Il 21 maggio al Teatro Astra di Torino si è aperta la 19ma edizione di Interplay, festival dedicato alla danza contemporanea diretto da Natalia Casorati. I festival in Italia sono innumerevoli, pochi però quelli che si distinguono per un’originale programmazione e per la capacità di dar luce ai giovani artisti. Interplay appartiene a quest’ultima categoria avendo sempre dedicato la sua attività nel promuovere gli artisti emergenti nella danza italiana e europea, e spesso anticipando i tempi e i consensi.
Questa 19ma edizione si apre con due opere particolari Harleking della Compagnia Ginevra Enrico composta da Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi, seguita da Brother di coreografo portoghese Marco Da Silva Ferreira in prima visione nazionale.
Harleking richiama fin dal nome le più antiche e oscure origini di Arlecchino, maschera comica tradizionale della Commedia dell’Arte. Le prime testimonianze della radice demonica della maschera risalgono al 1091 quando Orderico Vitale riporta la visione avuta dal monaco normanno Guaschelin di un’immensa carovana di spiriti dolenti e penitenti guidati da un demone: Harlequin o Harle King, il conduttore delle schiere dei morti senza assoluzione.
La memoria scritta, si sa, riporta con molto ritardo quella orale presente in tutta l’Europa del Nord già a partire dal Secolo Ottavo. Il demone Harle King lo ritroviamo anche ne La Divina Commedia dantesca, nella bolgia dei barattieri insieme ai diavoli Farfarello, Cagnazzo e Barbariccia con il nome italianizzato di Alichino, demonio sì ma con risvolti già comici. Con il tempo approda sulle scene con il suo costume fatto di pezze di colore diverso a racchiudere tutte le contraddizioni del mondo, il batocio, la maschera nera, e con nome da tutti conosciuto di Arlecchino, servitore infido e truffaldino.
Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi con Harleking recuperano questa tradizione antica evocando la natura demonica della maschera in un duo intenso che cerca di riunire in un mosaico tutte le sue diverse sfaccettature. Le prime movenze richiamano la Commedia dell’Arte benché presto si spingano verso territori meno conosciuti, decisamente più ipnotici in cui il demone appare quasi come spirito fluttuante. Il riso è presente, ma è maschera esso stesso, è finzione come il sorriso dei malvagi che non raggiunge mai gli occhi, perché, come diceva Amleto, si può ridere ed essere un furfante. Un intero mondo contraddittorio, pericoloso, ambiguo, equivoco emerge dalle figure evocate, perfino l’estremismo politico forse eccessivo ed estraneo all’argomento. Tagliente il finale, dove la danzatrice strangola dopo un tenero abbraccio il danzatore che presto risorge ed entrambi si spanciano dal ridere come nelle morti rituali clownesche. Decisamente efficace il disegno sonoro di Demetrio Castellucci che ben si intreccia con il immagine ritmica della danza, lavorando in contrappunto armonico, non descrivendo o sottolineando ma facendo emergere nuovi sensi e significati, come quel masticar rumoroso a richiamo della grande fame del demone e la sua inesauribile carica vitale.
Diversa energia e atmosfera per Brother di Marco da Silva Ferreira, dove sette danzatori danno vita a una coreografia estremamente asimmetrica, colma di ritmi forsennati. I danzatori, quasi come in un training, si passano dei movimenti, li apprendono con l’osservazione, li replicano per modificarli, inventando un vocabolario, un’intera lingua di gesti che emergono, si intrecciano, si scontrano. Una lingua ambigua, scombinata dal vento, come gli oracoli scritti sulle foglie dalla Sibilla. Un’arte combinatoria senza fine, non volta al raggiungimento di un risultato, ma all’esplosione di energia insita nella danza e nel desiderio di danzare dell’uomo. Quella che si forma sul palco è una forsennata tribù che balla la vita stessa e la sua capacità di evolversi, modificarsi, ricombinarsi all’infinito, inventando sempre nuove forme di esistenze possibili. Un’opera trascinante per la sua vitalità, costruita su un’idea semplice ma con la capacità di creare complessi intrecci. Anche in questo caso le musiche di Rui Lima e Sergio Martins creano un disegno sonoro che esalta la parte danzata.
Interplay inizia dunque nel migliore dei modi, con una prima serata dedicata all’energia vitale, ritratta in tutte le sue contraddizioni e senza tema di dare uno sguardo anche alle sue radici più ambigue, equivoche e pericolose.
ph: @Josè Caldeira