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Questo è il tempo in cui attendo la grazia@Claudia Pajewski

LO SGUARDO DI PASOLINI SECONDO FABIO CONDEMI

Questo è il tempo in cui attendo la grazia di Fabio Condemi è un’opera che fin dal suo esordio, con la frase che campeggia sullo schermo bianco, ci spinge nell’orbita gravitazionale dell’immaginazione.

Più che un vedere è un ascoltare per immaginare come nel teatro elisabettiano. Si prova a vedere con l’occhio e lo sguardo di Pasolini, attraverso alcuni frammenti e scene tratte da alcune sceneggiature del poeta. Si attraversa Pasolini a partire da Medea, Edipo Re, Il fiore delle mille e una notte, il mai realizzato progetto su San Paolo, La ricotta. È una storia di uno sguardo da cui risulta il racconto di una vita di continua stupefazione di fronte al mondo, nel tentativo di dare uno sguardo nuovo sul mondo.

L’innocente aprire gli occhi innocenti del bambino, quello divino ed estatico del centauro, pronto a far sorgere l’innaturale della natura (non più luogo fisico ma ambiente fecondo di apparizioni e manifestazioni trascendenti), quello non ancora convertito e fanatico di Saulo, quello innocente e travagliato di Stefano, partigiano in una Parigi devastata dalla guerra mondiale, quello sfrontato nella candita genuinità dei giovani adolescenti cairoti.

Nello sguardo mediato e raccontato compaiono i corpi, sensuali, martirizzati, fragili, feriti dei personaggi descritti dalla voce dell’attore.

Unico corpo vivo in scena, e quindi guida in questa evocazione di sguardi, è Gabriele Portoghese, coautore della drammaturgia. La sua voce è poetica, sensuale, non incarna né interpreta, semplicemente si fa tramite di un viaggio dell’immaginazione il cui protagonista è, lo ripetiamo, lo spettatore immaginante.

La scena è semplice, quasi disadorna: un rettangolo di terra abitato da una vegetazione pronta a divenire bordo di fiume e palmizio d’oasi, (ma anche, dopo un momento di devastazione, richiamo alla spiaggia di Ostia), un pallone (quest’ultimo forse superfluo e didascalico, presente solo per sottolineare un già detto), un volume di opere pasoliniane, un proiettore e una sedia. Uno schermo sul fondo in cui appaiono paesaggi, didascalie di film, titoli, opere pittoriche da cui Pasolini ha tratto ispirazione. La colonna sonora è discreta a richiamare le opere citate e luoghi evocati.

Fabio Condemi manifesta in questo lavoro un rapporto sano con la Tradizione: non dialettico secondo Brecht, quindi non un processo passante per un rifiuto, un critica e una ricostruzione, ma nemmeno una triviale ammirazione devota, indiscussa e indiscutibile. Il Pasolini che emerge non è quindi quello iconico, consueto, ma immagine di un uomo che nel suo essere artista era sinceramente e totalmente aperto alla visione, e in questo capace di vedere e far vedere non il solo il mondo come appariva, ma anche e soprattutto, come laboratorio di invenzione di possibilità inedite.

Alcuni passaggi sono commoventi come il martirio di Santo Stefano e il finale in cui il corpo dell’attore diventa schermo di proiezione del finale di Edipo Re (scena citazione, mise en abyme, laddove lo stesso Pasolini faceva di sé schermo delle proprie immagini filmiche). A chiuderci gli occhi su questo viaggio nella visione l’ultima battuta di Edipo Re: «Oh luce che non vedevo più, che prima eri in qualche modo mia, ora mi illumini per l’ultima volta. Sono giunto. La vita finisce dove comincia».

Fabio Condemi e Gabriele Portoghese ci accompagnano in un percorso immaginativo, dove lo sguardo non è tanto puntato sulla scena ma nella mente dello spettatore. Alcuni video, soprattutto quelli dei luoghi, spesso diventano quindi quasi una zavorra in questa immersione nello sguardo interiore. Risultano un dir due volte, un bloccare la fantasia. Così molti gesti a sottolineare oggetti evocati o a indicare la direzione di uno sguardo. Come diceva Kandinskij spesso in arte uno più uno da zero. Nel concludere queste piccole e personalissime note su un’opera gradevole e in molti punti toccante, ben accolta dal pubblico, non per giudicare ma per suggerire, umilmente, di non aver paura di osare e di sottrarre, torniamo al teatro elisabettiano, luogo dell’immaginazione come pochi altri nella storia del teatro, in quel prologo nell’Enrico V di Shakespeare che ci svela il segreto di ogni immaginare: «completate le nostre lacune con i vostri pensieri. […] Saranno infatti i vostri pensieri a rivestire i re di ricche vesti, a trasferirli ora qua or là, saltando le stagioni, concentrando anni di eventi nel giro di una clessidra».

Visto al Teatro Astra di Torino il 10 aprile 2022

Questo è il tempo in cui attendo la grazia

Da Pier Paolo Pasolini / drammaturgia e montaggio dei testi Fabio Condemi, Gabriele Portoghese / regia Fabio Condemi / con Gabriele Portoghese / drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich / filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi / foto di scena Claudia Pajewski / produzione Centro di Produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro Comunale Giuseppe Verdi – Pordenone, Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Durata 50′