L’8 maggio è andato in scena alle Lavanderie a Vapore di Collegno lo spettacolo Border tales di Luca Silvestrini per la Compagnia Protein.
Border Tales nasce in una prima versione nel 2013 e torna sulle scene, in una seconda versione, nel 2017 al Fringe di Edimburgo ottenendo un grandissimo successo di pubblico e critica.
Sette danzatori di provenienze e origini geografiche diverse si incontrano sul palco e si confrontano su tutti i possibili pregiudizi a cui vanno incontro giorno per giorno. Yuyu è taiwanese, eppure la gente la saluta in giapponese, o pensa che non vuol stringere la mano perché gli orientali rifuggono il contatto. Eryck è di origini pachistane, ha la barba ed è mussulmano e ogni giorno fronteggia le paure di chi lo incontra vedendo in lui un estremista.
Ma le cose funzionano anche a senso inverso: Andrew è inglese per cui il venerdì deve ubriacarsi o andare allo stadio come un hooligans? E tra Andrew, inglese, e Stephen, irlandese, non ci sono gli stessi pregiudizi benché condividano in buona parte la stessa cultura e la stessa lingua? Protestante o cattolico? London Pride o Guiness?
Border tales però non racconta solo episodi sui pregiudizi razziali (e ricordiamo per inciso che le razze non esistono), ma racconta una società che vuole integrare per livellare, non abbraccia le differenze ma desidera appiattirle. Come racconta Kenny, originario di Hong Kong: “mi sono trovato a scuola con la divisa che era per tutti uguale, ma in questa uguaglianza risaltavano le differenze”.
Border tales racconta il fallimento di una politica che non è solo inglese. L’integrazione è rendere uguale ciò che è diverso. Si cerca di far diventare europei chi non lo è, per far diventare gli stranieri come noi, riassorbendoli nella nostra identità, benché sia quest’ultima a essere debole e fragile.
Border tales racconta con ironia e leggerezza della Gran Bretagna pre- e post-Brexit, ma quello che accade in scena lo possiamo ritrovare ogni giorno scendendo nelle nostre strade, prendendo l’autobus o un caffè al bar, non solo in Gran Bretagna. Gli italiani non sono più tolleranti o meno razzisti degli inglesi. Tutti siamo pregni di pregiudizi, vogliamo appiattire l’altro che non conosciamo a misura della nostra pochezza. Si ha paura di ciò che non si conosce perché pensiamo che tale differenza mini la nostra identità. E così, nonostante si condivida una medesima umanità, continuiamo a vedere nell’altro uomo un nemico e non una possibilità.
I confini evocati all’inizio e alla fine dello spettacolo, in quella linea discontinua che divide arbitrariamente la scena come i confini nelle ex-colonie, non sono solo tra nazioni e continenti, ma tra generi sessuali, professioni, età della vita, colore della pelle.
In Border tales interessante è la presenza di stereotipi nella danza, con elementi e gesti orientali, mediorientali, latini, afro, con abilmente si mischiano con quelli raccontati a parole. Il gesto del corpo e la parola si intrecciano in un contrappunto di narrazioni che sviluppano, con l’arma dell’ironia, la vacuità dei pregiudizi sullo straniero.
Border Tales mi ricorda molto The blind poet di Jan Leuwers, e non perché i due spettacoli siano simili, ma in quanto raccontano, da due opposte balze e con tonalità differenti, l’impossibilità di essere in qualche modo puri e esenti dall’incomprensione che il pregiudizio porta con sé. Come alla lontana tutti noi siamo stati invasori e invasi, come ognuno di noi ha antenati che hanno lasciato le proprie terre per andare altrove, così nessuno può dirsi privo di un alterità.
L’ironia è poi l’arma in più perché disinnesca la minaccia con una risata. Di fronte al riso tutto crolla come per effetto delle trombe di Gerico. La leggerezza ironica è dunque l’elemento che rende questo spettacolo così godibile pur restando profondo.
L’operazione delle jesino Luca Silvestrini e della Compagnia Protein è dunque interessante e riuscita. L’arte si occupa del reale, lo discute e lo disseziona insieme al pubblico mettendo in discussione le nostre posizioni in una forma forse troppo confortevole (il razzismo e l’intolleranza sono una piaga che continua ad ammorbare le nostre società). Border tales resta uno spettacolo intelligente, fruibile e che non rinuncia a scandagliare le crepe che intaccano il nostro tempo e le nostre società. Farlo con il sorriso sulle labbra è certo un valore aggiunto.
Ph: @Jane Hobson