio a P Project), performer geniale che chissà perché frequenta pochissimo le scene italiane, e pone interessantissime questioni riguardo le funzioni e le modalità della scena. Superato il concetto di oggetto si giunge a un processo immersivo, in cui quanto avviene in scena è scelta non solo dell’autore ma anche del pubblico che non solo partecipa ma agisce. È esperienza che conduce all’emersione di una consapevolezza di sé, è specchio che restituisce l’immagine che noi vogliamo proiettarvi, è teatro crudele che scatena la peste, che incide il bubbone, è danza di Dioniso dio di tutte le contraddizioni.

Ph.@Stefano Mazzotta