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Festival Opera Prima

Residenze teatrali e sistema produttivo: proposte e riflessioni al Festival Opera Prima

Durante la diciottesima edizione del Festival Opera Prima organizzato da Teatro del Lemming nella città di Rovigo, oltre a un’interessante rassegna di spettacoli sempre bilanciati tra “senior” e “junior”, si è potuto assistere a un necessario e importante convegno dal titolo: Le residenze artistiche all’interno del sistema teatrale.

L’incontro è stato promosso dalla segreteria di Artisti nei Territori con la finalità di esplorare le possibili interazioni dell’istituto della residenza creativa con gli altri attori della filiera produttiva. La riflessione si è dipanata a partire da una serie di stimolanti domande: sarebbe utile o necessario regolamentare la relazione tra Residenze e produzione? Se sì, come? In che modo Teatri Nazionali, TRIC, Centri di Produzione possono entrare in relazione con il sistema delle Residenze Artistiche e viceversa?

Un ragionare a partire dalla volontà di costruire ponti in un panorama simile a un arcipelago in cui ogni isola procede secondo propri criteri e regole senza mostrare alcuna inclinazione apparente alla sinergia. Eppure i richiami alle reti è costante e monotono come un mantra.

Prima di esaminare le proposte e le tesi più interessanti emerse dal confronto è giusto rilevare un’anomalia inquietante: i diversi agenti del settore produttivo dello spettacolo dal vivo in Italia non hanno una idea comune di ciò che sia in realtà una residenza artistica. Ci si trova a essere protagonisti della parabola indiana dei ciechi e dell’elefante: ciascuno toccando con mano solo una parte del problema, pensa di esser giunto a conoscerne l’essenza. Insomma si ritorna all’arcipelago d’isole non comunicanti.

Come affermava Confucio quando le parole non corrispondono alle cose lo Stato declina. Cerchiamo di fare un poco di chiarezza se possibile. Innanzitutto il termine Residenza è foriero di equivoci: infatti se è vero che l’artista o le compagnie sono ospitate, per un certo periodo di tempo, in uno spazio e in un luogo, sono anche invitati/e a un viaggio e a un percorso di scoperta, non solo nei/dei processi creativi, ma nei/dei territori medesimi. Nel termine residenza quindi è presente il concetto di stanzialità ma manca il riferimento al nomadismo che ne costituisce il fondamento. Infatti come ricordato dal Vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Rovigo Roberto Tovo, non esiste processo di apprendimento scientifico che non preveda un periodo di studi in altra facoltà o centro di ricerca. Quest’ultima vive un certo nomadismo necessario al proprio espandersi. Con Residenza artistica (sia essa generata da un Centro di Residenza, sia da un progetto di Artisti sul Territorio, e benché quanto detto sia più accentuato nel secondo caso) si individua quindi una pratica mista costituita da movimento e stasi, benché il secondo termine venga dato come implicito. Proprio tale sottintendere genera pregiudizi, confusione e fraintendimenti.

Ciò premesso occorre sottolineare che la Residenza artistica come istituzione non ha scopi né produttivi né distributivi, compiti che devono essere assunti ed espletati da altri attori della filiera. Questo non vuol dire che le residenze non possano essere integrate nel sistema produttivo e distributivo e nemmeno che via sia sottesa una volontà autoescludente generante torri eburnee e riserve indiane. Significa solo la mancanza di funzione, orientata piuttosto verso la formazione e la creazione di un tempo di ricerca artistica in un territorio. Il rapporto che si instaura tra artista, struttura ospitante e territorio deve essere osmotico. Un travaso di esperienze, sensazioni, conoscenze, stimolato dal soggetto ospitante e che deve trovare una risonanza negli altri elementi dell’equazione.

La residenza quindi è un piano di convergenza e di incontro tra forze centrifughe e centripete: proiettato verso l’esterno il lavoro dell’artista, attrattiva verso il proprio centro l’azione del territorio nel suo desiderio/volontà/apertura di farsi conoscere. Un processo di permutazione di esperienze nutritive, un moto espansivo fecondo quanto più i soggetti impegnati sono aperti allo scambio.

Non necessariamente da questo procedimento deve nascere l’opera come prodotto finito da immettere sul mercato. Attraverso la residenza si inizia e si perfeziona un percorso che può portare alla finitezza, ma non la si deve presumere né dare per scontata benché l’intero processo residenziale lo finisca per stimolare. È un tempo di creazione in cui persino nulla può accadere e questo fa parte del rischio insito in ogni procedimento creativo. Se si preferisce invece il linguaggio aziendale oggi tanto di moda in ambito artistico chiamiamolo rischio d’impresa.

Se tali sono gli scopi e le funzioni delle residenze artistiche in quali modi si può integrare tale istituto nel tessuto connettivo del sistema Spettacolo dal vivo in Italia? Innanzitutto si dovrebbe immaginare una partecipazione, anche come semplici osservatori di processi, da parte degli altri protagonisti della filiera: Teatri Nazionali, Centri di Produzione, Tric, festival, circuiti, etc. Un osservare alla ricerca di semi fecondi da far crescere. Non quindi un obbligo a produrre o a distribuire ma un attento esplorare e scrutare i bordi, i confini, gli anfratti della creazione senza lasciarsi dominare l’attenzione dai luoghi consueti e sicuri da cui trarre i propri repertori.

Una seconda possibilità è stata ventilata dal direttore del Teatro Stabile di Torino Filippo Fonsatti, dirottare cioè l’insostenibile compito voluto dal nuovo decreto che designa il prossimo triennio di abitare i borghi fino a cinquemila abitanti, affidato dal Ministero ai Teatri Nazionali e ai Tric, redistribuendo l’onere e le rispettivi parametri e indicizzazioni a coloro che agiscono per natura e vocazione nei territori periferici. Se questa proposta venisse accolta dal legislatore (non prima di tre anni comunque) e quindi si facesse giungere maggiori fondi alle Residenze, non si risolverebbe il problema dell’integrazione dello strumento nella catena produttiva.

Inoltre da rilevare la promessa di Antonio Massena, Presidente della commissione per il teatro del MIC, di provare a equiparare le legislazioni a livello di Stato e Regioni, i cui parametri spesso sono non solo diversi ma opposti. Un caso su tutti quello della Regione Sardegna la quale ha reintrodotto gli Under 35 laddove il Ministero aveva lasciato cadere l’obbligo. Legislazioni in contrasto tra loro non aiutano certo un sistema già in affanno ben prima della pandemia e che ora, dopo due anni difficili, si appresta ad affrontare ancora maggiori difficoltà dovute all’incertezza non solo di recuperare i fondi per continuare le progettualità esistenti ma, in aggiunta, a dover probabilmente affrontare ulteriori emergenze prima fra tutte quella del rincaro energetico.

La sensazione avvertita ogni volta che si affrontano temi volti a semplificare, integrare, migliorare, emendare il sistema o alcune delle sue parti è che quanto più ci si avvicina al centro del potere politico e decisionale più l’immagine delle cose si fa sfocata e confusa, anche qualora si dimostri a parole una certa disponibilità costruttiva. È come se il legislatore e i grandi attori della produzione e distribuzione, di coloro cioè che si ritengono il fulcro nevralgico del sistema solare dello spettacolo dal vivo, in realtà siano la propaggine più estrema dell’impero e che il vero centro sia piuttosto situato in quel campo di asteroidi più o meno piccoli, i quali essendo più vicini alla realtà creativa, sono anche i depositari di una conoscenza più veritiera della realtà.

Manca quindi un ascolto reale da parte della politica e dei grandi soggetti produttivi. È come se alle proposte provenienti dal basso, da quel cuore pulsante e creativo, nascosto nelle pieghe dei territori, si risponda sempre distrattamente o con grandi promesse o con l’allontanare la soluzione dall’orizzonte degli eventi. Le cose sarebbero veramente facili a risolversi. Basterebbe prendere esempio da ciò che avviene all’estero, dalla Catalogna alla Slovenia o al Belgio dove i grandi produttori frequentano le residenze creative. Bisogna insomma che i direttori artistici tornino a vedere dal vivo esplorando i confini dell’impero, valutando le nuove proposte e le nuove idee, e si decidano a promuoverle quando ne vedono l’occasione. Non serve cambiare leggi o crearne di nuove. Basterebbe un poco di buona volontà. Ma come sempre si avverte netta la sensazione che il sistema non lo si voglia cambiare perché in fondo fa comodo che rimanga a compartimenti stagni.

Un ultima riflessione. Le residenze hanno fatto molto in questi anni per far emergere il sommerso, sono state in molti casi dei veri e propri presidi culturali in territori spesso abbandonati dallo Stato, assumendosi funzioni di educazione, formazione, sostegno delle fasce più deboli: anziani, immigrati, adolescenti, portatori di handicap. Certo non mancano anche esempi negativi di sfruttamento dei giovani, carenza di assistenza tecnica e formativa. Casi isolati ma presenti da emendarsi quanto prima. Nonostante alcune pecche le Residenze sono state spesso le uniche possibilità di creazione per molti artisti privi di un luogo proprio di lavoro. Lo strumento è quindi essenziale a dar respiro al sistema facendo emergere linfe vitali altrimenti nascoste e invisibili. Non basta però far spuntare la pianta dal terreno, serve irrigarla e concimarla per farla crescere forte. Tale compito come è già stato detto è affidato al legislatore e agli altri settori della filiera. Sarebbe il caso che costoro si assumessero al più presto la responsabilità e l’onere, prima della siccità incombente, prima che sia troppo tardi.

Rovigo 16 giugno 2022

Sono intervenuti al convegno:

MASSIMO MUNARO, LAURA VALLI e ALBERTO BEVILACQUA (segreteria Artisti nei Territori)

ANTONIO MASSENA (Presidente Commissione Consultiva MiC per il Teatro)

FILIPPO FONSATTI (Presidente Platea e direttore Teatro Nazionale di Torino)

HILENIA DE FALCO (C.RE.A.RE/Centro di Residenza Napoli)

ROSA SCAPIN (Bassano Opera Estate/Residenza AnT)

SILVIA MEI (storica del teatro/Università di Foggia)

FRANCESCA D’IPPOLITO (Presidente CRESCO – Coordinamento Realtà Scena Contemporanea)

FRANCO OSS NOSER (Presidente AGIS Triveneto)

PIERGIACOMO CIRELLA (Teatro Comunale di Vicenza/AnT)

SERENA GATTI (Azul Teatro/Pisa), ALESSANDRO SANMARTIN (Livello 4/Valdagno), CHIARA ROSSINI (Welcome Pro-ject/Torino-Berlino), CIRO GALLORANO (Cantiere Artaud/Arezzo)

Simonetta Pusceddu

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A SIMONETTA PUSCEDDU

Per l’undicesimo incontro di Resistenze Artistiche torniamo in Sardegna, più precisamente a Cagliari per incontrare Simonetta Pusceddu, anima forte ed energica, di Tersicorea e del Festival Cortoindanza, e della rete Med’arte.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Lucrezia Maimone in La balsa de Piedra Residenza Artistica

Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

La difficile situazione venutasi a creare a seguito dell’emergenza pandemica da covid19 ha avuto un forte impatto sul settore artistico, culturale e dello spettacolo dal vivo nel suo complesso. Ho ritenuto comunque importante non rinunciare a portare avanti le attività che potessero contribuire a sostenere i giovani artisti e i loro progetti di creazione. Pur in questo nuovo scenario di difficoltà mondiale, siamo riusciti comunque a portare a termine tutte le attività ri-calendarizzando i nostri programmi al fine di realizzare le attività, mantenendo invariati, l’identità, la struttura generale dei progetti di Residenza Artistica.

Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e la tua attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Il progetto di residenza Interconnessioni si basa sulla riappropriazione di siti emblematici, con l’obiettivo di rivalutare la ricchezza del patrimonio culturale nel senso più ampio, al fine di toccare gli aspetti tangibili (siti archeologici, industriali o naturali) e quelli più intangibili come l’artigianato e tradizioni, o conoscenze e pratiche del territorio prescelto. Prendendo in considerazione le peculiarità che caratterizzano il luogo, il progetto di residenza artistica Interconnessioni legittima un lavoro di ricerca su linguaggi pluridisciplinari immersi in quelle che sono le peculiarità identitarie della Sardegna. Esso si basa su sistemi di sperimentazione site specific e sul concetto di interazioni corpo/spazio circoscritte, strategie finalizzate alla riattivazione della memoria e identità di ciascun sito, allo stesso tempo per reinterpretarlo e raccontarlo attraverso i linguaggi contemporanei.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

La presenza di un elemento identitario forte, quale il patrimonio geografico e culturale della Sardegna, costituisce l’elemento fondamentale per innescare un percorso virtuoso di sviluppo economico-culturale. La prospettiva di sviluppo dei progetti declinati secondo questa peculiarità, ha l’attesa finale di creare una forma speciale di collaborazione sinergica – amministrativa culturale – tra i territori coinvolti e adiacenti, al fine di avviare azioni di sviluppo integrate e condivise. Tale progettualità si è inserita in quel piano di politica territoriale e culturale, di conversione degli “ex luoghi e a interventi di bonifica e ristrutturazione di aeree e edifici di memoria storica, piano già attivo nel nostro territorio e all’interno del quale il nostri progetti si inseriscono sinergicamente e coerentemente, grazie anche al sostegno dei diversi enti pubblici territoriali locali. L’impatto emozionale e di coinvolgimento delle comunità coinvolte, nonché la fiducia da parte degli enti pubblici territoriali e delle comunità di riferimento a sostenere, offrire e incoraggiare i nostri progetti, ha aiutato a superare il momento di crisi economica provocato dai vergognosi tagli e ritardi di elargizione dei contributi regionali. Diciamo che la soddisfazione e l’ospitalità, la condivisione e l’accoglienza ottenuta dalle comunità ospitanti, ha sostituito la preoccupazione economica!

La balsa de Piedra Residenza Artistica

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?

La strategia del decentramento dell’arte, con la fondazione di punti d’incontro artistico, di scambio di esperienze individuali e collettive e di relazioni tra artisti con il pubblico del territorio regionale locale, ha posto le basi per la creazione di un circuito virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela dei beni e occupazione, basato sulla valorizzazione delle eccellenze locali e sul potenziamento di nuovi flussi di scambio culturale. L’idea centrale è e sarà quella di creare strategie di sviluppo e miglioramento della vita dell’individuo, non inteso solo in termini economici o, ancor più restrittivamente, come crescita economica, bensì in modo più esteso come ampliamento delle opportunità che sviluppano benessere. Questo processo agisce riorganizzando gli spazi sociali, facendo emergere nuove pratiche di cooperazione e competizione, nuove espressioni culturali transnazionali e translocali: e tutte queste nuove forme richiedono ed evocano nuove prospettive teoriche, nuovi immaginari culturali, nuovi orizzonti di frontiera. Credo ancora in qualche piccola speranza!

Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

In generale la legislazione attuale ha falsamente sottolineato il valore incommensurabile della persona con falsi principi di solidarietà e di una cittadinanza attiva, ma ahimè vulnerabile. Il bene comune dipende si dai governanti, ma noi siamo complici passivi e cofautori di questo disastro. Nel mio cuore prevale il problema di un futuro umano diverso, una riflessione sulla pandemia vissuta dagli altri, nei paesi e nelle comunità più deboli e su quella vissuta dai nostri anziani. Non riesco a prescindere da questo sentimento di pena per l’umanità tutta, dunque non voglio preoccuparmi se siano contemplati o meno stati di eccezionalità, poiché credo che la vita deciderà prima o poi di piegare anche i più stolti a uno stato di coscienza e come diceva mia madre: necessità fa uomo saggio

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

È necessario sperimentare modelli di sviluppo che assicurino all’umanità un futuro di istituzioni che costruiscono un quadro di norme intelligenti, volte assicurare il bene comune che è la vita di tutti noi. Il teatro costituisce una piccola porzione di questo universo alla deriva che urge di un rinnovamento totale, uno sviluppo sostenibile ambientale e sociale e che oggi unifica le giovani generazioni in ogni parte del mondo. In sostanza tanta fiducia nelle piccole comunità in cui ancora vige il principio della condivisione e attenzione verso i propri abitanti e tanta preoccupazione del malcostume che regna nella politica europea.

Breve cenno su chi siamo:

La Tersicorea da anni si distingue per le sue forti connotazioni didattico/formative e per l’attivo impegno in funzione della diffusione di una nuova pedagogia della danza e del teatro rivolta al sostegno dei giovani artisti in dialogo costante con le realtà consolidate in tutto il territorio locale, internazionale ed extra europeo. In questo contesto la Tersicorea e il suo Spazio Teatrale T.off garantiscono occasioni di sperimentazione, ricerca confronto, di scambio intergenerazionale e di metodologie e poetiche, attraverso residenze artistiche e rurali in forma di “cantiere”, di cui Tersicorea è promotrice in Sardegna e sostenitrice sin dal 1996. Dal 2008 ha generato una rete Internazionale di interscambio: Med’arte che nasce come organismo libero e indipendente. I partner sostenitori di Med’arte concepiscono la loro azione e funzione di “messaggeri” dell’arte contemporanea nel mondo, agendo attraverso l’influenza delle nuove tendenze che il linguaggio della danza ha assunto nella storia dell’Europa, con la finalità di valorizzare e fare approdare in Sardegna quel filone centrale di sviluppo della produzione d’avanguardia che si è appunto sviluppato in Europa e nel mondo, con particolare attenzione agli artisti emergenti provenienti da paesi a rischio di pace o in cui sono in corso conflitti civili.