Archivio mensile:Gennaio 2022

Teatro di Sacco

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A TEATRO DI SACCO

Per il nono appuntamento di Resistenze Artistiche, andiamo nel cuore verde dell’Italia e precisamente a Perugia, in Umbria per incontrare il direttore Roberto Biselli e l’organizzatrice Biancamaria Cola, i quali organizzano insieme anche la rassegna estiva Todi Off all’interno del Todi Festival.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Potete raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conducete in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

È stato molto difficile, specialmente riprendersi dopo il secondo lockdown poiché l’attività in presenza è fondamentale per gestire “a cuore caldo” la nostra attività.

Noi dirigiamo dal 1995 uno spazio teatrale perfettamente agibile in pieno centro storico, a Perugia che è il fulcro del nostro agire artistico, sede di laboratori, incontri, progetti, nonché di una rassegna di teatro e danza d’autore INDIZI. Purtroppo, a causa del contingentamento, non è stato possibile condurre alcuna attività e abbiamo dovuto gestire molte iniziative on line, modalità di sopravvivenza certo, ma non funzionale a ciò che riteniamo il contatto emotivo con la nostra “utenza”.

Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Come detto abbiamo sperimentato le modalità webinar che continuiamo ad utilizzare ancora adesso, con molti dubbi e perplessità. Già il fare teatro è divenuto, storicamente nel nostro paese, un progetto di nicchia dell’agire sociale, fargli dunque perdere anche quella necessità umana e fisica gli ha certamente “fatto del male” aggravando uno stato di cose già da tempo in grave crisi.

Certamente aver partecipato ad una serie di incontri on line, di rivendicazioni, di definizione di istanze comuni, di riconoscimento con altri artisti e operatori sull’intero territorio nazionale, ha contribuito a sopravvivere a quest’assenza, salvo poi riscontrare che il livello di consapevolezza del nostro settore latita in generale e di fatto solo lo stato di necessità economica aveva costruito una solidarietà alla fin fine abbastanza volatile.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

Qui in Umbria il teatro, lo spettacolo dal vivo in generale, non è certo un settore privilegiato e le poche istituzioni, che dovrebbero occuparsi della sua tutela e sviluppo, dovrebbero sostenere, oltre al Teatro Stabile, anche medie e piccole realtà culturali che costituiscono l’humus del nostro territorio. Ci si auspica che, in un futuro prossimo, la politica del Paese e, di conseguenza quella locale, possa intervenire in maniera funzionale alla sostenibilità del settore.

Teatro di Sacco, già dal primo lockdown, ha avuto l’attenzione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Perugia con cui ha collaborato alla realizzazione di pillole di teatro, presentate al pubblico attraverso il webinar. Questa attenzione continua anche nelle azioni future che stiamo realizzando come la Stagione INDIZI e altre attività di produzione teatrale e di eventi.

Va sottolineato però che, in generale, l’attenzione per gli spazi o le compagnie indipendenti è carente, in più, da sempre, esiste una mancanza di relazione attiva fra i soggetti che operano con grande difficoltà nei vari territori, così che l’isolamento e la separazione, che di fatto caratterizzano questo settore, non contribuiscono a creare un terreno comune di sostegno e di vicinanza e una rete funzionale alla creazione di un progetto “altro.”

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?

La ripresa delle attività dal vivo – spettacoli, laboratori, incontri – è stata molto funzionale nel riprendere il filo con il pubblico, abbiamo riscontrato, infatti, una grande volontà di partecipazione e di voler essere di nuovo coinvolti in un progetto attivo.

Nell’assenza il web ha funzionato da collante e la buona memoria delle attività proposte negli anni precedenti ha fidelizzato l’attenzione del pubblico, anche attraverso pratiche parallele, ad esempio serie in webinar realizzate in collaborazione con gli Enti Locali, corsi dedicati al mondo della formazione lavorativa, del mondo delle imprese, dei corsi di formazione post diploma superiore.

In compagnia dei lupi, Laboratorio Teatro di Sacco 2019-2020

Quali sono le vostre aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Diciamo che continuiamo ad essere ottimisti ma anche realisti: il nuovo decreto non risolverà la problematica legata agli investimenti del comparto culturale. In dettaglio: se si considera la fattispecie legata alla produzione teatrale di teatri medio-piccoli, un grande problema resta la gestione dell’attività di distribuzione. La pandemia ha solo scoperchiato il vaso di Pandora: le difficoltà del settore dello Spettacolo dal Vivo permangono a prescindere o meno dallo stato di emergenza dovuto alla pandemia. Si tratta di capire, oltre ai sostegni, come ripensare ad un sistema virtuoso che possa garantire sostenibilità al nostro settore.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la vostra opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Come sempre, in Italia grande è la disattenzione verso il mondo delle periferie, come se la produzione culturale si concentrasse esclusivamente nelle grandi città. Esistono una serie di attività collaterali che rendono vivo e attivo un professionismo teatrale gestito con un profondo legame con il territorio, capace di produrre iniziative e progettualità che forse nei grandi ambiti metropolitani avrebbero un tempo e un luogo diverso nel costruirsi.

Il nostro progetto si articola non solo con repliche di spettacoli, ma con continua attività laboratoriale, di corsi dedicati a diversi comparti della formazione e comunicazione, oltre a un avviata e concreta progettualità europea e alla costruzione di eventi site specific, rassegne, festival e incontri non quantificabili sul piano delle logiche ministeriali, ma davvero cuore pulsante di un lavoro professionale che si muove su un intero anno di attività.

Costruire dei nuovi parametri per l’accesso ai contributi del Ministero della Cultura per supportare la produzione e l’intera progettualità di soggetti che operano in ambiti poliformi – quanto mai necessari per una sorta di resistenza globale delle arti performative in Italia- è assolutamente indispensabile. Un patto di sostegno per le periferie è una delle poche strade percorribili per restituire dignità lavorativa al di là di logiche spesso legate ad una rendicontazione numerica che non restituisce la forza e l’impatto dell’intera progettazione sull’intero territorio nazionale.

Allo stesso tempo anche il mondo degli osservatori critici del fenomeno teatro in senso lato, pur essendo ormai ridotti di numero e di reale impatto sulla “pubblica opinione”, dovrebbe dare un segnale forte verso una considerazione più allargata e realmente più attenta a raccontare il presente, come detto molto spesso “agito” in luoghi periferici, meno canonici del paese ma spesso degni di una maggiore “narrazione”.

CHI SIAMO

Il Teatro di Sacco è una compagnia teatrale professionale fondata nel 1985. Ha sede a Perugia dove gestisce uno spazio teatrale agibile nel centro storico della città dove si svolgono molte delle sue attività, rassegne, incontri, laboratori.

Produce spettacoli, eventi site specific, progetti europei, festival, progetti speciali.

Ha sempre creduto che glocal fosse un concetto significativo proprio per riconoscere l’unicità e la specificità di un luogo, un’idea, un progetto.

Dalla sua fondazione cerca di trovare una corrispondenza in una regione difficile, chiusa, isolata, trovando però altresì le stesse difficoltà, chiusure, isolamento anche in altri luoghi e in altri spazi di questo nostro piccolo paese teatrale, sempre più al margine dei processi culturali, della relazione con il pubblico, apparentemente sempre più richiuso a riccio dentro se stesso, incapace di fare “squadra” politico-culturale anche nel tempo della più grande crisi che il nostro sistema paese abbia mai attraversato.

Continua, comunque, a sognare.

Teatro delle Moire

RESISTENZE ARTISTICHE: INCONTRO CON IL TEATRO DELLE MOIRE

Per l’ottavo appuntamento di Resistenze Artistiche si torna a Milano per incontrare Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani, le due anime de Il Teatro delle Moire e di Danae Festival.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Lachesi Lab

Potete raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conducete in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Inizialmente ci siamo sentiti tramortiti: il nostro spazio di lavoro LachesiLab si è svuotato di tutte le attività, tranne quella relativa alle residenze artistiche; il nostro lavoro sulla formazione che ha come oggetto principale l’indagine sul corpo e sul movimento è stato interrotto e ad oggi non ha ancora ripreso; su Danae Festival 2020 che debuttava il 24 ottobre, si è abbattuta la mannaia dell’ennesimo decreto del 25 ottobre che ne ha impedito la prosecuzione.

In questa catastrofe che ha visto anche lo stop della produzione artistica, tuttavia la necessità di invenzione, di stare in un movimento di creazione e di studio ha trovato dei canali inediti attraverso cui esprimersi: nel dicembre 2020 abbiamo ideato Danae InOnda, un progetto digitale che non fosse la traduzione in streaming di quanto era venuto a mancare; abbiamo contribuito alla creazione di una comunità insieme ad altri soggetti non solo dell’ambiente teatrale, all’interno della quale è stato ideato un progetto radiofonico di podcast (RadioVisione) e sono state progettate pratiche performative innervate nel tessuto urbano (progetto (Non) è la fine del mondo)

Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

In questo tempo abbiamo comunque sentito la necessità di fermarci e di stare in ascolto, non preoccupandoci nevroticamente di immaginare subito soluzioni in velocità. Abbiamo ritenuto importante trovare modi per contattare artisti e artiste a noi vicini e vicine, scambiare con loro sensazioni e riflessioni. Abbiamo cercato di concentrarci su pratiche corporee non solo per tenerci in esercizio ma anche per restare collegati a noi stessi.

L’atteggiamento è stato quello di guardare a ciò che stava accadendo, di entrarci dentro fino in fondo, senza fare finta di niente e di conseguenza cercare di capire che cosa in questo scenario avesse ed abbia ancora senso dire o fare. Non abbiamo le risposte, le domande sono ancora aperte.

Sicuramente la pandemia ha messo in evidenza tutte le falle e le incongruenze del nostro sistema di fronte alle quali non sembra esserci stata nessuna presa di coscienza collettiva. Ma crediamo che il sistema teatrale sia solo la punta dell’iceberg di un problema molto più vasto che è culturale, l’idea che questo paese ha e propone della cultura.

Proprio per questo, ciò che è ancora importante fare per noi è stare accanto a quelle esperienze eccezionali spesso poco visibili che noi amiamo definire come “sottobosco”.

Inoltre pensiamo sia necessario, ora più che mai, offrire l’opportunità di avvicinarsi alla “cosa artistica” in un modo differente, entrando nei processi, nella prassi confrontandosi con percorsi nei quali risiede la possibilità di apertura del pensiero, di riconoscimento nell’altro, nelle comuni domande e fragilità.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

La risposta delle Istituzioni non è stata univoca. Da una parte si è cercato di venire incontro all’emergenza attraverso ristori, qualche semplificazione burocratica, nuovi bandi per nuove progettualità legate alla pandemia, dall’altra, c’è stata una diminuzione dei contributi, se non addirittura l’azzeramento relativi alle attività storiche.

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il vostro pubblico?

Avendo un pubblico piuttosto fidelizzato abbiamo cercato di raccontare attraverso newsletter e pubblicazioni sui social quanto ci stava accadendo. Questo ha permesso, in alcuni casi, di scambiare pensieri e riflessioni con molte persone che da sempre seguono le nostre attività, creando un legame più stretto.

Nonostante Danae Festival nel 2020 abbia dovuto sospendersi, abbiamo cercato di offrire una progettualità online che non avesse a che vedere però con lo streaming. Questa esperienza che abbiamo chiamato Danae InOnda è stata rinnovata nel 2021 e proseguirà nel prossimo triennio, intrecciandosi con altre esperienze nate durante la pandemia come ad esempio RadioVisione.

Sempre attraverso RadioVisione è stato possibile gettare un ponte tra noi e chi ci ha sempre seguito, invitando all’ascolto della trasmissione Cavalieri nella tempesta nella quale l’incontro di esperienze e scelte fuori dai sentieri più battuti, le riflessioni sul presente e su futuri possibili, ci hanno sicuramente permesso di sentirci vicini.

Violently Snow White

Quali sono le vostre aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Non abbiamo aspettative. Proseguiremo l’attività del Festival finanziata dal decreto, con le solite problematiche e difficoltà. Proviamo ancora a inventare modi per fare il nostro lavoro, creiamo alleanze, guardiamo ad altre esperienze possibili, ma è chiaro che bisognerà capire fino a che punto si potrà agire nella costante riduzione.

Contemporaneamente si sono fatte più urgenti delle riflessioni sulle modalità del nostro operare, sul precisare sempre di più il nostro campo di intervento, mantenendo saldi i principi che muovono le nostre azioni. Tuttavia le domande non possono più riguardare semplicemente la sorte del teatro o dei teatranti perché quanto sta accadendo pone interrogazioni più ampie sul nostro modo di stare al mondo, coinvolge le nostre esistenze in modo totale e mette in discussione la nostra relazione con il pianeta e con tutto il vivente. È necessaria una trasformazione. E sicuramente noi non siamo quelli di prima, qualcosa è già cambiato e non sappiamo dove tutto questo ci condurrà.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la vostra opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Quello che non si è fatto e che non si è voluto (non potuto) fare è mettere tutto il sistema in discussione, lanciandosi alla rincorsa di un’attività spasmodica, assumendo la pandemia come alibi. La ripresa! La ripresa!

La nostra impressione è che le grandi strutture teatrali, che già prima della pandemia godevano di alcuni privilegi e le realtà artistiche “sulla cresta dell’onda” abbiano paradossalmente, grazie alla pandemia, migliorato la propria condizione, accumulando talvolta delle risorse o moltiplicando esponenzialmente la propria attività. Lo scenario che si prospetta è che queste realtà avranno sempre più opportunità, a discapito di una serie di esperienze artistiche eccellenti e di spazi virtuosi più piccoli o meno visibili, ma non per questo meno importanti, che invece rischiano di sparire per sempre. Ma può un bosco sopravvivere senza il prezioso lavoro sotterraneo del sottobosco?

Chi siamo

Siamo Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani e nel 1999 fondiamo il Teatro delle Moire. Ci affiancano col tempo sulla parte organizzativa e amministrativa Anna Bollini e Barbara Rivoltella in modo continuativo e molte altre persone e professionalità a seconda dei progetti. Ci occupiamo di indagare nuove forme di linguaggio non solo con la produzione di nostri spettacoli per la sala, installazioni e performance per spazi urbani e luoghi non convenzionali, ma anche attraverso di Danae Festival, un progetto internazionale multidisciplinare nato nel 1999, che sostiene e presenta progetti di creazione contemporanea dai linguaggi “ibridi”. Da alcuni anni ci interroghiamo spesso sul senso del nostro fare e siamo piuttosto insofferenti al sistema teatrale, a maggior ragione adesso. Abbiamo sicuramente la necessità di coltivare una relazione di prossimità con gli artisti e le artiste, per conoscere il loro lavoro e creare talvolta assieme le condizioni per un intervento non necessariamente spettacolare. Dal 2008 abbiamo acquisito uno spazio di lavoro, LachesiLab, un luogo aperto a incontri e scambi, dove gli artisti e le artiste trovano le condizioni per conoscersi, imparare, creare, prendendosi il tempo per la ricerca.

Ci piace definirci agitatori culturali perché siamo stati anche motore di azioni artistiche e politiche realizzate su base comunitaria a partire da altre logiche rispetto a quelle che regolano il sistema e nella più completa gratuità.

Link:

teatrodellemoire.it

danaefestival.com

nelcuoredellanotte.it

Carrozzerie | n.o.t .

Resistenze Artistiche: incontro con Carrozzerie | n.o.t

Per il settimo appuntamento di Resistenze Artistiche ci spostiamo nella capitale per incontrare Francesco Montagna e Maura Teofili di Carrozzerie | n.o.t .

Piccolo miracolo frutto di saggia (auto)gestione e spazio a vocazione multidisciplinare o, meglio, votato a superare le divisioni dei generi, Carrozzerie | n.o.t si situa nei pressi di Ponte Testaccio e ha saputo negli anni intessere uno stretto rapporto con il proprio pubblico ma anche con gli artisti che in quel luogo si sentono a casa.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche, lo ricordiamo, si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.





Carrozzerie | n.o.t . Interno

Potete raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conducete in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Durante il primo lockdown siamo rimasti praticamente fermi, come in letargo, rifiutando quasi completamente la conversione delle attività sulle piattaforme virtuali. Abbiamo fatto pochissimo, scegliendo con grande attenzione cosa proporre in una fase tanto delicata (due i progetti realizzati Geografia Privata e Martiri Metropolitani – https://www.carrozzerienot.com/notsoopen -), ma soprattutto abbiamo atteso, osservato, sfruttato questo tempo lento per riprendere a ragionare e rimettere a fuoco la nostra principale responsabilità come spazio culturale; quella di esserci, di fare tutto il possibile per offrire momenti di incontro e scambio reali alle persone. Abbiamo capito, dopo un primo momento di smarrimento (condiviso da ogni persona sulla faccia della Terra) che era nostra responsabilità fare quello che si poteva fare nel modo più concreto possibile, anche se in forma minima: se potevamo abitare lo spazio in massimo tre sarebbe valsa comunque la pena abitarlo in tre. Abbiamo provato a vivere in presenza ogni attimo possibile.

Sia dopo la prima che dopo la seconda chiusura (forse ancora più traumatica per le attività culturali che stavano cercando di riprendere un discorso) non appena è stato consentito, abbiamo quindi cercato di tornare a rendere vivo e pieno lo spazio di Carrozzerie | n.o.t con tutto quello che si poteva svolgere in presenza secondo le normative vigenti: prove, allestimenti, spazi residenziali, etc.

Abbiamo dovuto attendere molto di più per far ripartire in presenza le attività di formazione professionali e non professionali, che – assieme a quelle artistiche – sono per noi il cuore dell’attività, ma abbiamo cercato di ricostruire con grande attenzione e con scelte non sempre facili il momento della ripresa, consapevoli della grande necessità di relazione che si è sviluppata nel frattempo nelle persone per essere pronti a riceverla e stimolarla con proposte in ascolto e sensibili.

Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Abbiamo cercato di sfruttare questo ritmo inimmaginabile per approfondire i nostri ragionamenti curatoriali e per mettere a fuoco la dimensione più profonda della funzione di Carrozzerie | n.o.t rispetto alla città e all’ambiente in cui agisce. Abbiamo provato a prendere tempo e rimodulare alcune idee. Si ha sempre l’impressione di voler far entrare un elefante in una cinquecento ma abbiamo cercato di mettere a fuoco cosa era fondamentale per noi e per le persone a cui vogliamo rivolgere le nostre proposte (ovvero quasi tutte o almeno sempre una in più di ieri) per poi fare quasi tutto come prima. Cadenze regolari, spazi di immaginazione, momenti di pura astrazione guadagnati con grande pazienza.

Voler trasmettere il valore e le potenzialità delle pratiche artistiche e del teatro come stimolo di relazione e di ragionamento sul mondo a più persone possibili, far sentire a tutti che questi linguaggi sono rivolti anche a loro e sono per loro delle possibilità espressive uniche per reimmettersi nel mondo e guardarlo con occhi nuovi, offrire una possibilità di accesso al ragionamento e alla bellezza nella profonda convinzione di quanto questo possa significare per ciascuno…

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

La nostra struttura non ha mai percepito finanziamenti pubblici prima della pandemia; abbiamo sempre lavorato in totale autonomia facendo derivare dall’attività tutte le possibilità di sostegno agli artisti e svolgimento di nuove proposte laboratoriali o di spettacolo. Alla luce delle chiusure imposte, invece, nella totale impossibilità di far fronte alle spese di gestione e all’affitto dello spazio ci siamo avvalsi delle fondamentali opportunità di sostegno che sono state proposte dalle diverse Istituzioni

Abbiamo dedicato molta attenzione al rinvenimento delle risorse per poter traghettare Carrozzerie | n.o.t come spazio fisico e progettuale attraverso questa situazione e abbiamo partecipato a tutte le iniziative di aiuto economico corrispondenti alla nostra attività risultando idonei ai contributi messi a disposizione del Ministero della Cultura con l’Extra FUS, del Comune di Roma con il Bando Programmi e da alcune iniziative della Regione Lazio per le associazioni culturali. Questi fondi – erogati a fronte dell’emergenza e quindi con criteri del tutto specifici – ci hanno permesso di rimanere aperti e di provare a rilanciare le nostre attività e di dare continuità alla proposta con iniziative calate rispetto alla normativa vigente.

Per rispondere alla seconda parte della domanda dobbiamo ammettere che – come singola realtà – non abbiamo né abbiamo avuto contatti diretti con nessuna di queste istituzioni; tuttavia diverse organizzazioni di categoria si sono fortemente battute per rappresentare situazioni specifiche di piccole realtà come la nostra presso di loro e gli strumenti messi in atto ci sono sembrati il risultato di un livello di ascolto importante.

Il nostro dialogo più diretto rimane quello con altre realtà culturali del territorio (come TdR, Romaeuropa Festival, ATCL) che con la disponibilità ad immaginare e realizzare assieme attività e forme di affiancamento alle compagnie emergenti hanno permesso in parte di mantenere attivo il pensiero di Carrozzerie | n.o.t e di mettere in pratica molto del sostegno agli artisti e alle nuove progettualità sceniche che altrimenti non avremmo potuto veder accadere in questo difficile biennio.

Ora che possiamo ripartire con le attività regolari vogliamo fortemente riprendere la linea di autosostentamento e di relazione fra le attività di Carrozzerie per tornare ad esprimere quanto possiamo in connessione con la presenza e la partecipazione delle persone che frequentano, animano e in sostanza sono Carrozzerie | n.o.t


Carrozzerie | n.o.t . Foyer

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il vostro pubblico?

Durante i periodi di lockdown prima e chiusura poi, il dialogo è rimasto attivo, nel modo più diretto che si possa immaginare: siamo stati sommersi di telefonate, mail, confronti su zoom. L’affetto e la partecipazione delle persone ci ha sorpreso per sensibilità e vicinanza. Abbiamo fatto tesoro di questo slancio, privilegiato l’ascolto e raccolto l’occasione per essere ascoltati. Abbiamo provato ad ammettere le nostre paure, a ricordarci grazie alle voci di artisti e persone comuni quanto fossero immerse in quelle degli altri, senza farci schiacciare da sensazioni orrende come la perdita di senso. Abbiamo provato a mantenere alta la promessa di bellezza e di incontro che sempre cerchiamo di mantenere con le persone che frequentano Carrozzerie e ad essere felici per quel che poco che potevamo fare e lo siamo stati, con onestà.

Quali sono le vostre aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Il presente è l’unica cosa che ci riguarda.

Se gli vuoi anche solo un po’ di bene diventa futuro da solo.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la vostra opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Noi non presentiamo domanda al Ministero in nessuna sezione.

È molto difficile mantenere un’attività culturale autosufficiente, pone dei limiti, ma consente anche di tentare di mantenere il ragionamento quanto più libero possibile dalle logiche fissate dai parametri del decreto.

Sarebbe stato bello se – anche a fronte del grande ascolto dimostrato in pandemia – le nuove disposizioni avessero dimostrato di voler riconsiderare il sistema (super)produttivo che ha schiacciato, vessato e umiliato negli ultimi anni molte formazioni artistiche teatrali. Riconsiderare il tempo della produzione artistica e la tutela delle opere già realizzate, ci sembra davvero fondamentale per non vanificare energie creative e discorso artistico. Creare e ricreare e ricreare come se ci fosse una fonte infinita da cui attingere, come se la terra per dare frutti non dovesse mai riposare. La creazione è un tempo lento a volte improvviso, ma certamente non costante. La grande occasione persa in questo tempo sospeso è stata proprio quella di non trovare il modo per dare spazio al pensiero artistico, al momento della creazione tornando a privilegiare solo il dato produttivo e numerico, la visione del teatro come mercato su cui mettere un prodotto e ottimizzarlo, spremerlo e prosciugarlo. Quasi sempre troppo rapidamente.

Non possiamo chiedere a nessuno di essere un albero che fa frutti ogni anno. Forse, non dovremmo chiederlo neanche all’albero.

Nuovo Teatro Sanità

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A MARIO GELARDI

Sesto appuntamento per Resistenze Artistiche, questa settimana con lo sguardo a Sud, verso Napoli, per incontrare Mario Gelardi, direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità, una realtà nata nel 2013 in un quartiere ricco di forti contrasti e ora punto di riferimento per i giovani del quartiere. Nuovo Teatro Sanità, la cui sede si situa in una chiesa del Settecento, si contraddistingue per una forte attenzione verso i giovani, sia nella produzione, sia nell’aspetto formativo.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche, lo ricordiamo, si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Mario Gelardi, direttore artistico Nuovo Teatro Sanità

Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Ovviamente in pieno lockdown, soprattutto il primo, siamo stati completamente chiusi. Ognuno di noi aveva problemi familiari da affrontare, che venivano prima del teatro. Abbiamo pensato di fare da soli un fondo di solidarietà e dividerci tra tutti il poco che avevamo in modo da poter andare avanti.

La prima apertura per noi doveva essere un momento molto importante, ricco di collaborazioni perché le esigenze legate al numero limitato di posti rendevano comunque impossibile la riapertura. Il Teatro Stabile di Napoli ci ha prodotto uno spettacolo a cui tenevamo molto A freva – La peste al rione Sanità e a cui stavamo lavorando prima del lockdown, durante l’estate; il Museo Madre ci ha aperto le porte per progetti comuni. Altri hanno promesso molto ma poi si sono sottratti agli impegni presi.

Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Sicuramente c’è stato un ritorno alla scrittura, la necessità di esprimersi era tanta e scrivere è la mia forma espressiva e soprattutto una valvola di sfogo. Come teatro ci siamo fatti promotori di molte iniziative legate a giovanissimi drammaturghi, molti dei quali debutteranno in questa stagione con un loro spettacolo.

Il mio punto di riferimento è sempre stato quello di non far finta di nulla, come artista ed essere umano. Quello che era successo intorno a noi doveva diventare stimolo nel racconto del presente. Come direttore del Nuovo Teatro Sanità ho anche cercato di tener stretta la piccola comunità di artisti che si è avvicinata a noi in questi anni.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

Il Comune di Napoli, come sempre ha fatto, si è contraddistinto per la sua totale assenza sia umana che professionale. Quando ci siamo resi conto che il Ministero non aveva previsto aiuti per i teatri sotto i cento posti, dopo aver fatto presente la cosa in più occasioni, abbiamo chiesto aiuto a chi aveva spazi più grandi o la possibilità di farci uscire dal nostro teatro. Penso tra tutti al Teatro Pubblico Campano che è sempre stato in ascolto e in aiuto e il Campania Teatro Festival che ci ha ospitato.

In linea di massima credo che questa esperienza abbia incattivito il mondo del teatro, portando a una sorta di cannibalismo dei grandi verso i piccoli.

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?

Abbiamo fatto dello storytelling. Il nostro pubblico ci conosce, ci identifica, ha un rapporto diretto con noi. Abbiamo iniziato a scrivere storie insieme ai giovani drammaturghi di Dramma Lab, abbiamo inciso brevi podcast che potessero far compagnia.

Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Non siamo di quelli che hanno giovato di bonus durante il Covid, quindi essenzialmente non cambia niente. Le difficoltà sono tante, la volontà dell’istituzione è ancora una volta quella di fotografare il teatro del passato e di non leggere, intuire, avere la lungimiranza di dove il teatro vada. Crediamo sempre di più che la produzione di spettacoli fine a se stessa non abbia senso. Crediamo nei progetti da condividere con gli artisti, anche per tempi lunghi.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

È stato ammirevole il lavoro che hanno fatto molte associazioni di categoria, cercando di affermare delle regole che gestissero il nostro lavoro. Purtroppo mi sembra che l’ascolto non si sia trasformato in azioni operative da parte del Ministero. Sono state riconosciute molte nuove istanze, ma non basta. La fotografia della situazione del teatro contemporaneo resta a fuoco sulle grandi strutture e sfocata per le piccole realtà. Credo che per i teatri indipendenti le difficoltà aumenteranno, ma mi auguro di sbagliarmi. Vedo come sempre un balletto di nomine, che è un po’ un gioco dei quattro cantoni.

Anna Albertarelli

Resistenze Artistiche: intervista a Anna Albertarelli

Quinto appuntamento per Resistenze Artistiche. Questa settimana siamo a Bologna per incontrare Anna Albertarelli, un’artista di grande sensibilità e un’eccellente pedagoga. Negli anni ’90 comincia come danzatrice e performer la poliedricità dei suoi interesse la porta a esplorare aspetti sociali e antropologici del vissuto umano attraverso azioni performative/ laboratori. Le sue azioni si svolgono prevalentemente nei progetti Corpo Poetico, ricerca per altri movimenti nel campo Danza, Teatro, Disabilità, Integrazione, e Inside<>Outside corpo reale-corpo virtuale, percorso dedicato agli adolescenti.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche, lo ricordiamo, si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Corpo Poetico Incursioni Urbane

Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

La mia attività si svolge prevalentemente nelle scuole e o contesti socio educativi, per cui molti progetti specialmente nel primo lockdown si sono dovuti fermare. La modalità su zoom specialmente per i laboratori/progetti con gli adolescenti non erano di aiuto, perché i ragazze/e già sazi e alienati da 8 ore di pc giustamente non mostravano interesse. Con i progetti con la disabilità molti centri diurni o associazioni a cui faccio riferimento non potevano svolgere attività. Risultato: nel caso degli adolescenti aumento degli stati depressivi e di ansia nonché demotivazione verso l’istituzione scuola. Per quanto riguarda le persone fragili con disabiltà totale: isolamento. Da parte mia ovviamente un netto abbassamento delle risorse economiche poiché erano tutti contratti a progetto. Mi piace ricordare sempre che questo è un mestiere e non un passatempo o hobby o volontariato.

Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Per quanto riguarda i progetti con adolescenti alla luce dei bisogni e necessità che mi dimostravano ho deciso di svolgere attività solo outdoor, e anche con neve, pioggia, vento, ci siamo sempre equipaggiati per lavorare all’aria aperta. Ho chiesto loro di raccontarsi e ne è uscita una trilogia di podcast in collaborazione con Nuvola Vandini e Radio Alta Frequenza chiamate DARE VOCE adolescenza a distanza, praticamente delle cartoline WhatsApp realizzate sempre durante camminate meditative in solitaria. Progetto totalmente autofinanziato e prodotto dal basso. L’urgenza e il malessere dei ragazzi che conoscevo bene era tale per cui non ho potuto non mettermi in ascolto per fare in modo che istituzioni o mondo adulto capissero cosa stavano passando. Non potevo aspettare IL BANDO poiché l’urgenza era li, in quel particolare spazio tempo.

Con il Collettivo Artistico Integrato Vi-Kap abbiamo realizzato una campagna social di sensibilizzazione contro il tema dell’ Handifobia. Sicuramente l’utilizzo pressante dei dispositivi tecnologici e dei social ha modificato il mio modo di fare ricerca nel bene e nel male, ibridandosi con l’aspetto umano e poetico.

Progetto Inside<>Outside di Anna Albertarelli

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

Gli unici aiuti che ho ricevuto sono stati quelli di Sport e Salute poiché insegno in scuole professionalizzanti internazionali per danzatori e performer. Queste scuole sono affiliate a enti sportivi. Avevo in programma molti progetti Europei Corpo Europeo di Solidarietà con Associazione Creativi 108 con cui collaboro per il Corpo Poetico e dovevano partire nel 2020. Abbiamo dovuto posticipare tutto di un anno. Per fortuna nelle scuole elementari si potevano realizzare progetti outdoor, per cui, a intermittenza, a seconda dei lockdown sono riuscita a lavorare.

Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Come ho già descritto prima, da anni mi occupo di lavorare in contesti sociali e di comunità. Questo mi permette di stare a contatto con le persone e di lavorare in prima linea. So che sempre più vengono richiesti interventi per supportare un malessere generazionale e/o sociale, oppure vengono richieste metodologie educative innovative. Cerco di mettere dei semini per poter cambiare le forme pensiero della gente. Vivo il mio essere artista come un missione umanitaria.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Spero vivamente che istituzioni e chi di dovere si rendano conto che questi mutamenti dei paradigmi esistenziali non possono non toccare di conseguenza l’evoluzione e rimessa in gioco dell’arte. La cultura non è mai svincolata dalla società e viceversa. Non saprei come, troppe cose da mettere insieme politica, economia, etica, evoluzione, scienza, diritti umani.

Per chi fosse interessato ad approfondire le metodologie didattiche/ artistiche e di ricerca al servizio della comunità di Anna Albertarelli può consultare il sito

www.annaalbertarelli.it