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Magda Siti

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A MAGDA SITI

Siamo alla quattordicesima intervista di Resistenze Artistiche e torniamo sulla via Emilia, a Modena per incontrare Magda Siti, direttrice e anima forte di Drama Teatro. Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Dal 2014 gestiamo uno spazio comunale sempre con l’idea che il nostro sia un vero e proprio servizio pubblico. Servizio che in questi due anni è rimasto chiuso per centinaia di giorni. Dopo il momento iniziale di shock abbiamo subito attivato quel sistema di difesa che si chiama creatività: abbiamo cioè continuato a progettare e ipotizzare azioni nel mondo reale per un futuro che non sapevamo quando sarebbe arrivato. Lo spazio fisico quindi è rimasto chiuso, lo spazio virtuale si è limitato a un contatto diretto con gli spettatori attraverso la call per il festival internazionale Cinedanza e le dirette settimanali su YouTube “Inside Cinedanza”. Nell’estate del 2020 il teatro era sempre chiuso e le performance che abbiamo organizzato per la rassegna “Frequenze” si sono svolte in un cortile privato e in un parcheggio di un circolo Arci. Sul filo del rasoio (ottobre 2020) siamo riusciti a portare a termine il festival Cinedanza in presenza e in diretta streaming su YouTube. Il secondo lockdown è stato più pesante del primo, ma siamo comunque riusciti ad elaborare il progetto “La vostra voce” che ha coinvolto cittadini e spettatori. Il focus erano loro, la loro voce, i loro racconti, le loro esperienze, che abbiamo raccolto sia davanti all’ingresso del teatro (registratore alla mano) sia attraverso una call di raccolta di racconti brevi. Poi c’è stata anche una piccola azione politico/artistica: un countdown al contrario: dirette video in cui, ogni giorno di chiusura, dalla bacheca del teatro strappavamo un foglio così che il numero stampato crescesse. A 100 giorni di chiusura abbiamo fatto un flashmob sul tetto del teatro.

Da gennaio 2021 abbiamo esplorato il mezzo radiofonico e proposto l’ascolto in prima serata di alcune opere costruite apposta da Radio Tempi Tecnici. In più ci siamo lanciati nelle prove di Era meglio Cassius Clay che ha debuttato in estate al festival Inequilibrio.

Infine l’imbuto infernale delle riaperture. Da maggio ad oggi non ci siamo mai fermati, tra attività all’aperto e al chiuso abbiamo proposto 17 titoli per un totale di 26 serate in 3 spazi della città.

Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e la vostra attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Abbiamo continuato il percorso con gli artisti con cui condividiamo da alcuni anni una riflessione sul lavoro dell’attore in scena e la scrittura scenica. Abbiamo sfruttato ogni momento possibile, tra una chiusura e l’altra e siamo arrivati al termine di una nuova produzione con testo e regia di Rita Frongia: ” Era meglio Cassius Clay”. Contemporaneamente abbiamo stretto i rapporti con un gruppo di attori giovani, a cui era giusto dare spazi sia fisici sia di creazione. È stato fondamentale per noi pensare a cosa diventava inutile. Pensare alle priorità,cercando di salvaguardare il più possibile le nostre linee culturali, compatibilmente con la sopravvivenza.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

Abbiamo avuto una vicinanza con l’amministrazione comunale che ha sostenuto il settore anche con dichiarazioni pubbliche oltre a dare sostegno economico nei limiti delle loro possibilità.

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il vostro pubblico?

Pensandoci bene, forse non abbiamo modificato radicalmente le strategie,se non nel adeguare il mezzo comunicativo alle esigenze sanitarie( radio,interviste,) perché comunque noi abbiamo sempre privilegiato un rapporto continuativo, spesso personale o coinvolgendo piccoli gruppi di spettatori. La riflessione maggiore che abbiamo fatto, riguarda la nostra attività : su cosa investire? È il momento di farlo?

Era meglio Cassius Clay

ERA MEGLIO CASSIUS CLAY: L’ARTE DI COLPIRE DI INCONTRO

n pugilato quando si dice “colpire di incontro” significa affondare un colpo d’attacco mentre si ha un atteggiamento difensivo. Rita Frongia con Era meglio Cassius Clay, in prima assoluta ad Armunia al Teatro Nardini di Rosignano Marittimo, colpisce il pubblico proprio simulando un’atmosfera, pur con qualche imbarazzo, leggera e divertente, per poi affondare il colpo da KO all’ultima ripresa.

Dico imbarazzo perché Rita Frongia gioca con quello che gli inglesi chiamano cringe, ossia quel disagio che assale chi osserva un evento ritenuto imbarazzante e di cui è assolutamente privo chi compie l’atto. Un imbarazzo vicario. Lo spettacolo intesse su questo sentimento un raffinato intrico di sensazioni in cui lo spettatore si trova imprigionato. Quello che vedo fa davvero ridere? Devo credere al brivido che, sospetto, inquina la mia risata? Qual è la vera natura dell’oggetto scenico che prende vita sotto i miei occhi?

Era meglio Cassius Clay

Era meglio Cassius Clay è un percorso nel bosco, in cui, se si sa osservare, si possono cogliere sul sentiero le mollichine di pane sparse da chi ci ha preceduto per avvertirci del pericolo. L’istinto è sempre in allarme, ci avverte che qualcosa è fuor di sesto.

Il disagio assale fin dalle prime scene. Due uomini, uno su una sedia a rotelle, l’altro in funzione di badante, quasi una coppia Hamm e Clov ma dove i ruoli sembrano ribaltati, ossia il servente sembra essere in apparente funzione dominante. I due abitano uno spazio non ben definito in cui vi è solo una vecchia poltrona rossa e sullo sfondo un’apertura come di macelleria, i cui battenti sono solo due fogli spessi di polietilene.

Costoro stanno aspettando qualcosa. O qualcuno. Suona il campanello e fa il suo ingresso una sgangherata attrice di feste per bambini. Esegue un piccolo prologo al suo spettacolino in cui la luce dopo essere apparsa viene mangiata dal buio, quasi come nel Vangelo di Giovanni dove le tenebre non hanno capito l’apparire della luce. Se fosse veramente uno spettacolo farebbe paura. Ma non ci sono bambini, solo i due figuri all’apparenza innocui. Dove sono i bambini? Chiede l’attrice :”ma è Jimmy? Dice uno dei due indicando quello seduto sulla sedia a rotelle che pare incapace di proferir parola. I due sembrano disabili mentali.

L’attricetta si trova così di fronte a un bivio cruciale nella sua vita. Andarsene perché di bambini non v’è traccia oppure far buon viso a cattivo gioco e continuare a stare in questa strana e imbarazzante situazione. In Era meglio Cassius Clay, così come in Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy, i personaggi costretti dalle circostanza si trovano a scegliere e tutti coloro che fanno la scelta sbagliata ne pagheranno le conseguenze.

Ed ecco dunque prendere vita uno strano gioco spettacolare il cui pubblico è bipartito: da una parte Jimmy e il suo losco compare, dall’altra il pubblico avvinto da questa sensazione di imbarazzo divertito per le situazioni assurde che si vengono a creare, Tutto avviene in questo spazio abbandonato, non vuoto né neutro, in qualche modo pericoloso che giustamente collima con un palcoscenico.

Tutto procede. si susseguono i giochi intervallati dai racconti delle gesta di Jimmy sul ring, storie di violenza e di intimidazioni. Le mollichine di pane si accumulano. Così si scivola nel tragico, come su un piano inclinato solo in apparenza privo di appigli per fermare la caduta. Basterebbe uscire dalla porta e non voltarsi indietro. Basterebbe davvero poco eppure inevitabilmente si cade, si sprofonda, la luce inghiottita dal buio, fino all’atto finale dove tutto conferma quello che l’istinto ci avvertiva fosse in realtà. Una mattanza preparata e premeditata, solo dilazionata per divertimento insano e perverso. L’assassinio arriva come più volte annunciato, solo che nessuno ascoltava. Eppure si rideva. Si faceva finta di niente. Ah le risate! E tosto tornò in pianto.

Era meglio Cassius Clay

Era meglio Cassius Clay di Rita Frongia ha molti livelli di lettura come le migliori opere, ma ha il merito di essere soprattutto un gesto poetico politico di forza straordinaria. Parla di noi, del mondo che abitiamo, della società che insieme costruiamo, parla del teatro, parla soprattutto dei “piccoli sì” detti con leggerezza pensando non ci saranno serie conseguenze, i “piccoli sì” che ogni giorno di più fanno sprofondare nell’abisso con noncuranza fino a quando ormai è troppo tardi.

Rita Frongia costruisce la sua creatura poetica come un grande sarto, su misura degli attori chiamati a collaborare alla scrittura scenica e drammaturgica, e gli attori (gli splendidi Angela Antonini, Stefano Vercelli e Gianluca Balducci), la ripagano riuscendo a creare quella desiderata e cercata sensazione di imbarazzo vicario, di pericolo latente, e questo nonostante le difficoltà di questi tempi (le prove sono state spesso sospese). Il lavoro ora merita un lungo rodaggio, per acquisire i giusti tempi, le pause necessarie, i chiaroscuri e quei piccoli colpi di pennello doverosi per raggiungere il giusto grado di tensione drammatica sul quel sottilissimo crinale tra violenza bruta e delicata ironia. Speriamo che il mondo teatrale bulimico e così simile alla lupa dantesca che dopo il pasto ha più fame che pria, conceda il tempo a questa piccola creatura di crescere sulla scena prima di fagocitarla e richiedere una nuova vittima sull’altare della novità a tutti i costi.

Ultima nota: dopo la prova generale a Drama Teatro a Modena ho chiesto a Rita Frongia ragione del titolo. Lei mi ha risposto, con la grande ironia che la contraddistingue, che Mohammed Ali le sembrava più ordinario di Cassius Clay. Come nome era meglio Cassius Clay.