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SPECIALE INTERPLAY: L’AMORE, LA MORTE E IL TEMPO

Il sentiero artistico tracciato da questa 22ma edizione di Interplay, festival della nuova danza guidato con mano solida e sicura da Natalia Casorati, prosegue approfondendo temi da sempre scottanti: l’amore degli amanti pompeiani fuso e immortalato nell’ultimo loro istante dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ispira il duo ideato dal giovane e promettente Adriano Bolognino; da Oriente giunge una morte di bianco vestita raccontata da Nanhee Yook, coreografa sudcoreana di grande spessore artistico che ha già attirato l’attenzione degli operatori, non solo asiatici ma europei; Lorenzo Morandini indaga la possibilità di sfuggire alle definizioni; infine Guy Nader e Maria Campos, esplorano la dimensione rarefatta del tempo con Set of Sets.

Adriano Bolognino apre il programma della terza serata alla Lavanderia a Vapore di Collegno con Gli amanti, un duo di forte impatto visivo ed emozionale. Le danzatrici Rosaria Di Maro e Giorgia Longo interpretano una coreografia che prova a immaginarsi la vita degli amanti pompeiani nel tempo precedente l’attimo in cui i loro corpi diventano una scultura fusa dalla violenza delle ceneri incandescenti del vulcano. Il movimento oscilla tra due poli: da una parte le pose plastiche in cui i corpi quasi si cristallizzano in figure di bassorilievo, e momenti in cui la danza si scioglie in gesti a volte fluidi, più spesso con accelerazioni contrapposte frenate improvvise, in cui la vita degli amanti si manifesta in una tensione verso l’altro più che in un afflato erotico. L’emozione che scaturisce da questo fluttuare tra la staticità statuaria e l’accelerazione-decelerazione riguarda più la compassione, nel senso proprio di patire insieme, nel vivere insieme a quei due corpi, l’amore privo di qualsiasi risvolto terreno di chi si approssima alla morte, un amore assoluto rappreso e irrigidito nel suo ultimo istante. La musica scelta, caratterizzata da un’atmosfera ieratica e solenne, ci spinge in questa direzione: lontano dalle braccia di Afrodite verso quelle di Persefone.

Rosaria di Maro e Giorgia Longo in Gli amanti di Adriano Bolognino

Se Adriano Bolognino coglie l’amore che precede la morte, la coreografa coreana Nanhee Yook ci immerge nell’atmosfera luttuosa che accompagna sempre il suo passaggio tra i viventi. Il titolo del suo pezzo breve, Talk about death, non lascia adito a dubbi, così come il bianco dei costumi considerato nelle culture orientali il colore del lutto. La morte non è presente come elemento traumatico, piuttosto si indaga la malinconia, il ricordo, ciò che rimane di una presenza. La morte è dunque vista nel suo essere un momento nel flusso delle vite, un processo di trasformazione e di passaggio, non un termine ultimo, benché in chi resti permanga una sensazione costante d’assenza e di mancanza.

Lorenzo Morandini porta in scena Idillio, un breve solo incentrato sulla volontà di inventare nuove parole e nuovi significati. I gesti vogliono provare a essere altro rispetto al consueto, la danza tenta di sfuggire alla tradizione culturale che le preesiste. Il risultato di tali tensioni rimane incerto. Non si riesce a percepire una vera fuga, quanto piuttosto un permanere in un’orbita da cui non si riesce a sfuggire. Non si scappa mai alla propria cultura. Si può al limite tentare di cambiare le regole del gioco ma solo quando si conoscono perfettamente le regole. Si può variare il canone solo nel momento in cui si è padroni del canone. Idillio di Lorenzo Morandini non riesce quindi del tutto nel suo intento proprio perché ricade nello stereotipo da cui cerca di fuggire: gesti e atteggiamenti partono dal noto, ma non riescono quasi mai a raggiungere terre sconosciute.

Al Teatro Astra incontriamo Guy Nader e Maria Campos, coppia artistica consolidata e affermata anche nel nostro paese. Set of sets è un pezzo di insieme ipnotico e suggestivo incentrato su un’immagine del tempo come ritorno e ripetizione. Ciò che si dipana davanti ai nostri occhi è una sorta di planetario in cui i corpi dei danzatori costruiscono orbite e attrazioni gravitazionali in perpetua traslazione nello spazio.

Questo complesso meccanismo di rotazioni, rivoluzioni, ripetizioni e variazioni costruisce complicati congegni di precisione in cui i movimenti dei danzatori, anche quando apparentemente casuali, definiscono con precisione la meccanica. Davanti ai nostri occhi si materializzano orologi cosmici formati da corpi in continua interazione. Il tempo non appare mai lineare, cronologico, quanto piuttosto una spirale in perpetua evoluzione tra il pendolo del ritorno dell’uguale e il mistero quantistico della simultaneità.

La musica, eseguita in scena dallo stesso compositore Miguel Marin, è una multiforme tessitura di loop elettronici e sampling su cui si innestano i ritmi della batteria. La trama sonora è il battito su cui si vengono a formare i sistemi planetari, il disegno ritmico di campi di asteroidi in perenne fuga e attrazione reciproca. I corpi ruotano su se stessi, su e con gli altri corpi: si scontrano, si accarezzano, rimbalzano come palline di un biliardo. Se il tempo è il protagonista primario, l’antagonista è di certo la gravità da cui la danza cerca perennemente di sfuggire. I volteggi acrobatici, i corpi lanciati e catturati quando sembrano destinati a una rovinosa caduta, sono una aperta sfida all’attrazione gravitazionale. La tensione tra la fuga e l’inevitabile ricaduta è la vera fascinazione di quest’opera complessa e ipnotica.

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SPECIALE INTERPLAY: UN VIAGGIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

Seconda serata di Interplay, Festival della nuova danza di Torino, diretto da Natalia Casorati, questa volta in scena alla Lavanderia a Vapore di Collegno. Il programma spazia tra Italia, Israele e Spagna, mostrando lavori che in qualche modo si posizionano sul confine tra innovazione e recupero della tradizione.

Si inizia con Jacopo Jenna con Alcune coreografie, lavoro in cui spicca un grande disegno drammaturgico volto a unire il linguaggio coreografico con il video e la partitura musicale. Alcune coreografie ricorda da vicino l’opera di Christian Marclay The Clock (2010) vincitore del Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Se nel lavoro dell’artista svizzero, della durata di ventiquattro ore, si assisteva a un montaggio accuratissimo di immagini cinematografiche in cui protagonista indiscusso era il tempo nel suo scorrere ritmato da frammenti in cui ogni minuto della giornata era evidenziato da un orologio indicante ore e minuti in successione, montaggio intessuto su una partitura costituita di campionamenti e remix, nella coreografia di Jacopo Jenna, vediamo un incastonarsi di schegge e pillole di danze che perfettamente si incastrano e dialogano con ciò che la danzatrice esegue sulla scena.

La coreografia segue il montaggio video e traspone in un flusso innovativo ciò che le immagini, tratte da ogni genere di manifestazione danzata, colta o popolare, etnica o folclorica, spontanea o studiata, propongono alla visione dello spettatore continuamente portato a confrontare video e performance dal vivo. Così Pina Bausch, Trisha Brown o Merce Cunningham si alternano a Micheal Jackson, alla Haka degli All Blacks, i salti dei Maasai, il musical, le danze egizie di May Wigman, semplici video di You Tube in cui persone normali danzano prese dall’emozione.

Ramona Caia in Alcune Coreografie di Jacopo Jenna

Se l’opera si limitasse a questa carrellata video e al suo corrispettivo coreografico dal vivo, non sarebbe niente di più che un grande lavoro di montaggio. Tutto questo materiale non si limita a mostrarsi ma racconta un evoluzione di vita e morte e rinascita, di comparazione tra umano, animale e inanimato. Ogni cosa danza e manifesta il canto della vita a fronte della sua caducità. L’ultimo sguardo della danzatrice Ramona Caia, rivolto agli spettatori, lascia a noi la prossima mossa. Un invito a danzare la nostra coreografia.

Non solo. Ci troviamo di fronte anche a un confronto tra tradizione e innovazione, dove appare evidente che gli stimoli alla composizione possono venire da qualsiasi genere e materiale possibile, e come il calco genera sempre uno scarto dall’originale, un passaggio di testimone, una diffusione di stimoli che partorisce nuove forme a partire dalle vecchie. Un tema questo estremamente attuale in un periodo storico in cui sembra si sia formata una cesura tra le vecchie e nuove generazioni di artisti interrompendo parzialmente quel passaggio di tecniche e idee compositive donato da una generazione all’altra con il compito di apprendere e poi variare il canone ricevuto.

Altro tipo di confronto con la tradizione si assiste nel duo a firma Gil Kerer dal titolo Concerto per mandolino e orchestra in do maggiore di Vivaldi. Lo stesso Gil Kerer in coppia con Lotem Regev danzao il famoso concerto del Prete Rosso innestando sulla partitura ritmica della musica, una coreografia molto delicata seppur energica ed estremamente dinamica, fatta di sguardi e relazioni tra i due danzatori intervallati da momenti comici. Tra un movimento e l’altro infatti vi sono delle pause per riprendere fiato, sostenersi l’un l’altro nella fatica, bere acqua, momenti di autoironia in cui traspare tutta la fatica del danzare.

I due danzatori ci raccontano a parole, a modo loro, l’idea di base del concerto di Vivaldi volta a esaltare la difficile presenza del mandolino nell’orchestra. Strumento estremamente dolce e morbido, per esaltarsi in un ensemble orchestrale deve essere accompagnato per lo più dagli archi, dove quest’ultimi sono al servizio, come in ascolto, per permettere al loro compagno colmo di una poesia magica ma dalla voce flebile di poter apparire in tutta la sua forza espressiva. Un lavoro breve ma denso la cui essenza è costituita da un confronto sano e ironico con la tradizione sia danzata che musicale, proiettata non verso il passato, ma verso il futuro. L’opera è esaltata quindi da una drammaturgia pronta a parlare della delicatezza e del rispetto con cui andrebbero intessuti i rapporti umani affinché ciascuno possa far sentire la propria voce per quanto sommessa.

Gil Kerer e Lotem Regev in Concerto per mandolino e orchestra di do maggiore di Vivaldi

Chiude la serata il duo spagnolo formato da Carla Cervantes Caro e Sandra Egido Ibanez con il loro pezzo breve dal titolo Cuando somos. I corpi delle due danzatrici si fondono in unico essere ibrido formato da due entità distinte ma cooperanti. Una continua generazione equivoca in cui esseri intrecciati diventano insetti, creature mitologiche e favolistiche degne di apparire nei migliori bestiari medievali. Una visione del corpo che spinge a immaginarne di non convenzionali per ammirarne la meraviglia inaspettata e sorprendente. Un gioco di incastri, non solo ben studiato, ma poetico e ipnotico insieme.

Questa seconda serata di Interplay ci conduce dunque verso una esplorazione ragionata ed emotiva allo stesso tempo attraversando non solo il binomio tradizione e innovazione, ma soprattutto a volgere le nostre riflessioni sulla natura fragile dei rapporti umani da costruirsi con poeticità, delicatezza, decisione e ascolto estremo. Un secondo appuntamento perfettamente dosato in cui le tematiche e le tecniche si confrontano senza mai appesantire l’occhio dello spettatore. Una soireé che ci fa guardare, una volta tanto, con ottimismo al futuro dell’arte coreutica.

SPECIALE INTERPLAY: DANZE URBANE E FESTIVAL DIFFUSO

Si apre a Torino la 22ma edizione di Interplay, festival diretto da Natalia Casorati e dedicato a sondare ed esplorare le nuove tendenze nella danza contemporanea. Dopo due anni difficili dove la kermesse si è dovuta per forza adattare alla pandemia costringendosi a una vita ibrida tra ridotte capienze e streaming digitale, si torna finalmente in piena presenza.

Si parte dalle periferie, per la precisione dal difficile quartiere di Barriera di Milano, dove convivono vecchie e nuove immigrazioni, comunità linguisticamente diverse, una nascente gentrificazione e progetti sociali e artistici d’avanguardia. Nel quartiere sorgono infatti scuole e laboratori di nuovo circo, spazi prove e piccoli teatri, una scuola civica di musica e luoghi di aggregazione e integrazione sociale come lo spazio multidisciplinare di Via Baltea e i Bagni Pubblici di via Aglié, sede della casa del quartiere.

Questi ultimi due luoghi vedono il debutto del Festival in una giornata quasi interamente dedicata alla danza urbana proveniente dalla Spagna. In via Baltea vede luogo un focus speciale dedicato al paese iberico che proseguirà anche nei prossimi appuntamenti. La giornata nasce in collaborazione con la Rete Acieloabierto, specializzata nella circuitazione della danza agita negli spazi pubblici e nella dimensione urbana.

Tre i lavori in short format presentati in questo primo appuntamento. Si parte con Lo invisible di No Bautizados, duo formato da Katia Humenyuk e Rolando Salamè. Il pezzo si distingue per il possente vigore vitale e l’ibridazione di teatro fisico, arti marziali e danza. Un calma energica emana dal danzatore controbilanciato da quasi un furore interpretativo della danzatrice. Ne nasce un pezzo breve che racconta dell’incontro-scontro di due forze, complementari e opposte, generanti infinite possibilità di relazione.

No Bautizados Lo invisible Ph: @Miriam Cuesta

Segue un altro pezzo breve Azzurro, un trio firmato dall’ormai noto e affermato coreografo Mario Bermudez Gil per Marcat Dance. Lo stesso Mario Bermúdez, insieme a Catherine Coury e Violeta Wulff, intrecciano una danza elegante, delicata ed estremamente dinamica in cui i tre danzatori ricercano combinazioni sempre nuove di relazione alla ricerca di una difficile ma non impossibile unità. Notevoli le scelte musicali tra il Sileant Zephiry di Vivaldi e la romanza dal titolo Folle è ben chi si crede del compositore secentesco Tarquinio Merula.

Ultimo pezzo breve è firmato dalla Ertza, compagnia pluripremiata per i propri lavori di danza urbana, che porta a Interplay Dye Dye un duo estremamente acrobatico che unisce la break dance e la street dance con diversi stili di danza contemporanea nella creazione di uno stile ibrido e composito. Il lavoro inizia con i due interpreti che disegnano una sorta di percorso con un gessetto rosa. Quando le linee si incontrano sono i corpi a diventare mappa e luogo di ricerca dell’altro. Spettacolare il finale in cui diverse polveri di colore diverso vengono diffuse dalla danza mescolandosi a terra e nell’aria in una sorta di arcobaleno simbolo di un possibile sincretismo non solo artistico ma delle idee.

Chiude la serata la passeggiata danzata da Sara Sguotti e Nicola Simone Cisternino insieme all’ensemble musicale Pietra tonale, residente proprio nel quartiere di Barriera di Milano. I danzatori e musicisti accompagnano il numeroso pubblico attraverso il quartiere dallo spazio di Via Baltea fino ai Bagni Pubblici di Via Aglié, dove la serata si conclude tra musica e aperitivi.

Interplay dunque torna ad animare la città di Torino, invitando il proprio pubblico non solo a esplorare le nuove tendenze coreutiche ma il territorio cittadino, le sue periferie e i suoi luoghi cruciali per la diffusione e rappresentazione della danza. Un ritorno che da tradizione mette in relazione i migliori esiti nazionali con ciò che di meglio l’Europa e non solo possono offrire.