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Jerome Bel Cédric Andriaux

JEROME BEL: Cèdric Andriaux e il velo squarciato sulla vita d’interprete

Jerome Bel Cédric Andriaux. Un ritratto d’interprete andato in scena in questi giorni al Teatro Dell’Arte della Triennale di Milano che, come già Veronique Doisneau, Isabel Torres e Lutz Förster, più che omaggiare una vita d’artista mette in discussione le idee e i luoghi comuni sulla danza.

Jerome Bel è un artista che in ogni sua opera riesce sempre a scuotere le fondamenta su cui si posa la danza, travalicando il genere della sua stessa arte, tanto che le sue opere si potrebbero tranquillamente dire performance e infatti vengono ospitate nei più importanti musei del mondo da MOMA di New York, alla Tate di Londra, così come a Dokumenta a Kassel.

Anche in queste vite d’artista vi è un tensione a misurare i limiti, le zone d’ombra, perfino la storia, in una forma che abita nel limine tra teatro, performance e danza. Cédric Andriaux è un interprete che ha una storia comune a molti danzatori. La passione da bambino, un talento normale che per raggiungere ottimi livelli deve formarsi con estrema fatica e sudore, l’incontro con un maestro (in questo caso Merce Cunningham), il lavoro con i coreografi. La storia di Cèdric è una storia come tante ma che vede la danza da una prospettiva del tutto trascurata: il punto di vista dell’interprete.

Cosa pensa durante sessioni di prove complicate e noiose, cosa avverte il suo corpo dopo ore e ore di allenamento estenuante che spinge il suo corpo al limite, in che modo vengono avvertiti famosi metodi e altrettanto famosi coreografi dal danzatore che li deve rendere carne in movimento. Tutti aspetti trascurati e che in fondo fanno la nervatura della storia della danza.

Quando Cédric Andriaux racconta delle sessioni mattutine del lavoro con Cunningham, sessioni che si aprono con esercizi sempre uguali a se stessi, e della noia, dei pensieri che gli attraversano il capo, degli sguardi lasciati vagare fuori dalla finestra sulle rive dell’Hudson o dietro i battelli che solcano le sue acque, non può non venire in mente quel Robert Cieslak che interrogato sulla sua interpretazione del Principe Costante di Grotowski confessava candidamente di aver pensato, nel recitare, a far l’amore con la sua ragazza.

In che modo la danza si traduce dal verbo del coreografo al corpo danzante dell’interprete? Jerome Bel Cèdric Andriaux ci concede uno sguardo clandestino su come Merce Cunningham, ormai vecchio e impossibilitato a far vedere i movimenti, si avvalesse di un computer e di come questo si allontanasse dalla realtà dei corpi, e come il metodo divenisse estenuante, logorante.

Vedere pezzi di metodo, di coreografie (frammenti di Biped e Suite for 5 di Cunningham, cosi come Newark di Trisha Brown e The show must go on dello stesso Jerome Bel attraversano il racconto/ricordo di Cèdric Andriaux), perfino i costumi originali (l’accademico tanto odiato da Cèdric), rende la danza qualcosa di fisico che si nutre più di fatica, frustrazioni e fallimenti che di successi brillanti e acclamati. Ed è in fondo il fallimento che interessa a Jerome Bel, quel momento di crisi che gli permette di sovvertire il comune pensiero sul teatro e la danza.

Quello che emerge da questo ritratto d’artista di Jerome Bel è una danza vissuta da un buon interprete nella sua quotidiana lotta per rendere vivo il pensiero dei coreografi con cui ha lavorato. Ma non solo. Il sollievo di Cèdric Andriaux nell’incontrare la morbidezza fluida di Trisha Brown dopo tanto tentar il limite estremo del lavoro con Cunningham, dice molto di come i linguaggi coreografici si incidano e feriscano il corpo dell’interprete. Così come le aspettative altissime e presto deluse nell’incontro con il linguaggio di William Forsythe.

Questi ricordi di Cèdric, che non prendono forma solo attraverso la sua voce monocorde ma divengono vita nel corpo e nello spazio al punto che quasi lo vediamo Merce Cunnigham, seduto al tavolino lì, nell’angolo della scena, che osserva l’allenamento, sono un documento inestimabile di un’arte effimera destinata a perdersi e che per secoli sono rimasti sepolti dietro il fulgore delle cronache e delle critiche così nei ricordi degli spettatori o dei coreografi medesimi. Il punto di vista dell’interprete è rimasto ombra e polvere della storia.

Colpisce l’innocente confidenza di Cèdric nel confessare che partecipare a un lavoro con Jerome Bel è finalmente la tranquillità di non preoccuparsi di farsi male, di affrontare il palco senza l’ansia di una prestazione e di poter finalmente vedere il pubblico dopo tanti anni di lavoro.

Jerome Bel Cèdric Andriaux è uno sguardo diverso sul linguaggio della danza. Illumina i materiali costituenti un linguaggio complesso e articolato da angolatura inconsueta, rivelando altre ombre e sfumature del tutto trascurate dalla norma. Lo sguardo che noi possiamo portare verso una coreografia, cambierebbe radicalmente se fossimo noi a provarla nel nostro corpo, esattamente come Forsythe diviene indigesto a Cèdric nel momento in cui gli tocca attraversarlo fisicamente.

È questo mutare di prospettiva che è interessantissimo in questi ritratti d’autore di Jerome Bel: quasi uno studio d’anatomia, una dissezione in cui emergono gli organi interni pulsanti di un’arte di cui siamo abituati ad ammirare solo la pelle lucente e ben illuminata. Noi pubblico in questo Jerome Bel Cèdric Andriaux siamo come quei dottori ne La lezione di anatomia di Rembrandt: circondiamo il cadavere dissezionato ben illuminato sul tavolo e cerchiamo di capire come il tutto funzioni.

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