Interplay
ha terminato la sua prima densa settimana di programmazione tra
interventi di danza urbana nel tessuto cittadino, incursioni in
gallerie d’arte e musei, spettacoli in teatri e convegni, un insieme
da cui si è potuto desumere uno scenario a tutto tondo su quanto
oggi sta avvenendo nel mondo della danza.
In questo
ricco carnet vorremmo porre l’attenzione su due momenti
particolarmente significativi. Il primo di giovedì 23 maggio
alla Lavanderia a Vapore di Collegno serata in cui è stato
presentato un programma quattro performance di danza con Don’t,
kiss, duo a firma di Fabio Liberti, Ritornello
solo di Greta Francolini, Forecastingdi
Giuseppe Chico e Barbara Matijevic e infine Silver Knifedella compagnia coreana Goblin Party; il secondo venerdì
24 maggio al Polo del ‘900 con una giornata curata da Fabio
Acca e Natalia Casorati dal titolo Antenne del contemporaneo,
volto a dare un panorama sulle azioni e sul ruolo dei principali
festival italiani di danza.
Cominciamo
l’analisi di queste giornate a partire dalle performance.
Don’t,
kiss di Fabio Liberti inizia
con due uomini che a piccoli passi sincroni si incontrano al centro
della scena, uno di fronte all’altro si guardano e infine si baciano.
Da questo bacio si avvia una danza che apre un infinito ventaglio di
possibili relazioni. “Cos’è un bacio?” chiedeva Rostand per
bocca di Cyrano sotto il balcone di Rossana : ”Un giuramento fatto
poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che
sigillar si vuole” rispondeva la voce alla domanda da lei stessa
posta. Ma le variabili sono infinite. Un bacio può dare avvio anche
a una dipendenza, a un attaccamento che strozza il sentimento e
diventa costrizione, legame che conduce al disequilibrio e alla
lotta. Tutto questo caleidoscopio di sensazioni e sentimenti si
sviluppa da questo primo gesto naturale e poetico insieme, incipit da
cui non si sfugge perché il bacio non viene più dissigillato fino
al finale dove i due uomini, incontratisi in un fievole tocco di
labbra, si allontanano per opposte direzioni. Questo pezzo breve di
Fabio Liberti pone
dunque interessanti quesiti sulla natura della relazione tra le
persone a partire dalla sua più semplice origine.
Ritornello
di Greta Francolini
pone invece la sua attenzione sul mondo adolescenziale. La danzatrice
svolge una serie di movimenti in loop da cui trasuda un senso di
svogliatezza e noncuranza tipico dell’età di mezzo tra l’infanzia e
la giovinezza. Una presenza a metà, un essere qui ma anche altrove
nello stesso tempo, sempre in between
tra due stati egualmente incompleti. Un ricominciare da capo qualcosa
che gradualmente perde sostanza, ma nel ripetersi comunque si afferma
e si solidifica, I loop o ritornelli sono dunque un luogo ibrido, una
sorta di viaggio di formazione verso un orizzonte non ancora
visibile, ma che sicuramente sorgerà e si configura come una sorta
di ritratto oscuro di questa età indefinibile della vita,
Forecasting
di Giuseppe Chico e Barbara Matijevic è performance di natura
leggera quasi sbarazzina. Un laptop presenta una serie di
tutorial presi da Youtube che insegnano a un vasto pubblico le più
svariate attività: dal ricaricare e pulire una pistola, alle ricette
di cucina, dal pulire le alici al sostituire un hard-disk. Il corpo
della performer si interfaccia con quanto le immagini raccontano e i
video diventano dunque un’estensione del corpo reale, così come il
mondo digitale si travasa nel concreto. Forecasting,
che ricorda molto la ricerca consimile della Compagnia
7/8 chili, si sviluppa
su questa linea uniforme per tutta la sua durata senza porre reali
interrogativi. Si resta sul margine, in una dimensione giocosa, quasi
di scherzo che a lungo andare però annoia perdendosi nella
ripetizione dell’effetto.
Silver
Knife della compagnia sudcoreana Goblin party è
un pezzo coreografico per quattro danzatrici di densità
sorprendente che tratta della difficoltà della donna di affermare la
propria identità. Il titolo si riferisce al tradizionale coltello
coreano Eunjangdo indossato come simbolo di infedeltà
femminile ma anche strumento per il suicidio rituale e per difesa
contro i nemici. Silver Knife si sviluppa attraverso
una danza precisa, molto intensa e colma di energia, che si nutre di
riferimenti alla cultura tradizionale coreana come di una commistione
con linguaggi più universali e contemporanei come l’hip-hop. Due gli
elementi fondamentali di questa composizione: l’estrema varietà di
ritmi insieme all’espressività dei corpi danzanti e il canto che si
intreccia con il movimento, lo innerva e lo modella. Un viaggio
intenso, emozionale, che descrive una realtà femminile ancora
distante dall’ottenere una giusta e paritaria dignità, oppressa da
ruoli non propri e imposti, ma che lotta strenuamente per la propria
indipendenza e affermazione.
Le quattro
performance che ci ha proposto Interplay rivelano come la
coreografia contemporanea metta in questione il mondo che la
circonda, non semplice ricerca estetica ma modalità di
interrogazione, prassi di pensiero in movimento, che nell’incontro
con il pubblico rivela la sua natura dialogica con la comunità che
condivide i problemi e le istanze per una ricerca in comune di
possibili soluzioni.
Che ruolo
hanno i festival in questo processo di ridefinizione e rinnovamento
della danza? Come si inserisce la loro attività di sostegno alla
ricerca nel contesto produttivo-distributivo italiano? Questi sono
alcuni degli interrogativi che si sono posti durante la giornata di
riflessione Antenne del contemporaneo coordinata dal critico e
studioso Fabio Acca.
Presenti al
tavolo quattordici tra i più importanti festival del panorama
italiano, dai più longevi come Oriente-Occidente,
Inequilibrio e Fabbrica Europa, alle realtà emergenti
e più giovani come Cross Festival di Verbania e Conformazioni
di Palermo (inutile in questa sede elencarli tutti. Per chi
volesse può trovare tutti i relatori a questo indirizzo
http://www.mosaicodanza.it/date/interplay2019/giornata-di-studio-e-riflessione-sul-ruolo-dei-festival-del-contemporaneo/).
Attraverso
la presentazione della propria attività i direttori di festival
hanno fatto emergere una serie di tendenze e criticità che,
purtroppo per ragioni di tempo, sono state solamente tratteggiate e
che necessiterebbero di ulteriori momenti per un’approfondita
riflessione. Ne indicheremo alcuni di particolare rilevanza.
In primo
luogo si è ribadito che l’azione di un festival non è solamente
artistica ma soprattutto politica, aspetto più volte sottolineato da
Lanfranco Cis, direttore di Oriente Occidente. Le
scelte di direzione comportano una visione politica e l’affermazione
di una serie di valori che identificano la comunità che si viene a
creare intorno a una manifestazione. L’attenzione alle categorie più
deboli della società (richiedenti asilo, diversamente abili, anziani
etc.), il dialogo con il territorio di appartenenza attorno a temi di
comune interesse sono solo alcune delle modalità di intervento dei
festival.
Questo tema
si intreccia fatalmente con l’audience engagement e il bisogno
di soddisfare l’ingordigia dei numeri dei finanziatori pubblici e
privati. La questione meriterebbe intensi studi e non semplici
accenni, soprattutto perché le parole stesse andrebbero riformate.
Se come suggerisce qualche studioso si incominciasse a misurare
quello che gli anglosassoni chiamano impact to society, la
questione numerica assumerebbe una dimensione diversa. Quanto viene
modificata una società da una pratica? Questa diviene dunque la
domanda che non si misura nel tempo breve ma nel dispiegarsi di una
strategia di medio periodo e consentirebbe di agire senza la
ghigliottina dei numeri immediati. Infatti se misurassimo il successo
dell’attività performativa di John Cage a partire dagli
spettatori presenti al primo Happening al Black
Mountain College di certo potremmo pensare che quel singolo
evento non meritasse più di tanta attenzione. Se invece
quantifichiamo il suo impatto sul pensare l’evento performativo e sul
grado di innovazione portato nel corso degli anni in America e non
solo, vedremmo la massiccia onda di piena che quel singolo evento
portatore del pensiero del grande compositore americano ha portato
alla storia dell’arte scenica nel Secondo Novecento e oltre.
In secondo
luogo emerge l’attività di sostegno portata dai festival alla
produzione e distribuzione dei giovani artisti che spesso non hanno
altri canali per mostrare il proprio lavoro al pubblico e agli
operatori. Inoltre il sistema delle residenze, con tutti i propri
limiti, resta uno strumento necessario e quasi unico alla creazione.
Come ricorda Emanuele Masi, direttore di Bolzano Danza,
questi interventi mostrano anche i limiti del sistema italiano dove i
festival in qualche modo suppliscono alle mancanze di una filiera
incompleta e carente, soprattutto rispetto a quella di paesi, come la
Svizzera o il Belgio, più evoluti sotto questo aspetto.
Quanto il
sistema sia frammentario lo dimostra anche il fatto che la quasi
totalità dei festival presenti sia residente nel Centro-Nord Italia,
mentre il Sud si vede rappresentato solo dal giovane Festival
Conformazioni diretto da Giuseppe Muscarello, che ricorda
come la Regione Sicilia non abbia previsto per le manifestazioni
festivaliere nessuno strumento a sostegno. Strumenti diversi a
seconda delle regioni che pregiudicano a volte la capacità di
intervento e risposta ai bisogni del proprio territorio.
Questi
alcuni dei temi trattati in un’intensa giornata di confronto. Alcuni
sono semplicemente stati enunciati, come per esempio l’intreccio
sempre più consueto tra TRIC e festival, di cui ancora bisogna
misurare la portata e gli effetti essendo un recente fenomeno in
divenire. Resta la necessità di questi incontri, di approfondire la
riflessione e la conoscenza reciproca al fine di poter inventare
nuovi sistemi che possano favorire l’attività degli artisti e le
loro opere senza le quali non ci sarebbe nulla di cui discutere.
L’opera e
l’attività degli artisti sono il nucleo centrale che va
salvaguardato e difeso per farlo crescere e fiorire. Edoardo
Donatini, direttore di Contemporanea Festival di Prato
ricorda come oggi le api, a causa dei cambiamenti climatici, mangiano
il proprio miele per nutrirsi. Questo dobbiamo evitare, che i nostri
artisti si consumino, per mancanza di nutrimento. Festival, teatri,
critici, tutti gli operatori del settore devono interrogarsi su come
sostenere l’attività fondamentale dell’artista affinché possano
sviluppare i loro linguaggi di innovazione. Le opere d’arte,
soprattutto quelle effimere come la danza o il teatro che vivono
dell’istante dell’incontro con il pubblico, sono il vero tesoro da
non disperdere, e necessitano di particolari condizioni di protezione
per poter fiorire. Non solo soldi, ma spazio, tempo, sostegno alla
distribuzione, reti che possano affrontare coproduzioni
internazionali, strumenti che agevolino l’esportazione. Tutto questo
non può essere demandato solo ai festival, ma questi ultimi possono
però cercare, attraverso le loro azioni, di curvare e piegare un
sistema refrattario al cambiamento.