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2019 DI OHAD NAHARIN: COME SFUGGIRE ALLE GABBIE CULTURALI

Tra le colline del Monferrato nel comune di Moncalvo sorge da qualche anno Orsolina 28 Art Foundation, una fondazione privata a sostegno della danza contemporanea. Tra bellissimi colli, orti biodinamici, piscine colme di ninfee, serre tropicali, sorge un complesso di strutture nate per ospitare l’emersione di creazioni coreutiche, e ospita nel contempo luoghi innovativi dove mostrarle al pubblico. La Fondazione si è dotata infatti oltre che di una superba e ampia sala prove, anche di un’arena anfiteatro all’aperto, dove gustare la danza senza orpelli tecnici né luci artificiali, solo il corpo in movimento, e l’Occhio, uno spazio architettonico pensato insieme a Ohad Naharin, il celebre coreografo israeliano, inventore della Gaga Dance.

L’Occhio, l’avvenieristico spazio teatrale a Orsolina 28 Art Foundation

Questo spazio innovativo e futuristico, capace di ospitare circa trecento persone, è il luogo deputato per il debutto europeo di 2019, ultima creazione proprio di Ohad Naharin con la Batsheeva Dance Company. Parafrasando Dante prima di parlar di ciò ch’io vidi, dirò prima dell’altre cose ch’io vi ho scorte nel vivere quest’esperienza non limitata alla sola evidenza spettacolare.

L’intento di Simony Monteiro, ex danzatrice formata negli Stati Uniti presso la School of American Ballet e l’Alvin Ailey Dance Theatre e fondatrice di Orsolina 28, è quello non solo di fornire alla danza un luogo dove crescere e prosperare, ma circondare l’esperienza artistica con una fruizione del territorio votata a una filosofia di rispetto della natura. Orsolina 28 è infatti anche un’azienda agricola che persegue principi biologici nelle proprie coltivazioni, un ristorante dove poter gustare i prodotti e un moderno Glamping dove potersi rilassare a contatto con la natura. Orsolina 28 è quindi un incubatore di progetti coreutici ma anche un’azienda agricola unita a una moderna ricezione turistico alberghiera improntata al green e al wellness.

Partecipare al debutto europeo di 2019 di Ohad Naharin non è stato solo vedere uno spettacolo, ma sperimentare l’azione della Fondazione in tutte le sue sfaccettature, dalla visita alla proprietà, l’aperitivo con i vini di propria produzione, la cena con i prodotti dell’orto, e infine, entrando nell’Occhio, farsi colpire e attraversare dalle intense emozioni che i lavori del coreografo israeliano sanno sempre regalare allo spettatore.

L’Occhio è un insolito spazio performativo: il pubblico è disposto su due gradinate poste una di fronte all’altra. La scena è situata al centro, come una passerella d’alta moda. Le uscite sono laterali. L’occhio dello spettatore fatica a contenere tutta l’estensione di questo palcoscenico sui generis. Bisogna cercare le immagini, farsi necessariamente un proprio montaggio, unico per ogni occhio che guarda.

2019 si dipana come uno scorrere di immagini, tra la sfilata e la processione, una teoria di corpi, ibridi ed erotici, danzanti o semplicemente in cammino, sempre accompagnati da musiche ebraiche più o meno tradizionali. Non potendo comprendere le parole dei canti ci si deve far guidare dalle sensazioni e dalle emozioni. Ma è così fondamentale capire? L’atto di conoscenza proveniente dall’opera d’arte non scaturisce anche dal fraintendimento?

2019 di Ohad Naharin

2019 sembra essere un lavoro sulla nostalgia derivata dall’essere ingabbiati, corpo e mente insieme, nel luogo e nella cultura in cui ci troviamo a nascere. Sfuggire a questa attrazione è spesso o forse impossibile. Non resta che tendere verso una linea di fuga. La responsabilità è però condivisa con il pubblico. L’occhio che vede definisce il corpo che danza e si espone davanti a lui. Si compartecipa alla creazione non solo di una visione ma di un sistema di pensiero. Questo peso simbolico diventa fisico quando i corpi dei danzatori si sdraiano sui corpi degli spettatori seduti, spettatori che non guardano solo danza ma si guardano l’un l’altro come in uno specchio pronto a diventare un abisso. È come se nella struttura compositiva di 2019 vi siano intrecciati gli antichi miti greci di Persefone, la Pupilla il cui sguardo permette il rapimento di Ade, e il mito di Ylas, amico di Eracle, rapito dalle ninfe sorgenti dallo specchio d’acqua di una limpidissima fonte. L’occhio che guarda dalla duplice natura di rapito e rapitore.

La danza espressa dalla coreografia di Ohad Naharin è come sempre coinvolgente, emozionante, empatica, e tali valori sono portati all’eccesso proprio dalla grande prossimità. Ciò che colpisce sempre è l’unione di spontaneità e rigore, energia detonante ma controllata al millimetro. I corpi danzanti esprimono erotismo, sensuale ferinità, malinconia e abbandono, forza e fragilità, stati di forza perennemente cangianti non evocati da interiore reviviscenza ma dall’essere geroglifici in movimento, cangianti ideogrammi pronti ad accompagnare l’occhio che osserva in un vortice di sensazioni e riflessioni.

2019 di Ohad Naharin

2019 è un viaggio emozionante, di quelli che solo i grandi maestri sanno proporre, un percorso di trasformazione alchemica in cui l’animo di chi osserva esce di necessità profondamente cambiato. Potremmo quasi usare la parola pellegrinaggio, mettendoci in sintonia con il perenne migrare dei danzatori sulla scena-passerella.

Un ultima considerazione: Orsolina 28 Art Foundation è di sicuro un alieno nel panorama della danza italiana. Un luogo votato alla ricerca e alla cura dell’artista con possibilità che solo il grande mecenatismo privato può esercitare, sia per la quantità di fondi a disposizione, sia per la libertà dalle pastoie burocratiche dei fondi pubblici, ministeriali o regionali che siano. Di certo è un bene che i privati finanzino le arti, anche solo creando un percorso alternativo di finanziamento. Ciò che può offrire una istituzione come Orsolina 28 è però decisamente fuori scala rispetto all’intero sistema delle residenze. Sarà interessante comprendere in che modo l’ingresso nella filiera di questa astronave aliena potrà modificare l’assetto e il panorama non solo dalle danza italiana ma lo stesso sistema delle residenze artistiche in cui tutti i soggetti, senza eccezioni, si trovano ad agire con molte meno frecce al proprio arco. La speranza è che questa esperienza possa fungere da traino e da stimolo per l’intero sistema e induca il legislatore a considerare con maggiore attenzione l’istituto delle residenze artistiche come luogo in cui possono sorgere le giuste energie per una reale innovazione linguistica e formale.

Visto a Moncalvo d’Asti a Orsolina 28 Art Foundation il 18 giugno 2022

2019 di Ohad Naharin per la Batsheva Dance Company durata 75′

Sharon Eyal

OCD LOVE di Sharon Eyal a TorinoDanza

Sabato 29 settembre alle Fonderie Limone di Moncalieri è andato in scena, nell’ambito di TorinoDanza, OCD Love, coreografia di Sharon Eyal e Gay Behar con la L-E-V Dance Company.

Cresciuta in seno alla Batsheeva Dance Company, di cui è stata direttrice, Sharon Eyal ha fondato la L-E-V, il cui acronimo in ebraico significa “cuore”, compagnia che ha riscosso notevoli consensi in patria e all’estero.

La coreografia di Sharon Eyal, presentata a Torino nella versione per cinque danzatori, si ispira alla poesia omonima dello slam poet Neil Hilbron, la cui performance su Youtube ha realizzato più di quattordici milioni di visualizzazioni.

Neil Hilborn, ventisettenne texano a cui è stato diagnosticato in giovane età un grave bipolarismo, in OCD Love racconta un amore nato all’ombra di un disturbo ossessivo compulsivo. La sua è poesia colma ironia venata di dolore e rimpianto che ispira a Sharon Eyal un danza costantemente tesa, quasi in un arco isterico, tra fluidità e instabilità sincopata e che del Gaga conserva la grande intensità emotiva benché declinata in una colorazione più drammatica, quasi oscura e saturnina.

Dalla penombra della scena emerge un’unica danzatrice i cui movimenti sono scissi tra tensione e distensione. Le linee del movimento bipolari, ogni gesto offerto e negato, potenza trattenuta, quasi timorosa di esplodere.

Il solo si evolve, diventa duo e poi quintetto ma la danza conserva questo oscillare tra gli estremi, tra fluente e frammentato. I corpi si sfiorano, quasi mai si toccano, si avvicinano per lasciarsi bruscamente, universi al massimo tangenti e mai secanti.

La luce disegna la scena in toni di bianco tra l’algido e l’incandescente, sfruttando piogge, tagli, e controluci, giocando con le ombre e i toni di grigio del tappeto danza e dei fondali.

I costumi dei danzatori velano di nero solo alcune parti del corpo, anch’esso diviso tra il nitore della pelle e il corvino delle vesti.

La coreografia è contrappuntata dalla musica elettronica live di Ori Lichtik, musicista e dj, padre della rave music in Israele. Le sue sonorità ripropongono il pendolo emotivo alternando i ritmi cadenzati dai bassi a più morbide e fluenti sonorità, creando con la danza una fitta trama di intrecci.

OCD Love di Sharon Eyal, benché sia una danza estremamente tecnica, quasi virtuosistica, non perde contatto con l’emozione che a tratti trabocca. L’amore che la danza disegna è complicato, difficile, frutto si sforzo costante, sempre in bilico su un abisso, pericolante. In questo comunicare emozione che trascende il pensiero la danza di Sharon Eyal trasmette la lezione della Gaga Dance anche se il suo movimento appare meno naturale e spontaneo.

Ma è solo un’impressione. La tecnica trascende in emozione e il corpo comunica, senza bisogno di parole, tutta la devastante lacerazione di un disturbo mentale.

In OCD Love la danza è costantemente indecisa tra la routine ossessiva e il gesto affrancato dallo schema imprigionante. Come nei versi di Hillbron l’animo è in battaglia con se stesso da una parte condannato da un male che è galera a suo modo confortevole, e dall’altra incantato da un amore rischioso e liberante.

Diversamente da The Great Tamer di Papaioannou, la cui bellezza intensa era rivolta a un godimento intellettuale che quasi escludeva l’emozione, OCD Love di Sharon Eyal colpisce il cuore bypassando il cervello. Si è immersi in un’atmosfera emotiva che attanaglia le viscere. La melanconia, il rimpianto, gli afflati estatici, non sono compresi, metabolizzati, sono selvaggi, animali, incontenibili. È una danza che parla una lingua non di parole intellegibili, ma di vagiti, sospiri, grida, suoni inarticolati e balbuzienti. Quasi un linguaggio mistico dell’animo che trascende il linguaggio quasi palpito dell’animo.

Ph: @Regina-Brocke

https://www.rumorscena.com/

Neil Hilborn OCD Love  https://www.youtube.com/watch?v=vnKZ4pdSU-s