TorinoDanza apre la sua edizione 2022 all’insegna di un mistero mistico e laico, una meditazione sulla genesi del mondo e della vita proposta da Vessel (del 2016 ma in prima nazionale) di Damien Jalet insieme a Kohei Nawa. Damien Jalet è una vera star del mondo della danza contemporanea, un coreografo a cui piace ibridarsi con altri linguaggi e lavorare di concerto con artisti di altre discipline. Tra le molte collaborazioni non si possono dimenticare quelle con Sidi Labi Cherkaoui, Marina Abramovich, Luca Guadagnino (nel remake di Suspiria), Riuchi Sakamoto (che firma la colonna sonora in Vessel insieme a Marihiko Hara) e infine con lo scultore Kohei Nawa autore delle scenografie non solo in Vessel ma anche nelle altre due opere che compongono la trilogia (Mist del 2020 e Planet [Wanderer] del 2021).
Damien Jalet propone in Vessel una corporeità primordiale, costituita da esseri polimorfi, asessuati e acefali, in perenne metamorfosi. Siamo al di là del genere, del raziocinio, in quel territorio ancestrale in cui il divino e il terreno si incontrano senza un preciso progetto, senza alcune apparente finalità, e giocano nel generare l’improbabile e l’inaudito.
La scena si apre su una nuvola bianca, cratere di vulcano, vagina universale, fossa di germinazione ribollente, galleggiante sulle acque nere e tranquille dei primordi del mondo, su cui emergono dei totem composti di schiene, arti, glutei, mani e piedi. Questi idoli richiamano le divinità dei miti di Chtulu o gli improbabili spiriti de La città incantata di Miyazaki. Siamo costantemente nell’indefinito tra il mostruoso e il fiabesco.
Gli idoli si scindono, mitosi o partenogenesi priva di fecondazione. I sette organismi nuotato nel brodo primordiale, intorno all’isola e sull’isola, cercano di sperimentare formazioni e concrezioni stabili, ma restano attratti dal processo metamorfico. Niente è permanente. Nemmeno le unioni, le nozze alchemiche, possono nulla di fronte alla potenza del divenire.
Le creature giocano ora con il liquido bianco sobbollente al centro del vulcano. Soma divino, sperma universale, latte nutritivo. Gli esseri compiono le loro abluzioni e riprendono la trasformazione. Ecco da ultima sorgere la figura umana, con le sue membra formate e scultoree. Ma è solo l’illusione di un momento, Presto si inabissa nel latte e restano gli idoli acefali. Poi cala il sipario su un finale impossibile perché non vi è fine al transeunte. Il fiume della vita continua a scorrere. A una fine seguirà inevitabile un altro ciclo e così all’infinito, senza trovare una stasi convincente e stabile.
La danza di Damien Jalet si integra in maniera organica con i costrutti scenografici, sempre significanti e mai corredo o decoro, così come con la musica che non descrive ma suggerisce un mondo prima dei mondi. In Vessel ciò che sorprende di più è la fisicità dei danzatori, il loro corpo si produce in un movimento che non è mai slanciato, atletico, dispiegati, ma al contrario contratto, controllato in ogni piccolo contrarsi e distendersi dei muscoli. Le schiene parlano, diventano volti e maschere, gli arti tentacoli e antenne, le unioni generano bocche, vagine, ani, ombelichi. Non vi è mai testa, come se si volesse puntare l’attenzione sull’aspetto istintuale della materia di voler perpetuamente cambiare forma, senza una progettualità o razionalità dichiarata. Siamo prima della coscienza, laddove il miracolo della metamorfosi suggeriva relazioni illecite e meravigliose tra il divino e il materiale.
Vessel è un’opera in cui l’opacità dei significanti si rassoda e solidifica nella chiarezza dell’intenzione. Damien Jalet e Kohei Nawa hanno partorito una creatura solenne e misteriosa, capace di parlare con la lingua della pizia, quel linguaggio oracolare oscuro nella sua pienezza di significato e dove l’interpretazione è un gioco tutto demandato all’orecchio dell’ascoltatore libero di costruirsi il vaticinio più consono ai propri desideri.
Fonderie Limone – Sala Grande 9, 10 settembre, ore 20.45 – Prima nazionale
durata 60 minuti
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