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Faust Deep Web

FAUST DEEP WEB di Raphael Bianco e Matteo Stocco

Faust Deep Web andato in scena al Castello di Moncalieri il 26-27-28 gennaio, costituisce il secondo appuntamento della Trilogia della civiltà, progetto scenico e coreografico di Raphael Bianco e della Compagnia EgriBiancoDanza.

Con Orlando e Prometeo, Faust costituisce una tappa di un’indagine sui miti costituenti la nostra civiltà occidentale messi a confronto con un oggi problematico e a tratti inquietante.

Nel caso specifico di Faust Deep Web, la coreografia di Raphael Bianco si innesta sull’istallazione del giovane artista Matteo Stocco. Quattro grandi schermi da cui fuoriescono cavi innumerevoli come tentacoli di dei ancestrali e mostruosi. I danzatori sono gli officianti di questo strano rito di evocazione a cui pochi partecipanti sono ammessi.

Nell’entrare in questo spazio, sacro e sacrilego insieme, si viene accolti da due figure, una donna in bianco e una velata figura in nero che sussurrano: “Tu sei Faust”.

Ed è proprio quello che accade in questa performance. si è Faust nella misura in cui si vuole conoscere ciò che è proibito conoscere, ammirando il mondo dalle profondità del deep web. Gli schermi ci propongono universi nascosti e proibiti, di armi, sesso, di incontri illeciti, in quella parte sommersa della rete che contiene tutto lo scibile peccaminoso. Non sono più le meraviglie del mondo ma le sue bassezze e miserie.

Come in una performance del Teatro del Lemming, lo spettatore è protagonista, è il personaggio principale, continuamente sollecitato e provocato dai danzatori ad agire a reagire; e come avviene spesso in questo tipo di performance, il pubblico si trova ad essere imbarazzato, sentendosi invasore in uno spazio di cui non comprende le regole. Non sa quanto possa fare e se fare, per cui spesso si barcamena in una imbarazzata via di mezzo, vittima passiva di un meccanismo che finisce per subire.

Il percorso è comunque suggestivo ed evocativo. I bravi danzatori danno dimostrazione di buone qualità come attori, gestendo il rapporto con il pubblico in maniera disinvolta e mai forzosa. Il linguaggio danzato è semplice, minimale, assolutamente comprensibile, così come l’intento della performance che non si nasconde dietro inutili opacità intellettualistiche, pericolo sempre dietro l’angolo in questo tipo di realizzazioni.

Interessante l’uso del suono prodotto dai danzatori grattando i tubi, spostandoli, muovendo gli schermi, sfiorando gli oggetti metallici. Una colonna sonora aggiuntiva che si innerva in quella prodotta dagli schermi o dalle casse. Forse si poteva lavorare in questo senso in maniera più organica.

Anche la location di Faust Deep Web, la palestra nei sotterranei del Castello di Moncalieri costituiva un valore aggiunto all’evento, e dimostrando una volta di più che il luogo-teatro può essere ovunque e sfugge sempre più dalla gabbia del luogo deputato e anonimo.

Faust Deep Web è performance che attinge a vari linguaggi, perdendo la purezza del genere e diventando generazione equivoca tra vari mondi in cui si incrociano danza, teatro e arti visive. Oramai distinguere i vari generi di Live Arts diventa sempre più difficile e in un certo senso anche inutile. La scena ha sempre vissuto di incroci e di meticci e non ha avuto mai paura degli sconfinamenti.

L’ibrido scenico che si svolge dal vivo, che vive dell’immediatezza del contatto con il pubblico che non è solo spettatore ma co-creatore dell’evento è poi strada sempre più battuta e fruttuosa. Il pubblico è stanco di essere spettatore, vuole essere attore, essere coinvolto nel processo, partecipare alla costruzione dell’opera che ha senso solo nel momento presente in cui si fa e viene partecipata.

Ph: @SIMONE VITTONETTO