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Michele Mele

LO STATO DELLE COSE: INTERVISTA A MICHELE MELE

Per la sedicesima intervista per Lo stato delle cose incontriamo Michele Mele. Anche con lui affrontiamo le questioni che concernono creazione scenica, produzione, distribuzione, rapporto con il reale e funzioni della scena. Il viaggio che ci siamo proposti all’inizio di questo ciclo di interviste era scoprire la ricchezza di pensiero degli artisti che oggi lavorano e creano in un contesto estremamente complesso, e volevamo anche provare a ragionare con loro alla ricerca di soluzioni possibili.

Michele Mele si occupa di organizzazione teatrale e collabora con la Compagnia Stabilemobile di Antonio Latella, cura la promozione di Anagoor nell’abito del progetto Fies Factory e dal 2018 cura il managing del progetto Ultra con Gruppo Nanou e Masako Matsushita. È stato candidato al Premio Ubu 2019 nella categoria miglior organizzatore.

D: Qual è per te la peculiarità della creazione scenica? E cosa necessita per essere efficace?

La peculiarità del mio lavoro riguarda l’accompagnamento: conoscere e affiancare gli artisti e seguire la loro progettualità fin dall’inizio. A me interessa capire che cosa una creazione rappresenta all’interno di un percorso, quale direzione indica.
Hai presente quando esci da teatro e vuoi sapere tutto del lavoro dell’artista che hai visto, degli attori, vuoi leggere la letteratura completa dell’autore/autrice?
Ne devi volere ancora…

D: Oggigli strumenti produttivi nel teatro e nella danza si sono molto evoluti rispetto solo a un paio di decenni fa, – aumento delle residenze creative, bandi specifici messi a disposizione da fondazioni bancarie, festival, istituzioni -, eppure tale evoluzione sembra essere insufficiente rispetto alle esigenze effettive e deboli nei confronti di un contesto europeo più agile ed efficiente. Cosa sarebbe possibile fare per migliorare la situazione esistente?

Oggi ci sono più strumenti e meno soldi, budget inferiori rispetto a 10 anni fa per progetti che coinvolgono molti più soggetti, nel migliore dei casi anche molto diversi tra loro.

I teatri, più che gli artisti o i festival, possono mettere in campo azioni concrete inserite in logiche strutturali: proporre ad esempio lo stesso numero di repliche per teatro, danza e musica (contemporanei) nelle stagioni ‘classiche’, uscendo dalle logiche perimetrali delle sezioni, delle rassegne, delle architetture comunicative e cercare di mettersi in relazione con gli artisti e con i territori. I teatri vinceranno la sfida se sapranno rendersi veramente attraversabili, prima di tutto come spazi: lasciarsi abitare dagli artisti e dai loro progetti, creare le condizioni per una relazione di prossimità con il pubblico, fare in modo che le varie comunità vi transitino concretamente.

D: La distribuzione di un lavoro sembra essere nel nostro paese il punto debole di tutta la filiera creativa. Spesso i circuiti esistenti sono impermeabili tra loro, i festival per quanto tentino di agevolare la visione di nuovi artisti non hanno la forza economica di creare un vero canale distributivo, mancano reti, network e strumenti veramente solidi per interfacciarsi con il mercato internazionale, il dialogo tra gli indipendenti e i teatri stabili è decisamente scarso, e prevalgono i metodi fai da te. Quali interventi, azioni o professionalità sarebbero necessari per creare efficienti canali di distribuzione?


Teatri, festival, artisti, compagnie potrebbero interagire di più e meglio, limitando le collaborazioni episodiche e privilegiando progettualità a medio e a lungo termine; il lavoro promozionale va esteso dallo spettacolo all’artista e al suo percorso nel suo complesso. A livello ministeriale si potrebbe fare di più e meglio in termini di servizi alle imprese e ai teatri dato che vengono richiesti numeri così importanti, mettere ad esempio in campo azioni e professionalità che rendano più semplice produrre determinati numeri. Perché non è il Ministero a fornire ad artisti e compagnie le figure professionali necessarie alla produzione, alla promozione e alla distribuzione dei lavori?

D: La società contemporanea si caratterizza sempre più in un inestricabile viluppo tra reale e virtuale, tanto che è sempre più difficile distinguere tra online e offline. In questo contesto quali sono oggi, secondo la tua opinione, le funzioni della creazione scenica che si caratterizza come un evento da viversi in maniera analogica, dal vivo, nel momento del suo compiersi, in un istante difficilmente condivisibile attraverso i nuovi media, e dove l’esperienza si certifica come unica e irripetibile ad ogni replica?

Le funzioni della creazione scenica mi auguro siano ancora le stesse, pur mutando epoche e contesti. Credo abbiano a che fare con l’incontro, la diversità, il conflitto, la trascendenza, insomma con la dimensione comunitaria. Il carattere rituale della creazione, il suo esprimersi come condivisione, acquisisce un senso ulteriore in questo contesto digitale. E’ evidente che sta mutando la soglia dell’attenzione, che la curiosità scarseggia, che si approfondisce poco e male, che a volte bisognerebbe isolare i teatri da linee di telefonia mobile e wifi, che spesso abbiamo la percezione che la gente non sappia stare più insieme, ma ci sono ancora migliaia di persone che decidono di passare anche 3/4 ore in un teatro per una tragedia greca, seduti e in silenzio (le ho viste).

D: Con la proliferazione dei piani di realtà, spesso virtuali e artificiali grazie ai nuovi media, e dopo essere entrati in un’epoca che potremmo definire della post-verità, sembra definitivamente tramontata l’idea di imitazione della natura, così come la classica opposizione tra arte (come artificio e rappresentazione) e vita (la realtà intesa come naturale). Nonostante questo sembra che la scena contemporanea non abbia per nulla abbandonato l’idea di dare conto e interrogarsi sulla realtà in cui siamo immersi. Qual è il rapporto possibile con il reale? E quali sono secondo te gli strumenti efficaci per confrontarsi con esso?

Dobbiamo salvare il pianeta, combattere i cambiamenti climatici, ripulire i mari, ridurre le emissioni, curare le montagne e le campagne, non inquinare, essere più rispettosi verso ciò che abbiamo intorno. Il Teatro e la Danza possono essere strumenti straordinari di confronto con il reale ma dovranno prima rendersi ancora più accessibili e soprattutto sostenibili.