Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città, nelle piccole cittadine di provincia o alle realtà medio-piccole che costituiscono l’ossatura del sistema spettacolo in Italia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa.
Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni con cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro
Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura non solo per ragioni geografiche ma anche di necessità.
Iniziamo questo piccolo tour per l’Italia da Torino, quartiere Vallette, sede di Stalker Teatro alle Officine Caos. Risponde Stefano Bosco, project manager della compagnia.
D: Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?
Abbiamo continuato l’attività di produzione e di residenza artistica a favore di compagnie nazionali e internazionali giovani ed emergenti. Nei periodi di stretto lockdown abbiamo distribuito pacchi alimentari per le famiglie più fragili del nostro territorio, in network con Torino Solidale.
D: Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?
Sono aumentate le attività di servizio e accoglienza del nostro centro: dagli sportelli sociali, alle azioni di creazione di comunità, alle attività di contrasto al digital divide… Dal 2020 tutte le attività, eccetto rare occasioni, sono a ingresso gratuito.
La ricerca artistica si è ulteriormente polarizzata verso l’outdoor.
D: Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.
A livello locale, regionale e nazionale, quasi tutte le istituzioni con cui abbiamo in atto una collaborazione hanno cercato soluzioni perlopiù ragionevoli e di mediazione, resta però l’anomalia tutta italiana del ritardo cronico dei pagamenti che mette in ginocchio le piccole e medie realtà.
D: Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?
Abbiamo, come molti altri, provato la strada del digitale, con molti dubbi e senza grandi risultati. Da quando le attività sono ripartite l’accesso alla nostra struttura è quasi sempre gratuito.
D: Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?
La pandemia ha solo messo in luce difficoltà sistemiche. Nel confronto con i nostri colleghi europei il dato più significativo rimane quello sugli investimenti nel comparto culturale, con un ordine di grandezza di scarto in difetto nella comparazione con quasi tutti gli altri paesi.
D: Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?
In Europa, nei diversi contesti in cui abbiamo avuto occasione di lavorare, le politiche culturali sono diffuse e pervasive, ramificate e articolate sul territorio, la visione è orizzontale e di lunga prospettiva, le parole ricorrenti sono: spazio pubblico, accessibilità, inclusione, formazione e ricerca. In Italia il paradigma della produzione culturale resta confinato nella stretta cerchia degli addetti ai lavori, nello scambio di favori, nella visione – in ultima istanza – che il fatto culturale sia, nei fatti, una questione di pochi, arroccati in posizioni di privilegio.
Chi siamo
Le officine CAOS di Torino – Officine per lo Spettacolo e l’Arte Contemporanea – sono un centro internazionale per la produzione culturale e l’innovazione sociale, uno spazio polifunzionale nella periferia nord ovest di Torino, in Piazza Montale, nel quartiere Le Vallette.
Le Vallette: un ex quartiere operaio, nato negli anni ’50 sotto la spinta della grande migrazione verso il nord Italia industrializzato.
In questo quartiere vivace e ricco di risorse, ma fortemente penalizzato dalla mancanza di strutture e servizi al cittadino, oggi ci abitano circa 12.000 persone, con un forte senso di appartenenza e una grande voglia di riscatto.
Nella pancia di una chiesa di questa periferia, in un enorme garage abbandonato per decenni, sono stati riqualificati circa 2000m2 di spazi attrezzati e polifunzionali, con un investimento estremamente contenuto e grazie a risorse pubbliche e private. A distanza di quasi vent’anni, forti di una crescente comunità di decine di migliaia di persone che ogni anno attraversano questi spazi, officine CAOS è oggi conosciuto a livello locale, nazionale e internazionale come un centro di eccellenza per la produzione culturale e l’innovazione sociale, un luogo di incontro inclusivo e accogliente, uno spazio aperto alle proposte di tutti i cittadini, un laboratorio di idee e relazioni.