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Tdanse

TDANSE occasioni di dialogo sulla nuova danza ad Aosta

Dall’11 al 15 ottobre ad Aosta si è svolto un piccolo evento che racchiude in sé molti elementi che possono ridefinire in modo significativo la funzione un festival nel contesto culturale di un territorio. Parlo di Tdanse festival internazionale della nuova danza a cui ho avuto il piacere di partecipare.

Festival è parola di ascendenza antica, nel cui significato si annida il concetto di festa popolare, a indicare un momento ricorrente nel tempo e nella comunità in cui celebrare e festeggiare. Oggi il termine indica per lo più rassegne e vetrine di opere che siano danza, musica, cinema o teatro. Al significato di festa, legato quindi alla condivisione e alla partecipazione, si è sostituito un senso e una modalità legata più al mostrare e al vedere, funzione che si è un po’ incancrenita in questi ultimi anni. Non basta più presentare delle opere. Alla finalità passiva di assistere manca uno stimolo, un’esigenza, una necessità e questa mancanza ha costretto, chi più chi meno, festival grandi e piccoli, a cercarsi un ruolo e un senso che non sia solo quello di proporre un menu di spettacoli. Chi ha virato verso la costruzione di un mercato per agevolare la distribuzione dei lavori, chi ha portato l’attenzione sulla creazione di momenti di dibattito che portassero al confronto e al dialogo, chi ha cercato strategie per portare nuovo pubblico alla fruizione di produzione culturale, quello che oggi si chiama audience engagement, connubio di parole in sé un po’ vuote e prive di reale significato. Tutti questi tentativi sono spesso accompagnati da una nota di forzatura, di estraneità al contesto in cui si opera, oppure di creazione di una sorta di ambiente asettico e riservato agli esperti del settore. Nel peggiore dei casi c’è palese la sensazione di inganno, di rispettare dei canoni al solo fine di poter accedere ai bandi di finanziamento. Difficilmente vi è un’integrazione in un ambiente comunitario preesistente.

Questo avviene per molte ragioni. Prima fra tutte il fatto che l’arte e la cultura hanno perso esse stesse una funzione nel tessuto della società. La creazione contemporanea si è un po’ slegata dalla vita e dai problemi del contesto sociale, mantenendo sì dei legami, ma che si fanno sempre più sfilacciati, forzati, privi di un vero slancio, di riflessione vera, di militanza politica. E capire quali sono i motivi che hanno portato a questo meriterebbe non certo un articolo ma un saggio corposo. Le ragioni sono innumerevoli e si annidano in molti settori, dall’educazione all’informazione, dall’arte all’economia. Quello che conta nel contesto di questo piccolo scritto è segnalare che un festival ha la necessità per sussistere di riscoprire o inventarsi una funzione che lo leghi al tessuto sociale che ne garantisca perciò la necessità. Il tessuto sociale che ospita un evento deve sentire il bisogno e l’utilità senza la quale si entra nell’artificio scollato da un corpo che lo ospita come un virus o un parassita, e questo avviene soprattutto quando i festival operano in piccoli centri di provincia generalmente lontani dai grandi focolai culturali dove vi è già un pubblico pronto a riceverli.

Le piccole realtà provinciali sono spesso disabituate ai fenomeni culturali legati ai linguaggio contemporanei, ma sono anche i luoghi più atti a ospitarli anche solo semplicemente per ravvivare dei percorsi turistici. Molti dei più importanti festival di Live Arts italiani risiedono in provincia (pensiamo a Santarcangelo, a Polverigi, a Kilowatt, Centrale Fies o InArmonia solo per citarne alcuni) e altrettanto spesso vi è una sorta di frizione tra comunità locale e evento culturale. Tutti cercano di allentare questa tensione, di cercare un modo di comune convivenza, di instaurare un rapporto di reciproco interesse.

Tdanse è festival interessante, da questo punto di vista, perché nei suoi due anni di vita in un contesto come quello di Aosta e della sua magnifica Valle, territorio decisamente abbandonato da fenomeni culturali legati al contemporaneo degni di nota, ha attuato delle strategie che con il tempo porteranno buoni frutti se la sua direzione sarà lasciata libera di lavorare.

Innanzitutto Tdanse recupera decisamente il concetto di festa popolare nel senso più nobile ossia quello di riunire una comunità per condividere dei valori. La prima impressione che si affaccia all’animo raggiungendo la Cittadella dei Giovani di Aosta presso l’imponente e massiccio Arco di Augusto, e quello di calda accoglienza e di volontà di condividere un’esperienza insieme. Chi partecipa al festival viene ospitato da cittadini di Aosta, nelle loro case; i momenti di dialogo e incontro tra pubblico, artisti, operatori, critici sono innumerevoli. Tdanse crea innanzitutto relazione. Partecipare significa, nel caso di Tdanse, soprattutto incontrare, conoscere, dialogare.

Conseguenza primaria all’incontro e alla conoscenza, è il confronto. Artisti di diversa provenienza e pubblico discutono e apprendono. La questione culturale diviene necessità di conoscenza reciproca. Quindi non solo l’opera, ma la pratica, la creazione, il lavoro, le esigenze vengono discusse, esaminate, confrontate. E questo ripeto non solo tra artisti, che risiedono in Aosta per tutta la durata di Tdanse e non solo per il momento della propria performance, ma insieme con il pubblico.

Quest’ultimo è decisamente giovane. Una media di età molto bassa e questo è un bene assoluto. Di fronte a pubblici geriatrici a Tdanse si respira aria di freschezza grazie a un’accorta politica di dialogo con le scuole e con i giovani. Si costruisce il pubblico di domani e un radicamento dell’affezione sul lungo periodo.

La direzione artistica di Marco Chenevier e Francesca Fini ha dunque cercato di radicare l’evento in un tessuto sociale difficile, disabituato agli eventi e in una regione, la Valle D’Aosta, che ha tagliato più di ogni altra i fondi e i finanziamenti alla cultura. Tdanse sta investendo sul futuro e i frutti si vedranno decisamente negli anni a venire se verrà concesso loro di lavorare.

Certo vi sono dei piccoli difetti, come la presentazione dei Q&A, decisamente un po’ forzati e inquisitori. Andrebbero costruiti in maniera più rilassata e libera. Ma sono dettagli che sicuramente verranno emendati nelle prossime edizioni. La direzione è quella giusta

Tdanse è anche programmazione legata alla danza e alle nuove tecnologie. Attenzione primaria rivolta ai giovani artisti sia italiani che europei. Tra quelli visionati segnalo la Compagnia 7/8 chili con Display, un ironico gioco tra reale e virtuale in cui l’identità si frantuma nei due spazi adiacenti creando ironiche possibili congiunzioni; Mariella Celia con Sleep elevation, un sogno tutto al femminile in cui con grande leggerezza e comicità ci si confronta letteralmente con i propri scheletri nell’armadio; Darran McLoughlin con The Whistle, uno spettacolo tra danza e giocoleria in cui un fischietto e alla complicità del pubblico si crea una visione e una narrazione. A questi lavori si affiancano quelli di nomi decisamente più affermati come Roberto Castello con il suo toccante In Girum imus nocte et consumimur igni, e Stalker Teatro con Steli. Inoltre una personale di Francesca Fini che presenta una serie di lavori quali Skin/Tones, Fair and Lost e Bodyquake, quest’ultimo insieme a Oriana Persico e Salvatore Iacoresi.

Agli spettacoli, destinati alla fascia serale, si affiancano nel pomeriggio masterclass, incontri con il pubblico e conferenze. Tra quest’ultime decisamente interessante quella con Alberto Cossu ed Emanuele Braga di Macao, in cui tramite l’esempio di Santarcangelo dei Teatri dove sono stati invitati ad attuare uno studio di fattibilità, si è indagata le possibilità di creare insieme ai festival delle economie alternative. Interessante l’incontro tra il Collettivo C.re.s.co e alcune giovani compagnie aostane volto a indagare e a comprendere le esigenze delle arti sceniche nel contesto proprio della Valle D’Aosta.

Come si può evincere da questo piccolo e necessariamente breve racconto, Tdanse ha offerto un ricco e interessante ventaglio di eventi e occasioni di incontro, inserito in un clima altamente amichevole e ospitale. L’intreccio con la comunità aostana si è avviato nel migliore dei modi, il pubblico non è mancato, come le famiglie che hanno deciso di ospitare operatori e artisti nelle proprie case. Se il sostegno delle istituzioni e l’energia e le motivazioni di Marco Chenevier e dello staff di Tdanse non verranno a mancare, questo piccolo festival potrebbe crescere e diventare un ottimo e fertile momento di incontro e confronto all’interno del panorama festivaliero italiano. E questo lo auguro con tutto il cuore perché vi è l’urgente necessità di riscoprire il dialogo fondativo tra arti e comunità.