A volte si incontrano dei lavori che sono semplicemente quello che appaiono. Non c’è nulla da capire, nessun significato recondito da dover decifrare o interpretare. Solo la gioia di compiere quegli atti in quel momento davanti a un pubblico. È il caso di Sing the positions di Ioannis Mandafounis visto al Performa Festival.
Ioannis Mandafounis è un coreografo con un solido passato da interprete (membro della Forsythe Company dal 2005 al 2009, oltre che partecipazioni importanti con il Nederlands Dans Theatre e altre prestigiose formazioni) che dal 2004 crea i suoi lavori riscuotendo successo di pubblico e critica in tutta Europa (nel 2015 è stato premiato con lo Swiss Dance Awards). In Italia ha fatto qualche apparizione negli spazi di Ariella Vidach a Milano e a Roma Europa Festival con Apersona.
Sing the positions è un gioco sonoro e danzato in cui i due danzatori, lo stesso Ioannis Mandafounis affiancato da Manon Parent, non vogliono altro che suonare, danzare e cantare di fronte al proprio pubblico.
Una tavola apparecchiata con strumenti musicali tradizionali, tastiere, flautini, fischietti, un violino, insieme a pedaliere, loop station, distorsori e quant’altro. E ovviamente i due danzatori che accolgono il pubblico. Dal primo istante fino alla conclusione si assiste alla danza sonora dei corpi, al loro movimento nello spazio e al loro farsi strumento musicale.
Il ritmo della danza diventa struttura sonora: i fischi, i sibili e gli ansimi generati dallo sforzo fisico, perfino il respiro insufflato uno nel corpo dell’altro, il battere delle mani sui corpi, tutto genera suono, tutto diventa concerto e danza.
Non si ha paura di affrontare nulla dello spettro sonoro, dal silenzio al rumore puro, dall’armonia di un canto d’opera alla disarmonia di un urlo sgraziato. Tutto è materiale, tutto risuona e tutto danza.
Sing the positions di Ioannis Mandafounis è un atto ludico di gioiosa creazione. Come dicevano gli Area: giocare col mondo facendolo a pezzi. Non c’è nessuna regola, tutto diventa possibile e viene condiviso generosamente con il pubblico che assiste e a volte trascinato partecipa anche solo battendo le mani accompagnando il ritmo.
A volte, come dicevo all’inizio, non c’è nulla da capire, non c’è nulla da dire eppure tutto diventa magicamente poetico. In qualche modo quello a cui si assiste è un rinnovarsi della danza di Siva che crea e distrugge i mondi. Niente altro. Come bambini si prova gioia solo nel tentativo di fare, senza cercare un risultato, senza volere per forza voler giungere a una forma o sottendere un pensiero. Solo suono, movimento, canto.
Sing the positions di Ioannis Mandafounis è un puro atto artistico che non vuol dire o comunicare niente altro che questa gioia di fare davanti a un pubblico. E in questo non voler dire nulla, ho trovato molto più entusiasmo, – nel senso proprio dell’etimo ossia nell’essere pieni di un dio che ci trascende e ci scuote -, che in decine di altri lavori pieni di concetto.
A volte nel balbettio insignificante di un gioco di bambini vi è molta più ricchezza che in un trattato di filosofia. Certo non è che cose del genere non si siano già viste, ma importa? In fondo quella temperie da sperimentazione pure da anni ’60 e ’70 conserva ancora una certa freschezza quando non è pedante riproposizione di modelli e stilemi, ma semplice gaiezza di provare un’esperienza.
Sing the positions ha questo merito: di far esperire al pubblico un gioco serissimo volto alla creazione senza direzione. Un momento senza regole, non perché non le possieda ma perché tutte le trascende forzandole a obbedire solo all’imperativo di manifestare un processo caleidoscopico di forme che appaiono e dopo un attimo solo scompaiono. A volte basta solo questo. A volte non c’è niente altro da dire.