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CANTICO AL COLLE SOTTO L’AZZURRO FITTO DEL CIELO di Itaca Teatro FOUR WOMEN di Rachel Simone Wyley

Ieri 10 febbraio 2017, ho seguito alle Officine caos, due spettacoli che mi hanno attratto per il loro argomento: da una parte Cantico al colle sotto l’azzurro fitto del cielo di Itaca Teatro e Four women di Rachel Simone Wyley. Partiamo dal primo con una piccola premessa.

Devo essere sincero: ho sempre avuto dei problemi con il teatro dove la parola la fa da padrona rispetto all’immagine e al corpo dell’attore. Nonostante questo a volte mi sono sorpreso, ho trovato autori che mi hanno fatto riflettere e andare al di là del mio gusto personale e fatto apprezzare anche un genere che di solito non digerisco. Teatralmente parlando sono cresciuto con maestri e compagni di strada che pensavano e pensano che il teatro sia una somma di linguaggi la cui orchestrazione costituisce una sinfonia non ottenibile con altre forme artistiche. Che si parli di performance, o di danza, o di teatro questo dialogare tra linguaggi dal vivo ha come centro il corpo in movimento: è lui che parla e la parola è solo una forma che si integra in un sistema complesso.

La parola ha un potere ambiguo quando la si rende protagonista. Ha un lato oscuro. Può diventare asseverativa, impositiva, unilaterale. Vuole dire troppo, laddove un gesto e un immagine lasciano spazio alle possibilità. Bisogna essere cauti. Trattare le parole con i guanti, lasciarsi attraversare da loro, fare in modo che ci sia non solo il significato, ma anche il suono. La parola vuole spiegare e forgiare il mondo a sua immagine. Tende a forzare lo spazio e il tempo e a far vedere il mondo sotto una determinata angolazione perché ha la tendenza a voler persuadere. C’è sempre la maledetta tendenza brechtiana a voler educare, insegnare. L’immagine e il corpo hanno una libertà che la parola spesso non ha. Certo ci sono casi, come dicevo prima, in cui questo non avviene. Carmelo Bene per citare un massimo, ma anche molti altri che hanno saputo creare spazi di immaginazione con il solo uso della parola da rimanere incantati.

Quando mi sono deciso ad andare a vedere Cantico al Colle di Itaca Teatro mi sono lasciato affascinare dall’argomento. La storia dell’ospizio del Gran San Bernardo dove i pellegrini tutti, senza che venisse chiesto nome, professione, o provenienza, per quasi mille anni sono stati accolti e rifocillati. Un luogo di accoglienza totale, lassù in cima alle montagne, in un luogo ostile e meraviglioso che tutti accoglieva senza fare domande. Ecco questa idea del confine e dell’accoglienza mi è molto cara e mi interessa. Soprattutto in questi giorni in cui sembra ovvio innalzare muri, difendere confini, dichiarare identità e documenti. Purtroppo devo dire che alla prova dei fatti Cantico al Colle non parla solo di questo. La sua drammaturgia è confusa e smisurata. Perde di vista il centro. Si perde nella didascalia, nel nozionismo. Si racconta dei famosi cani, del traforo, dei Romani, dei Saraceni, del contrabbandieri, di Napoleone che non ha pagato il conto. Si parla pure di Zanna Bianca che è un lupo e la cui storia si svolge in Canada. Del luogo di confine che accoglie senza nulla chiedere si perde traccia per buona parte dello spettacolo. Una narrazione scolastica, come una ricerca, come una voce di wikipedia, senza aprire scenari evocativi o mitici. Solo uno snocciolare dati e numeri e nomi. Nessuna apertura verso orizzonti più ampi.

I video sono solo riempitivi e variazioni di una narrazione uniforme. Quelli del canonico in forma di documentario, quelli di montagna senza un reale aggancio alla narrazione, quasi un decoro. Poco comprensibili quelli legati ai bombardamenti di città in Medio Oriente e alle sfilate di soldati dell’Isis.

Uno spettacolo non riuscito. In mille anni di storia sono sicuro che con una ricerca accurata si sarebbero potuti trovare storie di accoglienza più pertinenti all’intenzione e costruire con esse una drammaturgia meno confusa.

A seguire Four Women di Rachel Simone Wyley, un omaggio di parole e musica per quattro icone della musica nera americana: Nina Simone, Billie Holiday, Hazel Scott e Lena Horne. Piccoli ritratti di donne di colore che hanno pagato le loro scelte in difesa dei diritti civili dei neri americani.

Una voce calda e sensuale accompagnata al piano da Sergio Di Gennaro che canta e racconta le vicissitudini di queste quattro donne coraggiose e incredibilmente dotate. Un racconto semplice, senza fronzoli, dove è la musica e il canto a farla da padroni. L’essenzialità di poche frasi di queste quattro donne si contrappone in maniera evidente alla prolissità dello spettacolo di Bissaca e ne rendono maggiormente evidenti i difetti.