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AMORE PER IL TEATRO E PECCATI DI GIOVENTÙ: Il TACT Festival di Trieste

In questi giorni ho partecipato al TACT Festival di Trieste realtà che non conoscevo e che, sbirciando sul loro sito, mi aveva non poco incuriosito. Un programma con una decisa apertura verso l’internazionale, soprattutto verso i paesi dell’Est Europa, ma non solo, a rinsaldare la vocazione mitteleuropea della città giuliana.

Mi attraeva anche e soprattutto la dimensione di condivisione di pratiche teatrali che il TACT dichiarava nei suoi intenti. Gli artisti, ospiti per tutta la durata del festival (19-27 maggio), scambiano le loro conoscenze e le loro differenti modalità di approccio alla scena. Questa dimensione di condivisione, di conoscenza reciproca si sta via via perdendo nei festival. Gli artisti arrivano, eseguono la loro performance, e poi via verso altre realtà. Occasioni reali di scambio e conoscenza si fanno sempre più rare.

Sono da sempre stato attratto dalle cose che non conosco e così, curioso di natura, ho attraversato la testa della penisola da Ovest verso Est.

Giunto a Trieste mi sono trovato immerso in una realtà che, per quanto aderente alle intenzioni espresse, lo era in maniera diversissima da quanto mi aspettassi. In una certa misura gli obbiettivi sono sempre in qualche modo sfocati rispetto alla realtà. Si cerca di raggiungere una meta e quando la si conquista è sempre leggermente diversa da quanto ci si prometteva di realizzare. E così in un viaggio, ci si immagina i paesaggi, le persone, le vie che attraverseremo e poi, giunti alla meta, ci si accorge che il disegno immaginato, in qualche modo strano, collima con la realtà e nello stesso tempo è totalmente inattendibile.

Nel caso del TACT questo fenomeno avviene in una modalità perturbante e sorprendente a causa di un insolito melange di entusiasmo, bisogno, ingenuità, inesperienze e mancanza di conoscenze (e una ferrea volontà di superarle con la pratica), ambizioni, e soprattutto un grande amore per il teatro.

Ma andiamo con ordine.

Il TACT è diretto da un collettivo di giovani studenti e ex studenti dell’Università che hanno dato vita al CUT, Centro Universitario Teatrale. La volontà da loro espressa è di portare a Trieste, città un po’ ai margini dei circuiti nazionali per motivi geografici, il teatro che viene fatto altrove, offrendo una possibilità di formazione e di scambio in una modalità non competitiva. Intento nobilissimo ma da perfezionare perché si affianca a tutta una serie di difetti che rischiano di far naufragare il progetto.

Primo fra tutti è la bassa qualità dell’offerta a cui segue una mancanza di radicamento con il territorio per quanto riguarda il pubblico. Nel periodo in cui sono stato presente al festival, dal 23 al 27 maggio, al di là di Marco Chenevier, che era indicato nel programma come evento speciale, e della compagnia Iraniana Carbon Theatre Company, nessuno dei gruppi visionati era minimamente vicino al professionismo (per il programma completo rimando al sito del TACT www.tactfestival.org ).

Provenienti da scuole o accademie di teatro (come per esempio gli spagnoli di Anima Eskola, o gli ungheresi allievi di Borbala Blascò), o facenti parte di gruppi dichiaratamente amatoriali (come gli svizzeri de Le Groupe de Thèatre Antique, formato da dottorandi di lettere classiche che traducono e mettono in scena i testi antichi), i gruppi in programma presentano lavori decisamente più avvicinabili all’attività di una filodrammatica che a un collettivo o compagnia di teatro professionista.

Con questo non si vuol esprimere un giudizio. La diffusione dell’amore per il teatro passa anche attraverso l’attività meritoria di questi gruppi. I miei primi ricordi teatrali, per esempio, sono legati a quando i miei parenti ischitani mi portavano a Natale a vedere le filodrammatiche che mettevano in scena Natale in Casa Cupiello e questo mi fece letteralmente innamorare di Eduardo. Semplicemente dovrebbe essere dichiarato un contesto che non è quello di un Festival Internazionale di Teatro come da intenti.

La ricerca di un livello in formazione dovrebbe essere ricentrato, per esempio sulle opere prime e le residenze creative legate alla dimensione di debutto ospitando artisti professionisti che si affacciano sui palcoscenici con loro prime prove da autori. Oppure perseguire in maniera convinta l’esplorazione del mondo dei dilettanti che a volte sanno offrire vere e proprie sorprese. Non è superfluo ricordare che il Novecento ha espresso grandissimo teatro fatto da non professionisti, dai gruppi agit-prop tedeschi al teatro di Pippo Delbono e Armando Punzo.

Quello che appare invece è l’ambizione verso un teatro di livello veramente internazionale che si scontra con l’impossibilità di ottenerlo e questo per vari motivi non solo economici. L’intento e l’ambizione non coincidono con la realtà e le possibilità. I ragazzi che organizzano il TACT, veri innamorati del teatro che si dannano con abnegazione encomiabile nel portare nella loro città spettacoli provenienti da paesi lontanissimi come l’Iran, l’India, e l’Argentina, dovrebbero cercare di ridimensionare i loro obbiettivi e cercare di orientarli su un focus maggiormente alla loro portata, magari guardando ai loro vicini slavi che in campo teatrale sono attivissimi.

Anziché gettare lo sguardo lontano al di là dell’orizzonte, perché non cercare appena fuori dalla porta di casa delle possibilità di scambio e di crescita, come anche di aiuto concreto nella co-organizzazione dell’evento? Un network italo-balcanico sarebbe una novità e una grande opportunità non solo per Trieste. Perché dunque non cercare quindi di posizionarsi come ponte verso l’Est recuperando una vocazione che appartiene di diritto alla città di Trieste? In fondo il TACT non si è svolto proprio all’interno del Teatro Stabile Sloveno?

Questi sono consigli, fatti con molta umiltà, che vengono da uno sguardo esterno che ammette di non conoscere la situazione locale e hanno l’unico scopo di disegnare agli occhi dei ragazzi che organizzano il TACT degli scenari alternativi per migliorare il loro progetto. Tanta dedizione e amore meriterebbero di non essere dispersi e presentare lavori di bassa o scarsa qualità di fronte a un pubblico costituito quasi per intero dai loro ospiti, rischia di affossare il loro progetto.

Creare un festival che permetta agli artisti di frequentarsi per qualche giorno e condividere un ambiente fecondo per la condivisione di pratiche e conoscenze è un ottimo obbiettivo che manca spesso anche ai grandi festival, ma deve trovare un’applicazione che sia realmente utile alla scena teatrale. Moltissimi giovani artisti professionisti, e non solo in Italia, bramano occasioni di scambio, residenze, opportunità e quindi esorto gli organizzatori del TACT a ripensare alle loro modalità. Senza abbandonare il loro sogno. Semplicemente ripensarlo, rimodularlo, per trovare un’efficacia che ancora manca a questo giovane festival. Io glielo auguro con tutto il cuore.