Per il decimo appuntamento di Resistenze Artistiche ci dirigiamo in Basilicata per raggiungere Carlotta Vitale e Mimmo Conte, fondatori e direttori della Compagnia Gommalacca Teatro. Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro
Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.
Potete raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?
Il nostro lavoro culturale non si è mai fermato. In effetti il teatro, nella sua pratica quotidiana, non può interrompersi, è un fatto che avviene ogni giorno e che possibilmente abbiamo interrogato con più forza, e alle volte disperazione, nel corso di tutte le fasi, molto diverse, dall’inizio della crisi pandemica. All’inizio di marzo 2020 abbiamo visto sfumare letteralmente la programmazione estiva sulla quale stavamo lavorando con due progetti piuttosto grandi anche economicamente, legati a una nuova natura produttiva della compagnia e che esprimevano meglio il nostro modo di intendere la relazione tra scena, persone e spazio pubblico. Lì in quel punto ci siamo trovati “interrotti” non solo nell’annullamento di una data, ma proprio di un processo che dopo dieci anni aveva trovato un suo culmine nel 2019 con la Capitale Europea della Cultura e che aveva la necessità di essere accudito, sviluppato e finanziato.
Quella interruzione, in quel momento, ha significato ritrovarci con le armi spuntate, e nei mesi, sempre più consapevoli di dover ricominciare da un grado zero, da un minimo che potesse essere sostenibile lavorativamente e umanamente. Riguardo alla pedagogia la nostra scelta durante il primo lockdown è stata di tenere il rapporto con la comunità teatrale online ma solo per i mesi di marzo e aprile, poi la programmazione nella pedagogia e negli spettacoli si è messa del tutto in relazione con gli spazi intermedi, aperti e accessibili della città e dei comuni. L’acquisizione della pratica lanciata da Ippolito Chiarello del teatro in bicicletta (delivery theatre) è stato uno strumento poetico molto funzionale per ricostruire, e in alcuni casi creare, il rapporto perduto con le persone. I progetti Erasmus plus e le progettazioni in essere non si sono mai arrestati, anzi sono stati una leva psicologica e economica che ha stimolato nuovi dialoghi con le amministrazioni e le scuole. In fasi alterne è risultato utile poter collocare i dipendenti della compagnia in cassa integrazione e con il sostegno dei contributi extra-FUS siamo riusciti, con grandissime difficoltà, a mantenere una direzione.
Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?
Progettazione, cura dei pensieri e tempo per farli crescere, cura delle relazioni con le persone (fruitori, partecipanti, interlocuzioni pubbliche) produzione sostenibile, contrasto della povertà educativa, contrasto delle discriminazioni per sesso, razza, lingua e religione, spazi pubblici, rigenerazione umana, ricerca cultura e documentazione del patrimonio culturale, nuovi linguaggi multimediali per la scena, ricerca su linguaggi interattivi e sensoriali per le fasce dei più piccoli, ricerca sulle drammaturgie originali, nuove alleanze artistiche.
Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.
Siamo stati ministeriali nel periodo dal 2012 al 2014, poi le nostre esigenze e caratteristiche produttive non erano più assimilabili alla lettura che il Ministero della Cultura fa delle realtà produttive italiane. Negli anni tra il 2015 e il 2019 grazie alla nuova legge regionale n.37 del 2014 alla quale stesura abbiamo contribuito insieme agli operatori lucani, la nostra compagnia è riuscita a trovare una sua giusta collocazione in termini di finanziamento pubblico mettendo in equilibrio il progetto e la produzione.
Dopo le elezioni del 2019, e il radicale cambio politico, il processo amministrativo si è “incantato” ovvero si è bloccato come sotto l’effetto di un incantesimo. Durante la fase pandemica in Basilicata gli operatori del settore teatro, cinema, danza, arti visive sono stati dimenticati senza alcuna interlocuzione e finanziamento previsto per legge che potesse aiutarci nella transizione verso le condizioni attuali. Ovviamente abbiamo lottato e richiesto con tutti gli strumenti leciti possibili la riapertura del dialogo. Alcuna vicinanza e comprensione, anzi nella angoscia delle spese a cui non si riusciva a far fronte e alla emorragia del pubblico, delle date e dei contatti, abbiamo dovuto tirare fuori i denti, mostrare i pungi e invitare allo scontro, forse era questo un linguaggio più decifrabile di quello della pace che preferiamo perseguire. Nel 2021 siamo stati riconosciuti dal Ministero come compagnia di innovazione per l’infanzia e la gioventù e l’apparato regionale ha riorganizzato le dirigenze, qualche piccolo passo senza tanto clamore e con rigore è stato fatto. Il dialogo tra lo Stato e la Regione in materia di Spettacolo dal Vivo manca.
Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il vostro pubblico?
Le strategie non sono state differenti da quelle che sempre abbiamo messo in campo nella ricerca della relazione con le persone: innovazione culturale e attivazione delle comunità attraverso il dialogo, l’indagine e la rappresentazione artistica. Ricerca della propria qualità artistica nei contesti in sui si opera, anche per interventi minimi e non preceduti da contatti con il pubblico, non smettere di farsi domande su chi compone il gruppo di persone a cui ti stai rivolgendo, con quali strumenti stai interagendo e studio, studio, studio delle nuove forme di contaminazione intorno alle metodologie e nuovi linguaggi delle scena.
Quali sono le vostre aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?
Yuval Noah Harari ci evidenzia in diverse occasioni che tra tutti gli “homo” il Sapiens è quello che è sopravvissuto perché capace di “immaginare”. Immaginare di creare città, regni, imperi, leggi, soldi. Su questo processo si costruisce l’aspettativa sul nostro futuro. La riflessione sull’avventurarci o meno nella tessitura ministeriale del prossimo triennio è stata lunga e dibattuta all’interno della compagnia, tanto da cercare confronti per sviluppare punti di vista e valutare pro e contro. Ci siamo fatti domande a proposito della nostra natura, della sostenibilità economica sull’ingresso dal 2023 nei cluster ministeriali. Abbiamo fatto e stiamo facendo un esercizio di immaginazione che si tradurrà in azioni sui territori. Il decreto con il suo funzionamento è “una parte” del grande lavoro che una compagnia come la nostra deve fare per “immaginare il proprio futuro”. “Una parte” con dei requisiti molto rigidi in cui per un terzo valgono il progetto e le idee, tutto il resto è personale assunto, spazi e quantità. La nostra aspettativa è quella di partecipare ad un processo di rinnovamento delle norme che possano dialogare con la realtà e soprattutto lavorare per rendere visibile l’evidente, imbarazzante, squilibrio territoriale per chi opera al Sud e nelle Isole. Noi non veniamo al Nord? Lo crediamo bene! La spesa dei trasporti incide al 40% nelle scelte di chi programma sia per chi vuole “salire” che per chi vorrebbe “scendere”.
Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la vostra opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?
Quello che non si fa:
Non si esce dalla propria personale paura di perdere tutto (cosa in realtà abbiamo da perdere? Abbiamo tutto! Non gli diamo il valore giusto però).
Non ci si prende cura.
Non si scrive e dice quello che per davvero si pensa.
Non si prende atto che non c’è un braccio a cui appoggiarsi (parafrasando Virginia Woolf).
Non si lavora sul desiderio, il proprio e quello del pubblico. Desiderio, non gusto o consuetudine. “Teatro” è una parola bellissima da pronunciare, è bellissimo parlarne, ma poi quanti escono di casa per andarci? Bisogna accettarlo per costruire nuove parole che si hanno voglia di frequentare.
Non si è potuto fare:
Prendersi tempo con serenità per affrontare il cambiamento, monopolizzati da regole quali-quantitative, regole contrasto Covid e angoscia per le sale vuote, che a capienza piena rimangono mezze vuote, nella maggioranza dei casi, non vale per tutti.
Mettere le basi è un processo lungo, lunghissimo. Ci vogliono strumenti di indagine, superamento delle proprie ambizioni personali, capacità di contestualizzare, ascolto, e e desiderio di mettere le basi. Alle volte non si riesce con i propri figli. Si fa un passo alla volta, con voci unite però. Chi immagina e scrive le leggi e le norme non spunta come un fungo da in giorno all’altro, si muove in un ecosistema storicizzato e rigido che legge la realtà con le stesse lenti da decenni. Per aprire un dialogo ai fini di un cambiamento normativo ci vuole spirito europeo, determinazione e desiderio democratico. Non so se nel grande sistema ci arriveremo mai, ma so che nel piccolo può avvenire lentamente.
Breve BIO:
Abbiamo fondato la nostra compagnia, Gommalacca Teatro, in Basilicata nel 2008.
Il punto di partenza è stata Potenza, la città base che con tutte le sue criticità ha contribuito a sviluppare una nostra caratteristica peculiare: la capacità di mettere in relazione le persone e gli spazi attraverso il teatro, le discipline performative, l’arte e la co-creazione lontani dai grandi centri di produzione.
Contatti: c.vitale@gommalaccateatro.it
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