Elias Canetti diceva che le immagini sono “una via verso la realtà […], sono reti, quel che vi appare è la pesca che rimane”. Il libro da cui è tratta questa due breve citazione è Il frutto del fuoco, un’opera che curiosamente trova risonanze curiose e interessanti con l’ultimo lavoro di Roberto Latini Mangiafoco.
Le avventure di Pinocchio è sicuramente uno dei libri che più ha acceso la fantasia creativa degli artisti in questo ultimo secolo. Pensiamo solamente a Carmelo Bene, Luigi Comencini o Maurizio Cattelan per citare i giganti. Pinocchio è un’efficacissima rete da pesca per far affiorare la realtà. Le immagini però, sempre secondo Canetti, hanno anche un’altra funzione, quella di accordarsi all’esperienza, soprattutto quando quest’ultima tende a fuggire, restia a farsi interpretare. Immagine ed esperienza si accendono vicendevolmente, entrambi acceleranti con lo scopo di mantenere vivo il fuoco della vita.
Ecco dunque apparire il primo tema di Mangiafoco: un intreccio di immagini ed esperienze a produrre immaginazione. Gli attori, tutti straordinari, si presentano, precipitati da uno scivolo che è strumento di mise en abîme, e raccontano il loro curriculum vitae all’interno di una cornice: la scena di quando Pinocchio vende l’abbecedario e irrompe nello spettacolo di burattini mettendo in subbuglio il teatro di Mangiafoco. Il testo qui è pre-testo, il fiammifero necessario a innescare l’incendio perché nei racconti si accenda l’immaginario. Gli attori danno vita ad altri simulacri: Nora di Casa di Bambola, Enrico V di Shakespeare, e poi Čechov, Pirandello, Pasolini. Una catena interminabile che non è vuoto citazionismo, ma icone di un loro passato vissuto sulle scene che altre ne chiamano a raccolta in un gioco di specchi illuminanti. Quello che appare con forza è la bottega dell’artificio, l’apprendistato, il percorso. Viene dunque evocato un passato teatrale, le figure che hanno abitato la scena, i maestri Mangiafoco. Su tutti Leo De Berardinis artista indimenticabile. L frammento e il racconto di vita non sono banale e triste amarcord ma strumenti per indagare le funzioni della scena. Cos’è e cosa serve quel burattino che si anima sulla scena. E chi è il burattinaio? Chi veramente tira i fili? Il pubblico? Il regista? L’autore? O forse siamo di fronte all’antico rito della maschera che parla la voce dell’oracolo?
Il teatro nel teatro è artificio spesso stucchevole, un rimando autoreferente e autogiustificante. Roberto Latini da molti anni indaga il meccanismo e ha imparato a padroneggiarlo utilizzandolo come una sorta di gioco delle perle di vetro, un mosaico di frammenti distanti e apparentemente alieni che ricompongono per prossimità un affresco mirabile in cui appare la funzione propria della scena: il luogo in cui le bugie sono portatrici di verità. Non una, asseverante e tirannica, ma molte, una per ciascun osservatore, acceso dalle immagini, scagliato verso un immaginario suo personale dalla forza propulsiva e centrifuga della creazione scenica.
L’occhio che guarda in Mangiafoco non è solo in platea, ma abita la scena sotto la maschera di Topolino. Una presenza aliena, inquietante, ma nello stesso tempo infantile, portatrice di ricordi e fantasie. Un pubblico impossibile seppur presente, uno sguardo forse funestato dalla ricerca di intrattenimento o, magari, solo manifestazione della fantasia collettiva. Videmus nunc per speculum in aenigmate diceva S. Paolo ai Corinzi, vediamo enigmi in uno specchio.
L’ardore è l’altro tema peculiare. Non solo il fuoco ma anche il ghiaccio. Elementi che bruciano, elementi che dissolvono e si dissolvono. Entrambi estremi lontani da quel tiepido rinnegato dall’angelo nell’Apocalisse. Essi sono simboli di una creazione, quella teatrale, in bilico perenne tra il bruciare energie e conservare la pienezza e l’essenza della maschera. Di certo elementi di una mutazione, difficili da conservare, pronti a svanire, lasciando cicatrici frutto di un percorso difficile ed estenuante verso la conoscenza e la consapevolezza.
Su tutto Mangiafoco aleggia un grande e devoto amore verso il teatro, questo artificio straordinario che spesso appare impolverato e dissestato ma, una volta illuminato con la giusta luce, sa riflettere e far riflettere con potenza smisurata le possibilità del reale.
Vorremmo concludere questa breve riflessione con un’ultima citazione di Elias Canetti: ”Sono molte le immagini di cui abbiamo bisogno, se vogliamo una vita nostra, e se le troviamo presto, non troppo di noi andrà perduto”. Roberto Latini ci offre una cornucopia di immagini non tanto su Pinocchio quanto sul teatro: su quello che significa per chi lo osserva e frequenta e per chi lo fa e vive. Entrambi si nutrono delle immagini che scaturiscono da questa straordinaria Wunderkammer, meccanismo meraviglioso per comprendere chi siamo e dove viviamo.
Visto a Milano al Piccolo Studio Melato il 12 dicembre 2019