El Conde de Torrefiel

EL CONDE DE TORREFIEL

Si prova sempre disagio di fronte all’apparire di altre forme di interiorità. Di fronte alle miserie che giornalmente proviamo nel nostro animo siamo fondamentalmente indulgenti. Scusiamo questi nostri momenti miserabili come passeggeri. Piccole bazzecole, defaillance, perversioni, pensieri osceni che appartengono solo al nostro intimo, di cui ci possiamo, eventualmente, vergognare in privato e di cui nessun altro è testimone.
Altra cosa è quando questo perverso legame con se stessi e le proprie debolezze viene dispiegato e reso evidente come processo comune all’intera specie. Finché le miserie sono solo personali, in qualche modo è facile scusarle, quando è l’intera specie a condividere una condizione di miserabilità, la questione si fa più spessa, ci si sente oppressi, si è costretti a farci i conti.
Gli spettacoli de El Conde de Torrefiel ci portano molto distante dall’assunto umanista di Pico della Mirandola: l’uomo tutto è tranne che un grande miracolo. È solo, impotente, ossessionato dalle sue perversioni, senza progetto. Ecco la possibilità che sparisce di fronte al paesaggio. Se l’uomo singolo può in qualche modo illudersi di essere grande, sciolto nella massa della specie, risulta nient’altro che un cumulo di oscene piccolezze.
In entrambe le piéce viste al TNT festival di Terrassa (Guerrilla e La posibilidad que desaparece frente al paesaje) si assiste ad un medesimo processo. Sulla scena delle azioni. Dei tableaux vivants potremmo dire. Immagini costruite, equilibrate, piene di gusto, a volte ironiche, sempre estetiche. Le azioni nulla hanno a che fare con i fatti narrati. Eppure alcune relazioni si instaurano. Il nostro cervello non può fare altrimenti, ma per ognuno, tale relazione è differente e personale.
Dei testi vengono sovrapposti alle azioni a volte in voice off, altre volte solo proiettati come un sottotitolo. Nel testo momenti vissute, situazioni limite seppur comuni a molti. Nel testo l’apparire del fondo oscuro che grava sull’animo umano. Il voice off racconta cose che non sono in scena, sono appunto oscene. Poco importa che queste storie siano vissute da Michel Houellebecq, che in una camera d’albergo paga una prostituta per parlare e che in questo suo conversare sostenga l’impossibilità delle arti di compiere alcunché di rivoluzionario, né che siano vissute da un anonimo ragazzo che non può astenersi più di quattro ore dal masturbarsi mentre si infila oggetti nell’ano. L’effetto nel pubblico è il medesimo: ci sentiamo un poco presi in causa e soprattutto ci sentiamo dei voyeur che assistono a qualcosa di proibito. La sensazione che si prova è di disagio. In primo luogo perché le storie sono presentate in maniera asettica, senza alcun pathos, sono semplicemente lette o scritte in un silenzio assordante. Non viene espresso giudizio quindi non viene presentata una moralità, una parte buona e una cattiva. Il tutto è amorale, non ci sono giudici, siamo tutti tremendamente uguali. In secondo luogo perché di fronte a questo cumulo di grettezza ci si sente un po’ come se non ci fosse speranza alcuna di veder l’altezza.
Da queste performance si esce scossi, urtati nel profondo e non può essere altrimenti proprio perché si è venuti a contatto con il magma oscuro che opprime il nostro essere umani. Tutti ugualmente immersi in un’oscura mota. Senza scampo.

Intervista a Tanya Beyeler regista de El Conde de Torrefiel

EP: Partiamo da Guerrilla: da una parte un’atmosfera tranquilla dall’altro un fondo oscuro e inquietante che emerge.
TB: Stiamo lavorando sull’idea della contemplazione del paesaggio. Paesaggi interiori, paesaggi esterni. Vogliamo lavorare sulla dicotomia tra mondo individuale e il mondo diluito nella massa. Abbiamo lavorato a diverse Guerrillas, a diversi episodi in cui ci sono parecchie persone in scena che fanno la stessa cosa mentre si proiettano testi in relazione a cose molto intime. Dunque quello che si vede, il paesaggio, è qualcosa di molto tranquillo, ozioso, mentre il testo parla di qualcosa di molto più oscuro, molto più violento. Si parla di esperienze di vita, ricordi, ideologie e forme di pensiero il tutto molto relazionato con la perversione, o con quello che si considera perversione.

EP: Parlando invece de La posibilidad que desaparece frente al paisaje qual è l’intenzione? Come è stato realizzato?
TB: Noi abbiamo cominciato il percorso con Guerrilla e perché volevamo molta gente in scena. Poi per motivi logistici, economici e di produzione non p stato possibile. Quindi la piéce finale, il risultato di questo processo di un anno derivato da tutte queste azioni di Guerrilla è una performance con quattro attori. I temi che si sono lavorati, ciò che si trova nei testi e l’esperienza dello spettatore è un po’ sempre la stessa: contemplare un paesaggio nei suoi vari livelli. Noi volevamo lavorare su questo tipo di contemplazione: star seduti, un po’ voyeur, a guardare qualcosa che normalmente non hai la possibilità di guardare. Normalmente in scena c’è un tipo di conflitto, una tensione, noi abbiamo scelto di mettere il conflitto da un’altra parte. La scena è quindi molto tranquilla, rilassata, non c’è un’urgenza patente. É il testo che mantiene una tensione.

EP: Possiamo dire che in entrambi i lavori si mantengono come due linee differenti: da una parte l’azione, dall’altra il testo che procedono paralleli e indipendenti?
TB: Sì di solito la compagnia lavora in questo modo. Abbiamo cercato di spostare il conflitto all’interno dello spettatore. Tutto succede nell’animo dello spettatore. In scena è tutto molto tranquillo. È assolutamente un’esperienza estetica. Il conflitto risiede tutto nello spettatore che assiste e legge o ascolta i testi.

EP: A partire da questi lavori qual è il processo che intendete realizzare nel futuro?
TB: Avere tanta gente in scena. È questo il nostro obbiettivo. Per ora questo è complicato per ovvi motivi. La Spagna è come l’Italia. La cultura non è al primo posto, né al secondo e né al terzo. Comunque questo è sicuramente il prossimo passo: allestire degli spettacoli con tanta gente in scena.

EP: Qual è secondo te la funzione del teatro nella contemporaneità?
TB: Io penso che il teatro stia ancora cercando un posto nella contemporaneità, nella storia o nell’umanesimo contemporaneo. Quello che io vorrei è assolutamente un ponte, un passaggio, una possibilità di libertà mentale. È questo è importante in un mondo che è abbastanza saturato, che ha bisogno di tante regole, dove tutto è molto compartimentato. È bene avere un luogo di libertà se non fisica almeno mentale.
Il valore comunque delle arti in vivo è che sono, appunto in vivo, dove un gruppo selezionato di persone condivide uno spazio e un tempo e assiste a qualcosa di irripetibile.

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