Secondo appuntamento a TorinoDanza e si cambia completamente atmosfera. Dalle ieratiche e primordiali acque di Damien Jalet si viene trasportati in una scena politica, dove la storia si confronta con l’attualità in un giocoso sogno di libertà e uguaglianza. È l’aspirazione del coreografo e ballerino del Burkina Faso Salia Sanou, attivo sia in Francia con la sua compagnia Mouvements perpetuels, con sede a Montpellier, e a Ouagandougou con il Centro di promozione coreografico da lui fondato con Saydou Boro.
D’un reve si presenta in forma ibrida, tra coreografia e musical, un luogo di sogno dove la realtà presente e passata sono ben presenti. L’opera inizia con A change is gonna come di Sam Cooke del 1963, vero manifesto dei diritti civili in America. Il brano è cantato dal vivo da tutti i danzatori immersi fino alle caviglie in batuffoli di cotone. Sullo sfondo quattro ceste colme di bianchi fiocchi simbolo di un passato di schiavitù e oppressione.
La danza comincia mentre sullo sfondo vengono proiettate immagini d’epoca delle marce dei neri negli Stati Uniti negli anni ’60, mentre i danzatori ripetono le ultime parole di George Floyd, ucciso dalla polizia a Minneapolis nel 2020, da cui scaturì il movimento di protesta Black Lives Matter.
D’un reve inizia dunque con toni cupi, in cui subentra un certo sconforto, nel dire che i tempi cambiano ma certe cose restano sempre uguali. Presto subentra però un altro clima, dopo aver cantato We shall overcome, il capolavoro di Pete Seeger, poi portato in auge da Joan Baez sempre nel 1963, ma cantato prima di loro dalle donne afroamericane dipendenti dall’American Tobacco Company in sciopero nel 1943.
È a questo punto che i danzatori prendono dei grossi rastrelli e fanno scomparire il bianco cotone dietro il fondale facendo apparire il nero del tappeto danza. D’un reve cambia passo, si trasforma in un musical, una vera carrellata di successi musicali afroamericani, canzoni che, dagli anni ’30 a oggi, hanno cambiato il ruolo e l’immagine della comunità nera agli occhi del mondo e che tutti noi abbiamo ballato o ascoltato a partire da Get Up (I Feel like Being a) Sex Machine.
Salia Sanou vuole giocare con il pubblico, trasmettere il sogno di integrazione e parità di diritti e dignità a partire dalle festosità della musica, da quel linguaggio universale che unisce i popoli oltre i confini, i colori, le bandiere. La scena si trasforma in un dancing club anni ’70, con luci colorate, palchi mobili, e danza sfrenata.
Salia Sanou ci presenta una corporeità comune, costituita da corpi normali non atletici, la danza è sporca ma calda come il fruscio della puntina su un disco di vinile. Non si cerca la perfezione stilistica ma l’empatia, il coinvolgimento, la vibrazione dionisiaca dei corpi che ballano.
Il pubblico ha accolto calorosamente il sogno di Salia Sanou e dei suoi danzatori e cantanti. Gli applausi sono scroscianti tanto da concedere un piccolo bis di James Brown danzato anche dallo stesso Sanou.
D’un reve è un’opera vitale, persino ottimistica ma lascia profonde riflessioni in questo clima di elezioni politiche dove la destra e il suo pensiero sembrano invincibili. Applaudiamo la comunità nera quando ci intrattiene ma rimaniamo insensibili alle loro morti in mare, alle loro guerre causate dal postcapitalismo da noi abbracciato. Restiamo muti e sordi di fronte ai crescenti episodi di intolleranza e forse quindi i nostri applausi focosi sono ipocriti. Forse lo sguardo con cui osserviamo le opere della comunità nera è ancora velato da un esotismo di maniera, da una simpatia per un diverso creduto inoffensivo e legato al puro intrattenimento. Chissà quanti usciti dal teatro saranno stati contagiati dal sogno di Salia Sanou e dei suoi danzatori, e quanti invece stamattina avranno guardato con pietà mista a disprezzo il nero davanti al panettiere che chiede l’elemosina.
Fonderie Limone – Sala Grande 13, 14 settembre, ore 20.45 – Prima nazionale
durata 65 minuti (senza intervallo)
Ideazione e coreografia: Salia Sanou
con Lydie Alberto, Milane Cathala-Difabrizio, Ousséni Dabaré, Ange Fandoh, Virgine Hombel, Kevin Charlemagne Kabore, Dominique Magloire, Elithia Rabenjamina, Marius Sawadogo, Akeem Washko,
Siham Falhoune, Ida Faho
musiche: Lokua Kanza
testi: Capitaine Alexandre et Gaël Faye
video: Gaël Bonnefon
scenografia: Mathieu Lorry-Dupuy
luci: Marie-Christine Soma
costumi: Mathilde Possoz
Compagnie Mouvements perpétuels
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