Da qualche tempo avevo un tarlo che lavorava nel sottoscala del mio cervello e sottovoce mi suggeriva di andare a visitare un luogo che finalmente veniva non solo restituito alla città ma restituito al teatro. Il tarlo mi spronava ad andare a vedere il Caffé Müller, sotto i portici di via Sacchi, proprio alle spalle di Porta Nuova.
La Fondazione Cirko Vertigo ha riportato alla luce l’ex cinema Alexandra, l’ha ristrutturato e ha dato ai locali una nuova destinazione dedicata all’incontro delle arti dal vivo.
Lo spazio è suggestivo. Le scale che scendono in profondità e portano in una sala colma di un sentore d’altri tempi con le piccole balconate a farle da corona. È un luogo che non sa di plastica e di nuovo ma che pare avere già una storia, forse anche per il suo passato un po’ peccaminoso che dona un certo charme da luogo equivoco, ibrido, interessante.
La direzione artistica del Caffé Müller, formata da Paolo Stratta e Caterica Mochi Sismondi, vuole nelle intenzioni che il palco nuovamente vivo di questo teatro non sia solo dedicato alle arti legate al nuovo circo ma che sia luogo di incontro con la danza, il teatro e forse perfino alla performance.
Non è inconsueta questa apertura, almeno sulla carta, e certo denota una sempre più necessaria capacità di intercettare il maggior numero di discipline che richiamino pubblici diversi, ma è sintomo anche di una potente convergenza di modalità in tutte le live arts.
Gli sconfinamenti di linguaggio sono sempre più consueti e, a volte, gli intrecci sono così stretti da far apparire indistinguibile la provenienza originaria. Le problematiche strutturali e di sistema poi diventano sempre più comuni tanto che ormai parlare di differenza di generi nelle arti appare sempre più pletorico.
Questo appare evidente anche nei lavori presentati venerdì 19 gennaio. Sia in Frame trio della Compagnia BlucinQue sia in MissXX di Natalia Vallebona, c’è un miscuglio di generi, di danza e di teatro ma non solo. In Frame Trio giocoleria, maschere clownesche, danza e teatro concorrono a creare un pastiche che sa di varietà, un luogo cornice per il montaggio di frame indipendenti che possono così trovare una collocazione per essere sperimentati. MissXX è invece più organico, un viaggio alla ricerca del sé sepolto sotto le convenzioni dell’apparire in società. Uno scorticamento lento, inesorabile, ma colmo di ironia verso un cuore costretto a celarsi sotto la coltre dell’apparire e trova sempre meno spazio per emergere nella sua naturalezza.
Entrambi i lavori sono acerbi, uno dichiaratamente cornice di sperimentazione, l’altro un tentativo di drammaturgia complessa che nonostante alcuni buoni spunti risulta ancora meccanico e colmo di difetti da emendare, ma che dimostrano le intenzioni del Caffé Müller: la possibilità di sperimentare e perfino sbagliare che viene concessa agli artisti. La mia speranza è che veramente i propositi si accordino con una pratica. Vi è veramente bisogno di luoghi aperti ai tentativi, che permettano ai giovani di farsi le ossa e di provare senza paura di sbagliare. I fallimenti sono necessari per imparare a camminare e, sempre più spesso, la ricerca di un successo sicuro, porta a camminare sulle orme degli altri, a garantirsi risultati certi con la triste conseguenza che si vedono sempre più lavori/cloni di modesto valore.
Come in ogni nuova avventura si parte con grandi speranze e con l’intenzione di navigare in mari ampi e sconosciuti, e l’augurio al Caffè Müller è di mantenere lo sguardo aperto sui vasti orizzonti, così come di proporsi sulla scena teatrale e non solo come luogo disponibile all’accoglienza senza farsi incarcerare nelle logiche scambiste che gravano sulle nostre programmazioni.
Il mio auspicio è che veramente il Caffè Müller si possa dimostrare un teatro aperto e curioso pronto ad ospitare chi merita una chance di esser visto, un’officina aperta a lavori in corso più che una vetrina di anemiche operazioncine di sicuro successo e corta vita nella memoria degli spettatori.