Quando abbiamo smesso di capire il mondo

QUANDO ABBIAMO SMESSO DI CAPIRE IL MONDO

Piccoli saggi di politica teatrale

Crisi è la parola probabilmente più usata nel corso dei primi vent’anni di questo secolo. Si passa da una all’altra, dal terrorismo alle catastrofi naturali che naturali spesso non sono, dall’economia alla sanità. Oggi più che mai nemmeno la cultura riesce a sottrarsi a questo termine dopo mesi di serrate forzate, ristori a singhiozzo (quando arrivano), provvedimenti mal digeriti. Alla parola crisi però si fa fatica a far seguire un’indagine sulle ragioni che l’anno generata, spesso perché l’attenzione è già rivolta a quella successiva, e quindi più attuale. L’indagine è però quantomai necessaria proprio per comprenderne i motivi ed eventualmente emendarli, correggerli, porvi rimedio. Non è superfluo ricordare che Crisi è parola di origine greca dal verbo Krino, separare, e che, più in particolare, ha il significato di discernere, valutare, giudicare. La parola contiene quindi in sé l’azione positiva dell’indagine volta a un superamento, non dunque uno spauracchio da agitare per smuovere reazioni istintive e spesso sbagliate.

Nel campo delle arti performative sarebbe atto di chiarezza riconoscere che l’attuale congiuntura non è stata generata dall’epidemia di Covid-19, quanto piuttosto da essa aggravata e/o accelerata. La crisi performativa era in atto da anni, forse da decenni. Ricordate Carmelo Bene da Maurizio Costanzo nel 1992? Parlava di finanziamenti denunciando che questi ultimi, erogati a pioggia, in base alla semplice emissione del borderò SIAE, non avrebbero favorito la ricerca ma la mediocrità. Sempre negli anni ’90 si generò il movimento de I Teatri Invisibili che riuniva coloro che venivano esclusi dal sostegno pubblico e dal sistema dei privilegiati portando avanti istanze di rinnovamento e di riforma. Se confrontiamo le necessità di allora con quelle di oggi, facendo la tara rispetto alle chiusure dovute alla pandemia, si può chiaramente individuare una continuità nelle problematiche e nelle richieste.

I problemi quindi ce li portiamo avanti da tempo e il legislatore così come il comparto, si sono limitati a mettere pezze qua e là per permettere all’intera filiera di continuare a lavorare, ma non si è mai proceduto a verificare quali assunti fossero errati alla base. Senza rivedere le fondamenta su cui si posa tutto l’edificio teatrale non riusciremo mai a risolvere i problemi che inceppano gli ingranaggi della macchina nel suo complesso. Questo va fatto senza por altri indugi perché una cosa è apparsa evidente in questi mesi di serrata dovuta alle misure di contenimento: contrariamente ad altri settori di attività come i ristoratori o gli impianti sciistici o le palestre, a chiedere la riapertura sono stati solo i teatranti e gli operatori non il pubblico, il quale non si è per niente stracciato le vesti per essere stato impedito a frequentare il teatro. Cosa significa questa distanza dalla società che abitiamo? Quando abbiamo perso il contatto? Quando abbiamo perso necessità?

In questa pagina che contiene una serie di articoli che prende il titolo dal libro di Benjamin Labatout Quando abbiamo smesso di capire il mondo proviamo a individuare, seppur sommariamente e per accenni, le origini e le ragioni della crisi del settore delle arti performative, nella speranza che altri integrino, sviluppino ed emendino le inesattezze. Prima di passare in rassegna i singoli settori dell’intera filiera è bene però inquadrare il contesto, la cornice entro cui si disegna lo scenario in cui ci troviamo ad agire, perché uno dei principali errori che si possono commettere nell’analizzare un problema che riguarda il teatro è pensare che esso riguardi esclusivamente la sfera teatrale come se non si fosse collegati a un corpo sociale. Contrariamente ai sogni e aspirazioni di Antonin Artaud non è il teatro fonte di contagio ma è la civiltà occidentale che noi tutti abitiamo a essere un ecosistema affetto da gravi malanni non solo di origine biologica, malesseri che contagiano il sistema teatrale provocando varianti sue proprie. Occorre quindi in primo luogo individuare la malattia e poi analizzare i sintomi per sperare di trovare una cura.