Venerdì e sabato sera nel secondo appuntamento della stagione di Officine Caos sono andate in scena due opere che in vario modo portano all’attenzione del pubblico questioni politiche urgenti e stimolanti. Sia in Amleto di Teatro del Lemming, sia in UnCOVERED woMAN della danzatrice e performer franco-canadese Julia B. Laperrière si manifesta un corpo politico che travalica la scena e si spinge in platea.
Incominciamo da Amleto del Teatro del Lemming.
Chi è Amleto? Il principe di Danimarca diserta le scene e diviene platea, diviene moltitudine muta che osserva la scena. Impotente, silenzioso, privo per una volta di battute, questo Amleto del Teatro del Lemming diviene corpo politico.
Chi osserva, chi guarda non fa. Questo è l’assunto. E tutto questo si innesta in un gioco di specchi che rimanda dalla scena alla platea. La donna che regge lo specchio e sputa sull’immagine ivi riflessa, guarda verso di noi, ormai condannati a essere Amleto per decisione altrui, impossibilitati a ribellarci dalla posizione passiva che come pubblico abbiamo adottato, massa silenziosa che resta nel buio.
Siamo Amleto perché come lui ci troviamo in una parte che non abbiamo scelto né voluto, scissi tra accettazione e rinuncia.
Molto si è scritto e si potrebbe scrivere su Massimo Munaro e il Teatro del Lemming, ma una cosa è certa: è un teatro che non lascia mai indifferenti, che porta sempre a prendere una posizione. In questo capitolo della trilogia shakespeariana, diveniamo protagonisti senza nulla poter fare, nemmeno baloccarci con il dubbio di essere o non essere.
É la scena che ci dona sostanza, è l’agire di quelle immagini evanescenti, di luce caravaggesca, in perenne fluttuazione di registro, che ci permette di assumere un ruolo che altrimenti non terremmo ad assumere. Ma il Teatro del Lemming ci pone nello stesso tempo in un paradosso: siamo una parte, un personaggio, che non può parlare perché non ha la battuta, e non può agire perché non ha didascalia. Come un re degli scacchi i nostri movimenti sono limitati, e il gioco è svolto solo dagli altri pezzi.
E come il re degli scacchi siamo in perenne assedio, le immagini ci incalzano con un ritmo ossessivo prima, dilatato poi, spingendoci sempre più in una dimensione onirica che non può terminare che in un silenzio assordante. Siamo esistenze sospese tra l’alzata e la calata di un sipario, e poi è tutto buia notte e silenzio.
Come nella tragedia per il Principe di Danimarca il teatro diviene strumento di presa di coscienza del delitto, nel farsi doppio della realtà, così in questo caso si diviene coscienti della propria miserevole impotenza perché il teatro conferisce forma a una realtà che non vogliamo vedere. Continuamente provocati ad agire, a dire la nostra, a far parte della scena restiamo muti, nel buio, senza nulla fare perché non sappiamo cosa fare né quando né quali sono le regole e anziché inventarcene una, o agire senza il bisogno che ci siano, preferiamo restare zitti e fermi.
E allora chi è lo spettro del padre? E la madre prostituita? E Ofelia abbandonata e nell’acqua annegata? Tocca trovar nella nostra vita risposta ai quesiti che pone Massimo Munaro e il Teatro del Lemming. E tocca trovarla una risposta perché nella vita di ogni giorno ci proviene sempre più l’urgente e imperioso stimolo ad agire, a prendere posizione e sempre più distogliamo lo sguardo da quanto accade. Forse è ora di cominciare ad agire.
Altro discorso invece per UnCOVERED woMAN di Julia B. Laperrière, dove il corpo di donna si spoglia sempre più dei miti e dei pregiudizi che gravano sulla sua identità fino a ritornare nudo e forse di nuovo padrone di sé. Nel nome già vi è un’ambiguità, e forse un’accusa, o semplicemente la rilevazione di un sintomo.
Da una posizione china al suolo, lentamente la donna trasmuta come Proteo passando per Eva e la mela, alla casalinga, bella lavanderina imbrigliata nella borsa della spesa di tela, che diviene oggetto di vezzo e vanità, e infine corpo ribelle e rivoluzionario. Ma qual è la verità di questo corpo? Veramente riusciamo a spogliarlo dei pregiudizi che l’hanno coperto per sì lungo tempo? Il feminino veramente può sorgere libero e svincolato dalle immagini che l’hanno vestito per secoli?
Una piccola performance molto intelligente quella di Julia B. Laperrière, che esamina la figura della donna e l’ambivalenza di ogni immagine legata al corpo femminile. E come in Amleto di Teatro del Lemming siamo tutti Amleto, in questo caso ci troviamo a essere tutti dei Signor Palomar, a non sapere cosa guardare e se guardare quel meraviglioso corpo nudo che cerca con tutte le sue forze di svicolarsi dalla gabbia delle immagini e dei concetti che nonostante la nudità le restano comunque appiccicati addosso.