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SPECIALE INTERPLAY: INTERVISTA AD ANDREA COSTANZO MARTINI

Lo scorso venerdì 19 maggio è andato in scena a Interplay Trop di Andrea Costanzo Martini, un lavoro pieno di ironia, vitalità ma soprattutto di una modalità espressiva del corpo veramente impressionante. Era la prima volta che assistevo dal vivo alla Gaga dance di cui avevo sempre sentito parlare. Così ho sentito Andrea e abbiamo fatto questa piccola intervista per approfondire alcuni punti del lavoro.

EP: Cos’è la danza per te? Cosa ti ha spinto a danzare?

ACM: La danza per me è un modo fondamentale di essere. Mi risulta difficile immaginare il mio corpo senza la danza, un po’ come immaginare il mio corpo senza il respiro, o senza la vista. La danza è parte di ogni cosa che faccio, e’ ascolto del mio corpo non solo come pratica estetica, ma in ogni momento della mia vita. Anzi…mi trovo in uno sforzo continuo di avvicinare la pratica dello studio a quella della vita di tutti i giorni, e come una possa influenzare l’altra. Non riesco a ricordare un momento della mia vita in cui danzare non facesse ancora parte di me, quindi non c’è stato qualcosa che mi abbia avvicinato alla danza…la danza ha solo preso forme diverse nella mia vita.

EP: Qual’è la funzione della danza, sempre che ne abbia una? Intendo dire: se c’è una necessità di danzare e di vedere danza oggi, se e come interagisce col mondo che la circonda?

ACM: Personalmente non riesco a vedere la danza come uno strumento di comunicazione. Fondamentalmente danzo per danzare, senza altra funzione che il piacere stesso del percepire il mio corpo, dell’accogliere lo sguardo dell’altro, del godere dello spazio che mi circonda e del tempo che mi scorre addosso. Credo che la “funzione” fondamentale della danza sia quella di celebrare il momento.

EP: In trop, secondo la mia opinione, crei un ironico circolo virtuoso tra immagine video, corpo in scena, e immaginario del pubblico,, un dispositivo che apre l’immaginario a indefinite possibili associazioni. Pensi di essere d’accordo con questo punto di vista? vuoi aggiungere o correggere?

ACM: Non solo sono d’accordo, ma sono anche felice della tua interpretazione. L’organizzazione degli elementi e il gioco tra le aspettative del pubblico, la mia relazione con lo spazio e il ritmo e gli altri protagonisti della scena (inclusi gli spettatori) sono ciò che tiene insieme una struttura che (spero) si apre a infinite possibili letture senza tuttavia mancare di chiarezza.

Gran parte del lavoro di creazione è nato attorno all’idea di overload di immagini, informazioni e movimento e alla ricerca di un rifugio dall’eccesso di senso.

EP: Da ignorante in materia quale sono, vorrei chiederti di raccontarmi cos’è la danza Gaga e cosa ti ha attratto in questa pratica.

Il Gaga è un linguaggio di movimento, una sorta di cassetta degli attrezzi per il danzatore. Nel Gaga la ricerca parte dall’ascolto del proprio corpoanche in relazione a tutto ciò che lo circonda. Il Gaga più che uno stile o una tecnica è a mio avviso un approccio al movimento in cui il piacere del danzare è messo al primo posto.

Mi sono avvicinato a questo stile quasi per caso. Dopo aver apprezzato come spettatore il lavoro di Ohad Naharin come coreografo, e mi unii alla sua compagnia (la Barsheeva Dance Company). È lì che mi avvicinai a questo linguaggio (da lui sviluppato assieme ai danzatori della troupe). Non è una scelta conscia, ma completamente naturale, quasi ovvia, in quanto qualsiasi altra alternativa impallidiva al confronto di ciò che il Gaga riusciva (e riesce) ad offrirmi.

ph. Andrea Macchia

SPECIALE INTERPLAY TROP di Andrea Costanzo Martini

L’ironia è una dote fondamentale nel lavoro artistico: dissacra, scalfisce il reale, sgretola la pretesa di stabilità di ogni valore, invita a non prendersi troppo sul serio.

Quando Duchamp gira un orinale e lo chiama fontana, non solo mette il discussione l’oggetto, la sua funzione, il reale come l’occhio si è abituato a vederlo, ma snellisce il gesto altamente filosofico con una dose abbondante di sprezzatura e di ironica saggezza. Inverte il circolo, da recipiente a oggetto che espelle liquidi, sovverte l’ordine delle cose portando un oggetto utile e negletto a oggetto d’arte di ironica ma salutare inutilità. L’ironia crea vuoto dove c’è un pieno, ma questo vuoto non è assenza, è la possibilità moltiplicata all’ennesima potenza. Andrea Costanzo Martini possiede la stupenda qualità di saper usare l’ironia con il corpo e con gli oggetti, creando un vuoto con intelligente e tagliente incisività.

La sua danza gioca col mondo facendolo a pezzi e lo ricompone di gesti, di movimenti, di ritmi venati di una sacra follia, di salutare insensatezza che sgretola la patina di seriosa bramosia che si impone ai nostri occhi nel posarsi su un mondo sempre più preda.

Un uomo davanti a un grosso televisore con una pompa da bicicletta tra le gambe. Azionando la pompa, si azione l’innesco e sul video appare un enorme fungo atomico. Così con gesto semplice, alla Willy il coyote, deflagra il mondo e connette immagine dal vivo, oggetto e immagine virtuale. Un circolo continuo che innerva tutta la partitura di movimento. La televisione diventa fumetto quasi quadri alla Roy Lichtenstein, scambia interferenze con il movimento reale del danzatore, diventa luce. Ma questo circolo si apre allo spettatore che diventa libero di fare le associazioni che vuole. Può far deflagrare il mondo insieme con Andrea Costanzo Martini, e può farlo con la propria immaginazione. Non interpretazione, che presuppone un gioco a incastro tra significante e significato, ma immaginazione che apre l’immagine e la rende frammento di uno specchio che può eternamente essere ricomposto in ogni forma possibile.

Andrea Costanzo Martini non ha solo l’abilità di creare un processo coreografico e visivo di grande impatto, ma possiede una espressività corporea impressionante. Un corpo che si scompone e ricompone con la stessa flessibilità delle immagini, usando ogni muscolo, irradiando energia esplosiva attraverso tensioni e distensioni, cambi di ritmo e velocità, contrazioni e dilatazioni. È il mio primo impatto con la danza gaga di cui ho sempre sentito parlare, danza legata al nome di Ohad Naharin e la sua Batsheva Dance Company. Devo dire di essere rimasto impressionato da una forma che restituisce al corpo un’istintualità ormai rara, dove ogni gesto è seppellito dal concetto. Una forma che libera e genera un vuoto, uno zero che contiene potenzialità infinite. Non avendo termini di paragone non saprei dire della qualità di esecuzione di Andrea Costanzo Martini, ma quel che è certo è che non vedevo una tale espressività in un corpo in movimento da molto, troppo tempo.

www.andreacostanzomartini.com/trop

Ph. Andrea Macchia