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Doppelgänger,

VISIONI AD ARMUNIA: LA SEMPLICITÂ DEL CORPO DANZANTE

Di questa edizione di Armunia mi porterò il ricordo di due spettacoli che ribadiscono l’insostituibile presenza del corpo in scena, non solo come valore espressivo, estetico, formale, ma anche come valore sociale e politico. Forse c’era bisogno di questo tipo di incontri, per lo meno chi scrive lo sentiva necessario, visto l’improvviso innamoramento del mondo performativo per il digitale e le sue potenzialità di visualizzazione. Nella bulimica way of life che continuiamo a scegliere nonostante ci conduca ogni giorno di più verso un abisso, la quantità ottenuta in fretta e quasi senza sforzo ci fa gola, ci attrae, ci avvince inesorabile. Eppure in cucina, come nell’arte, la maggior parte delle volte è vero l’adagio: less is more.

I due spettacoli visti ad Armunia sono di una semplicità francescana, laddove semplice non vuol dire né ingenuo né mancante di complessità, quanto piuttosto un agire sapiente capace di illuminare il poco e il debole per ottenere un forte impatto emotivo insieme a un grande risultato estetico-formale.

Il primo spettacolo è Doppelgänger, il cui sottotitolo è Chi incontra il suo doppio muore di Michele Abbondanza, Antonella Bertoni e Maurizio Lupinelli, il quale si sostanzia nella sola presenza dei due corpi in scena, un esserci foriero di straripanti emozioni, commozioni, riflessioni. I due performer, Francesco Mastrocinque, attore con disabilità, e il danzatore Filippo Porro, sono portatori di opposte e complementari fisicità. Il movimento di questi corpi portatori di voci, presenze e potenze diverse, il loro danzare nello spazio e nella luce intesse un moto ondoso fluente di alte e basse maree di forze a disegnare una cosmogonia di conflitti, contrapposizioni, fratellanze, alleanze. Un racconto epico simile alla danza di Siva che crea e distrugge i mondi.

Il dipinto danzato è fortemente materico le cui colorazioni sono date dai respiri, gli affanni, le grida, lo strusciar di piedi, le smanacciate sulla pelle nuda, il sudore. Il corpo mancato in questi mesi, il contatto evitato, diventa materia di racconto senza parole. Solo l’evidente presenza davanti agli occhi dello spettatore ci rammenta la fisicità prepotente e la sacralità del corpo animato dal soffio vitale, in lotta con l’inerzia e l’entropia.

Doppelgänger,
Doppelgänger,

L’opposizione apparente delle due fisicità ci parla dell’elemento comune, spesso rimosso dalla coscienza: la fragilità che ci accomuna, quell’essere foglie al vento, disegni sulla sabbia che un semplice onda del mare cancella dopo una breve esistenza. Lo scagliare di una freccia immaginaria, all’inizio e alla fine, e il suo giungere a bersaglio, sempre nel corpo più potente e prestante in apparenza, ci rammenta l’universalità dell’impermanenza della materia, la dinamica trasformazione che tutto colpisce senza discriminazione. Di questo in fondo si parla: della vita e della morta, delle opposizioni esistenti solo nella nostra mente, della perenne legge della metamorfosi. Nulla permane e tutto si trasforma. Senza tregua e in barba a ogni categoria del pensiero.

I corpi danzanti ci raccontano il profondo e sacro mistero con semplicità, attraverso il contatto, la presenza e l’animalità del corpo. La candida essenzialità racconta ogni cosa possibile. Senza mediazione, senza supporti, solo essendo e muovendo, creando spazi interminati e tempi sconfinati sempre uguali e sempre diversi.

Altro elogio della potenza del poco è Lo sbernecchio del bubbù di Giuseppe Muscarello in scena con Pino Basile e in collaborazione drammaturgica con Giuseppe Provinzano. Lo sbernecchio del bubbù è una fiaba per bambini di tutte le età, raccontata con elementi primari: il gesto, la danza e la musica (per lo più eseguita con strumentini e loop station dal bravissimo Pino Basile, ottimo anche nella parte di attore/danzatore). Musicista e danzatore si trovano a condividere un palco, ognuno con il suo specifico: chi suona e chi danza. Ma se si volesse scambiare le parti? Musicista e danzatore si scambiano i vestiti e i compiti, ma è tutto ancora lo stesso? Si può agire senza l’aiuto dell’altro? O tutto finisce nel caos? Così ognuno ritorna nei propri panni, uguale ma diverso, consci di aver avuto uno scambio e una crescita, forse si dovrebbe dare qualcosa in cambio? E cosa è possibile donarsi se non si ha nulla? Si condivide, si collabora, senza pretendere di essere dominanti. In questi scambi fatti di musica e gesto creatori di poesia è presente e pervasiva una immensa vitalità, una gioiosa creazione che è canto della vita nella sua semplicità, quella che accompagna la danza e la musica da quando nell’alba dell’umanità si colpì il primo tamburo e si ballò intorno a un fuoco, nella gioia di essere, per allontanare l’inquietudine della finitezza, per glorificare e santificare la vita.

Una fiaba coinvolgente, divertente e commovente che ha affascinato i bambini ma ha saputo catturare e toccare il cuore degli adulti. Uno spettacolo per tutti perché possessore della rara capacità di parlare a tutti.

Questa universalità di linguaggio pur nel possedere svariati livelli di lettura è il secondo maggior pregio che lega Doppelgänger e Lo sbernecchio del bubbù, elemento di cui c’è bisogno oggi più che mai se si vuole incontrare il pubblico su un livello paritario, veramente comunicativo, intensamente condivisivo. E questo senza scendere nel grossolano, nell’ovvio, ma mantenendo la grazia della semplicità, l’austera forza della maestria pronta a far esplodere di significato il minimo e più fragile elemento.

Visti ad Armunia

Doppelgänger il 24 giugno 2021 a Rosignano Marittimo

Lo sbernecchio del bubbù il 25 giugno 2021 a Castiglioncello