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Laminarie Teatro

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A LAMINARIE TEATRO

|ENRICO PASTORE

Per il dodicesimo incontro di Resistenze artistiche ci spostiamo da Cagllari alla periferia di Bologna, alla cupola del DOM nel quartiere del Pilastro, per incontrare Bruna Gambarelli di Laminarie teatro.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

DOM la cupula del PIlastro sede di Laminarie Teatro

D: Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

L’emergenza sanitaria ha modificato radicalmente le azioni culturali che solitamente mettiamo in atto per DOM la cupola del Pilastro. DOM è uno spazio fondato da Laminarie nel 2009 dedicato ai linguaggi del contemporaneo, e per questo luogo curiamo solitamente due rassegne all’anno, ospitiamo artisti in residenza, organizziamo vari altri appuntamenti dedicati alla memoria del rione e del paesaggio urbano periferico. Ogni attività prevede il coinvolgimento delle realtà che operano nel territorio del Pilastro, area della città dove sussistono fragilità di carattere economico sociale e culturale, con le quali collaboriamo da sempre. Il DOM è un luogo di prossimità che ha costruito il proprio pubblico attraverso lo scambio di esperienze con gli abitanti del rione e con il coinvolgimento di operatori culturali, artisti e studiosi.

Nel febbraio del 2020 abbiamo interrotto come tutti le attività e sospeso la programmazione di Onfalos infanzia al centro, festival dedicato ai bambini alle bambine e agli adolescenti. In questa fase di totale isolamento abbiamo pensato che il teatro del rione, al pari di altre realtà presenti sul territorio, dovesse occuparsi dell’emergenza e abbiamo quindi predisposto materiali affinché i cittadini e le cittadine potessero fabbricarsi mascherine (allora introvabili) e abbiamo fornito, nel limite delle nostre possibilità, cibo e materiali didattici alle famiglie. Abbiamo collaborato con altre realtà del territorio per fronteggiare l’emergenza non solo sanitaria ma sociale ed economica.

Nell’ottobre del 2020 abbiamo dovuto interromper la rassegna Scartare a due giorni dalla sua inaugurazione. Abbiamo offerto a tutti i lavoratori (artisti e tecnici) coinvolti nella rassegna il compenso pattuito nonostante il blocco delle attività pubbliche.

Da subito è stato evidente che la continua l’interruzione delle relazioni umane avrebbe comportato difficoltà nella ripresa delle attività in presenza.

Era importante per noi cercare di mantenere acceso un rapporto con artisti pubblico ma abbiamo rinunciato immediatamente a qualsiasi proposta di teatro in streaming.

Così abbiamo attivato altre iniziative tra cui:

  • Saluti dal Pilastro

Grandi manifesti affissi in tutta la città con fotografie storiche e contemporanee del rione Pilastro tratte dall’archivio digitale di Comunità del Pilastro curato da Laminarie;

  • Cartoline da un luogo memorabile

Stampa di 20 esemplari di cartoline postali che ritraggono il rione Pilastro dalla sua fondazione (1966) ad oggi e recapitate a tutti i cittadini e le cittadine del Pilastro;

  • Proiezione in piazza Maggiore delle immagini tratte dall’Archivio in collaborazione con la Fondazione Cineteca di Bologna;
  • AmpioraggioTV

Realizzazione di una web TV. Trasmissioni in diretta e in differita da luoghi diversi del rione. Realizzazione di n. 100 diversi servizi (News, Urbanistica, attività culturali, informazioni sulla medicina territoriale, interviste ai cittadini e agli amministratori, servizi realizzati dai bambini dalle bambine e dagli adolescenti). Finanziato dal bando INCREDIBOL 2020;

  • Realizzazione e- book ANNI INCAUTI. L’invenzione di DOM la cupola del Pilastro. Edito da CUE Press https://www.cuepress.com/catalogo/anni-incauti;
  • Incontri a distanza con i bambini e le bambine per apprendere tecniche di montaggio video e poter partecipare alla web TV ampioraggio;
  • Laboratori in presenza con gli adolescenti seguiti nel progetto

”Stanze educative”

  • Rassegna DAVVERO nel parco condominiale del Polo Panzini adiacente a DOM (Incontri, letture, esiti dei progetti di impresa e delle attività laboratoriali curate con i servizi educativi e con la Fondazione Cineteca di Bologna);
  • IL PATTO lettura pubblica della Costituzione – XII edizione;
  • Letture/spettacolo gratuite rivolte a tutti gli alunni dell’Istituto Comprensivo 11 (scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado);
  • Pubblicato il nuovo numero della rivista cartacea Ampio raggio esperienze d’arte e di politica

http://www.laminarie.com/index.php/ampio-raggio-numero-nove

  • Abbiamo piantato e curato 18 alberi;
Ampioraggio TV

Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e la tua attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Abbiamo dedicato la maggior parte delle nostre energie all’attività di produzione. Dal lavoro dei mesi appena passati è nata la nostra nuova produzione Invettiva inopportuna che, nel rispetto di tutte le norme previste per il contenimento della pandemia, ha debuttato nello scorso autunno in coproduzione con ERT/Teatro Nazionale.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

Le istituzioni a nostro parere, dopo una fase iniziale in cui sembrava possibile una collaborazione effettiva, hanno agito in modo scomposto senza creare tra loro un vero coordinamento. Nel 2021 LAMINARIE ha ricevuto risposte negative sui finanziamenti da:

1- Bando INCREDIBOL 2021! ASSEGNAZIONE SPAZI

ESITO NEGATIVO

2 -REGIONE EMILIA-ROMAGNA L.R.37/94 – PROMOZIONE CULTURALE

ESITO NEGATIVO

3 – COMUNE DI BOLOGNA – PROGETTO SPECIALE

ESITO NEGATIVO

4 – FONDAZIONE DEL MONTE

ESITO NEGATIVO

5 – MINISTERO – NUOVA ISTANZA FUS

ESITO NEGATIVO

6 – QUARTIERE SAN DONATO-SAN VITALE _ Assegnazione spazi

ESITO NEGATIVO

Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Ci troviamo in un momento decisivo per la continuazione dell’esperienza di Laminarie a DOM. E’ evidente, infatti, che le decisioni politiche che prenderanno gli amministratori nei prossimi mesi determineranno le attività del prossimo triennio. A Bologna in particolare si attendono le risposte anche della Regione Emilia-Romagna e dell’Amministrazione comunale che dovrà rinnovare per i prossimi anni le convenzioni con le realtà che operano in campo culturale. Siamo al terzo inverno in pandemia e non crediamo che per le associazioni, già in difficoltà a causa di una strutturale mancanza di contributi adeguati, possano continuare operare a stretto contatto con i territori, possano dare continuità a esperienze di qualità se non adeguatamente supportate.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Nonostante le molte e giuste voci di protesta, forse non sufficientemente unite, il decreto è uscito sostanzialmente invariato (per certi versi peggiorato) con scadenza per la consegna delle richieste al 31 gennaio: questo fatto basta per far comprendere la distanza siderale tra chi amministra i fondi pubblici e le realtà che operano professionalmente in ambito teatrale.

Non è bastata neppure una pandemia per far comprendere quanto quel decreto sia inadeguato.

Crediamo che, nella confusione paralizzante e nella convinzione che fosse impossibile trovare una via di uscita, in molti si siano concentrati sulla ripartenza sul rispetto dei parametri che ti garantiscono i contributi pubblici senza dedicare il tempo sufficiente alla stasi nella quale eravamo comunque immersi. Chi poteva ricominciava spesso senza un vero progetto alimentando così la falsa credenza che i teatri “grandi” possano esistere senza i “piccoli”.

Non siamo stati capaci di far valere i diritti dei lavoratori dello spettacolo così come non siamo stati capaci di trovare una nuova via.

Non siamo stati capaci di fermarci veramente, di pensare, di agire.

CHI SIAMO

LAMINARIE/DOM la cupola del Pilastro

La ricerca di Laminarie si è posta fin dalle sue origini in relazione con linguaggi artistici quali le arti visive, l’architettura, il cinema, la letteratura, approccio che si manifesta sia nell’espressione teatrale – con atti performativi e spettacoli che producono un linguaggio scenico originale, declinato anche in una relazione con l’infanzia – sia nello sviluppo di percorsi in grado di intrecciare pubblici differenti. Impegnata anche nella produzione di opere di videoarte, la compagnia realizza dialoghi culturali con diverse realtà europee sviluppando i propri progetti su un piano internazionale. LAMINARIE ha sede operativa a DOM la cupola del Pilastro, spazio creato dall’ associazione in convenzione con il Comune di Bologna nel 2009.DOM è un luogo in cui la ricerca teatrale è strumento di relazione con gli altri linguaggi artistici e con un territorio ricco di culture diverse è un laboratorio delle arti immerso in un quartiere popolare della città di Bologna. DOM ospita da residenze creative dalla sua fondazione.

http://www.laminarie.com/

LAMINARIE - INVETTIVA INOPPORTUNA _ ph Elisa D'Errico (3)

LAMINARIE TEATRO: INVETTIVA INOPPORTUNA

A un certo punto viene il giorno». In questa semplice frase, da una poesia di Matteo Marchesini, continuamente ricorrente in Invettiva inopportuna di Laminarie Teatro, risiede il nocciolo incandescente, la massa che piega lo spazio e il tempo creando quel pozzo gravitazionale attraente e terribile entro cui tutti noi spettatori veniamo a cadere.

A un certo punto viene il giorno» in cui ti incontri, finalmente, dopo tanto parlare per telefono, e vedi coi tuoi occhi le persone e i luoghi. Il teatro, non smetterò mai di dirlo, non è un arte ma un luogo. Per questo cominciamo da qui, dai luoghi e dagli spazi. Siamo a Bologna, lontani dal centro storico, dai portici, dal Pratello e dalla movida, dalle grandi istituzioni culturali di cui questa città è ricca. Siamo in periferia, nel rione Pilastro inaugurato il 9 luglio 1966. Doveva diventare un quartiere popolare modello, ma presto si rende noto per fatti di cronaca nera. Giungendovi però non si ha per nulla l’impressione di entrare in un Bronx. Si ha piuttosto la sensazione di attraversare una zona residenziale popolare ma piena di parchi, viali alberati, orti.

Nel visitare il Pilastro si entra dunque subito in contrasto con due immagini egualmente forti: da una parte la fama, purtroppo triste, di un passato difficile, dall’altra la tenace volontà degli abitanti del rione di sfuggire alla nomea, costruendo un presente e soprattutto un futuro alternativo.

È qui dove sorge il DOM, la Cupola del Pilastro, luogo di creazione, di incontro, di socialità, dove agisce Laminarie Teatro. Per lavorare in periferia, in quartieri cosiddetti “difficili”, bisogna saper intrecciare molti fili, essere capaci di tessere con pazienza i rapporti con gli abitanti, rendersi necessari e non accessori, assolvere a dei bisogni senza creare un’offerta non richiesta. Siamo su un territorio di confine dove non si va in villeggiatura o per opportunità. Siamo in un luogo dove bisogna saper stare, occorre impararne la lingua e le abitudini, bisogna abitarlo e amarlo nonostante tutto. È una vocazione.

Come diceva Mejerchol’d, e non a torto, si parte dal luogo. Il Pilastro è il punto di partenza. Bisogna prima vedere le Torri e il Virgolone, importa mappare prima il terreno. Lo spettacolo viene dopo. È una conseguenza di una pratica di decenni in un luogo che ha formato l’azione e il sentire.

LAMINARIE – INVETTIVA INOPPORTUNA _ ph Elisa D’Errico

A un certo punto viene il giorno» in cui rivedi la gente pronta a affollare nuovamente un luogo interdetto a causa della pandemia. In un rione come il Pilastro il rischio che i fili intessuti fossero stati in qualche modo irrimediabilmente recisi dalla lunga assenza era concreto. E invece ecco le signore con i mariti, i giovani in bicicletta, le famiglie tornare al DOM per riappropriarsi di un posto loro, non estraneo né alieno, ma un luogo che è parte della loro casa. Ci arrivano così anche senza prenotare. Mica prenoti per andare in un luogo che ti appartiene. Un posto ci sarà comunque.

Questo è il vero segnale di un lavoro ben svolto negli anni. Il pubblico pronto a tornare. Non quello degli habitué di operatori, critici, persone di teatro, gli spettatori professionisti, quelli per cui andare a teatro è lavoro, ma quello formato dalla gente semplice per cui vi è una sospensione del quotidiano, dell’obbligo e degli impegni, in cui si frequenta un tempo e uno spazio slegati dalle normali leggi ma in cui è possibile comprendere o, per lo meno, a provare a farsi un’idea del mondo.

Questo è il momento in cui si può iniziare a parlare dello spettacolo, il punto al centro dei cerchi concentrici del territorio e della società, cerchi inclusivi come un abbraccio, non chiusi in se stessi, muri a difendere un castello disabitato e polveroso.

Dapprima vediamo un roteare luminoso, come luce che scivola sull’orizzonte degli eventi di un piccolo ma attrattivo buco nero. Il ruotare rallenta, la luce si ricompone, e appare una frase: il teatro valorizza gli imprevisti. Il pannello si scosta e appare una foresta di corde, abitate da un uomo solo e mascherato con un passamontagna. In questo spazio si manifesta la concretezza della frase apparsa poco prima.

Il corpo amplificato del performer (Febo Del Zozzo) abita una selva oscura, una gabbia, una cella con molte sbarre oblique, non di ferro ma di corda. Una gabbia permeabile: volendo se ne può uscire. Una gabbia nonostante tutto presente. Le mani incominciano a suonare le corde. Si ha l’illusione che siano quest’ultime a essere amplificate invece è il corpo a produrre i suoni attraverso lo sfregamento. Si crea uno spazio sonoro dove impreviste sono le armonie, le cacofonie, le armoniche di ritorno. Ogni suono concorre alla creazione di un luogo misterioso, affascinante, agghiacciante, paralizzante. Si ha l’impressione di abitare una delle tante magiche selve dei romanzi cavallereschi. Il pensiero corre a quella di Saron della Gerusalemme liberata, a quei tronchi colpiti da Tancredi e che rimandano i lamenti di Clorinda.

Febo Del Zozzo in Invettiva inopportuna Ph Elisa D’Errico

A un certo punto viene il giorno». Ecco affiorare la parola, ultima come nel mito indiano della creazione. Per ora ancora prigioniera della techné, dell’amplificazione, delle distorsioni.

La luce cambia. Non siamo più nel segno luminoso che trasforma lo spazio e lo conforma di senso, ma nella luce quotidiana che illumina un luogo di lavoro. Il performer inizia a smontare la scena, a sfilare una per una le corde, disfacendo con pazienza e fatica l’intricata ragnatela. Non c’è più amplificazione, solo lo sfregare delle corde negli anelli e nelle carrucole. Solo lo sforzo puro e semplice del lavoro dei muscoli. É un disfare e uno smontare. Viene meno un mondo, scompare la gabbia: Si ritorna al vuoto essenziale, al foglio bianco? È solo un’illusione perché le corde sono lì a terra a ricordare, come ferite, il mondo che c’era.

Il performer si toglie il passamontagna, gli strumenti elettronici, i microfoni, i piezo elettrici, la tuta. Tutto cade a terra e adesso, solo adesso, le parole della poesia di Marchesini:

A un certo punto viene il giorno

quello in cui tutti gli atti

performativi erotici oratori

spirituali fisici virtuali

appresi per sedurre e comandare

e possedere e incidere diffondere

la propria impronta nel mondo

sfumano come un sogno al mattino

e i verbi inglesi, le sigle

di correnti ideologiche

le istruzioni per il backup

i numeri di ristoranti e amanti

si sbriciolano come una vernice

grattata via dal tempo o da un sinistro […]».

Forse al critico si chiede un’analisi. Ma sono stufo della freddezza analitica. Il teatro è anche e soprattutto carne e sangue. Per cui dopo le parole che squassano si giunge alla fine. Siamo giunti a una fine? Davvero? Forse della performance. Ma l’ultima immagine che raccolgo è la giovane donna in lacrime, da sola, nella sala abitata solo da mucchi di corda arrotolata e abbandonata su un pavimento pieno di ganci. Rimane là a lungo. Poi prende la bicicletta e se ne va ondeggiando lungo il viale alberato. Il viso rosso di pianto ma il sorriso a illuminare la strada al crepuscolo. Non accade spesso di vedere cose così a teatro. Quando appaiono ci ricordano che quella piccola e antica magia di toccare il cuore e la mente a distanza attraverso un’azione efficace nella sua inutilità e gratuità è ancora possibile. Non è retorica ma il senso vero dell’agire in scena.

E pensare che tali realtà teatrali e artistiche risultano alla politica e agli operatori, sempre più marginali, prive di interesse, tanto da tagliarne fondi e sostegni come se si trattasse di capitoli di spesa inutili. Invece siamo di fronte al vero tessuto connettivo che unisce l’arte e la società civile. Questo succede nelle periferie, alle frontiere, nei luoghi lontani dai centri del potere. Nell’epoca in cui si alzano i muri bisognerebbe ricordarsi che è al confine che accadono le cose, là dove le certezze e le barriere si sfumano nella nebbia e le persone e le cose si incontrano. Al centro non accade niente. Rimane il gioco vuoto. Il chiacchiericcio di chi esce da teatro e non pensa ad altro che andare a mangiarsi un boccone.

INVETTIVA INOPPORTUNA

Di e con: Febo Del Zozzo
Regia, ideazione scene luci audio: Febo Del Zozzo
Drammaturgia: Bruna Gambarelli
Testi: Matteo Marchesini
Consulenza tecnica: Matteo Braschi
Tecnico: Riccardo Uguzzoni
Assistente di produzione: Perla Degli Esposti
Cura e organizzazione: Marcella Loconte
Produzione LAMINARIE
Anno 2021

Durata: 60’circa

Visto al DOM al Pilastro di Bologna il 30 ottobre 2021