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La favola ecologica di Akram Khan: Jungle Book Reimagined

Giunge a Torinodanza, dopo il debutto italiano a Romaeuropa Festival, Jungle Book Reimagined di Akram Khan. Il coreografo bengalese nato a Wimbledon è ormai una stella riconosciuta nel panorama della danza contemporanea e le sue creazioni riescono sempre a stupire e sorprendere per le invenzioni visive e il rigore tecnico unito a una grande resa emotiva.

Jungle Book Reimagined è un reinvenzione del famoso libro di Rudyard Kipling in cui sono contenute le storie di Mowgli, il ragazzo della giungla, e degli animali che lo allevano ed educano alle leggi della natura. Akram Khan e lo scrittore Tariq Jordan rielaborano il materiale originale costruendo un favola contemporanea rivolta ai bambini di oggi e domani o, come li chiama Akram Khan, “i nostri narratori presenti e futuri”. Ne risulta un mito ecologista, volto a costruire una rinnovata percezione della reciproca dipendenza tra l’uomo e l’ambiente naturale. È un invito a abbandonare lo scriteriato sfruttamento del pianeta che sta portando, non solo all’estinzione di numerose specie animali e vegetali, ma a un radicale quanto nefasto cambiamento climatico.

La storia di Mowgli viene dunque riscritta secondo questi criteri rielaborando il materiale proveniente soprattutto dai capitolo primo, secondo e sesto del libro di Kipling. Non siamo più nella giungla indiana, ma in un’Inghilterra sommersa dall’acqua in un mondo devastato da una crisi ecologica. Gli uomini si sono rifugiati sulle montagne e quel che resta della terra è occupato dagli animali fuggiti dagli zoo o dai laboratori di sperimentazione. Mowgli è una bambina, caduta da una zattera mentre fuggiva con i genitori, e che già prima del cataclisma cercava di riscrivere i propri comportamenti nei riguardi della natura. I lupi la trovano sulla spiaggia dopo che le balene l’hanno salvata e la accolgono nel consesso degli animali, sotto la tutela di Bagheera e di Baloo. Le ambientazioni sono post-apocalittiche tra rovine, carrelli di supermercato abbandonati, spazzatura. Gli animali e la natura si stanno riappropriando degli spazi loro negati dall’uomo.

L’episodio del rapimento di Mowgli da parte del Bandar Log, il popolo delle scimmie, rivela che anche da parte degli animali si è creato un dissesto dei rapporti tra le specie. Le scimmie vogliono diventare come l’uomo, desiderano il fuoco per diventare la specie predominante sulla terra. Kaa, il pitone, a cui si rivolgono Baloo e Bagheera per salvare la bambina, nutre un forte risentimento per gli uomini per averlo ingabbiato in una teca, in cui l’apparente libertà è solo un’illusione dovuta alla trasparenza della gabbia. Nuovi equilibri devono essere stabiliti, nuove alleanze tra l’uomo e la natura. È il senso del racconto dell’elefante e dell’intera coreografia di Akram Khan.

Il carattere fortemente ambientalista della favola riscritta è connotato anche dagli inserti di due interventi di Greta Thunberg: il famoso “How dare you?” reiterato nel discorso alle Nazioni Unite e parti del discorso “Blah, blah, blah”.

L’impegno verso l’ambiente si denota anche dall’utilizzo di pochi materiali poveri, su un palco vuoto dove la magia del racconto è sostenuto dai corpi danzanti, dalle essenziali ma efficaci animazioni proiettate in proscenio, e da una suggestiva colonna sonora. Semplicità è la parola d’ordine di questo allestimento, una elementarità che non sminuisce ma esalta la magia della scena. Molto riuscita la figura del pitone Kaa, che prende vita da semplici scatole di cartone di varie grandezze, tenute in mano dai danzatori in ordine decrescente a simulare le spire del serpente, le cui evoluzioni ricordano quelle dei draghi cinesi del capodanno. I suoi occhi ipnotici sono semplici dischi di plastica verde retroilluminati nella scatola di testa. Evocativa anche la scena dell’annegamento del cacciatore nel mare, una semplice tela azzurra di shantung, le cui variazioni di colore, esaltate dalla luce, riproducono, come per magia, i riflessi del mare in una notte di plenilunio.

La danza, seppur rigorosa, è coinvolgente ed emozionante. I personaggi sono ben caratterizzati da un divenir animale che non ricerca la mimesis ma un artificio che si fa natura e diventa un’evocazione burlesca e insieme commovente. L’orso Baloo, per esempio, diventato un ballerino per divertire i bambini dello zoo possiede una forza comica da clown, ma può ricordare al massimo un orso da cartoni animati, così come Bagheera possiede l’eleganza delle movenze di un felino senza mai scadere nella copia. Come sempre nelle danze di Akram Khan si ritrovano le geometrie alla De Keersmaeker sapientemente miscelate con elementi pop, come la break dance, o i riferimenti alla tradizione indiana, soprattutto nelle disposizioni lineari, come nei bassorilievi nei templi indù che raffigurano le danze delle Apsaras. Ne risulta una coreografia dinamica, con frequenti cambi di ritmo, e un’accorta distribuzione dei numeri d’insieme con le parti solistiche o nei duetti. La tecnologia dell’animazione digitale si inserisce e amalgama con eleganza e raffinatezza con la danza dal vivo, formando un tutto unico, un’ennesima chiamata a una nuova alleanza tra il naturale e l’artificiale.

Akram Khan con Jungle Book Reimagined riesce a costruire un favola pop e politicamente impegnata, frutto di un felice connubio tra profondità e leggerezza, capace di integrare più linguaggi artistico-espressivi, sfumando, se non cancellando, i confini tra danza, teatro, animazione digitale. Il pubblico ha compreso pienamente l’operazione applaudendo con calore ed entusiasmo.

AB [INTRA] di Rafael Bonachela: la fluida semplicità della bellezza

Torinodanza apre la nuova edizione del festival con la presentazione in prima italiana di Ab [intra] del coreografo catalano-australiano Rafael Bonachela con la Sidney Dance Company dal lui diretta dal 2008. Il lavoro di Bonachela si è sviluppato nel corso degli anni in un continuo melange tra cultura alta e pop, che in questo lavoro risalta alla massima potenza.

Ab [intra] in latino significa “da dentro”, “dall’interno” e tale locuzione è la chiave di lettura dell’intero balletto. I diciassette danzatori entrano in scena come se fossero in una sala prove mentre stilettate di violoncello attraversano lo spazio come il battito di pulsazione di un cuore. Sul palcoscenico l’insieme dei danzatori abbozza frasi di movimento. Non siamo ancora al linguaggio ma al balbettio di qualcosa che nasce da dentro e prova e estrinsecarsi verso l’esterno. Man mano si creano piccole formazioni, a due, a tre, che provano a formare frasi più complesse e compiute. Lo sguardo dello spettatore non può accoglierle tutte insieme, deve scegliere cosa guardare, operare un montaggio suo proprio, diverso da quello di qualsiasi altro.

Il tessuto sonoro amplia il suo spettro emotivo, cattura l’attenzione verso una gamma di emozioni che cominciano a sorgere in un paesaggio costituito solo da corpi in movimento e luce. La struttura si viene via via a definire. I pezzi di insieme si sciolgono in commuoventi soli, pas de deux, e trii. Il movimento è si atletico e virtuosistico, ma non stucchevole o fine a se stesso. La componente emotiva, istintuale è la chiave di volta che permette di trascendere la tecnica per colpire l’animo dell’osservatore e avvincerlo.

La struttura drammaturgica è un continuo eterno ritorno di una pulsazione dal singolo all’insieme passando per le formazioni a due e a tre. Si conforma come un costante dialogo tra l’individuo e la società, che si aggrega e disgrega, attraverso la fluidità di questa energia sorgente dal profondo dell’animo. Non vi sono traumi in questo comporsi e scomporsi, ma una naturale fluidità, una aggregazione di molecole eternamente combinantesi fino a raggiungere uno scopo per poi sciogliersi e incominciare nuovamente il processo. La luce e la musica sono il bagno di cultura di queste cellule singole pronte a combinarsi per formare sempre nuovi organismi.

La tessitura sonora è composta dal secondo concerto per violoncello e orchestra Klâtbûtne del compositore lettone Peteris Vasks, nella versione eseguita dalla violoncellista argentina Sol Gabetta, e ai ritmi, viscerali, coinvolgenti della musica elettronica dell’australiano Nick Wales che si sovrappone e si commista con la composizione di Vasks.

Ab [intra] dunque benché appaia semplice e riconoscibile nella sua forma, nasconde nella comprensibile tessitura il mistero di ogni disegno che appare sulla tela. Tutto è dosato, senza eccessi, senza ricercare la meraviglia ma facendola semplicemente apparire come spontanea.

Mallarmé scriveva nel suo saggio sul balletto che la danzatrice sa esprimere attraverso il movimento: «una poesia liberata da qualsiasi scrittura». Una danza non narrativa come quella di Rafael Bonachela esemplifica il pensiero del grande poeta francese. Tutto può essere visto e sentito in quei movimenti così ben concepiti da trascendere la tecnica che li ha generati. Ogni occhio che guarda può scoprirvi un mondo e riempire pagine per descrivere ciò che ha provato senza riuscirvi. Per questo credo Ab [intra] ha riscosso così tanto successo tra il pubblico di Torinodanza, perché è un vaso vuoto che ognuno può riempire con ciò che riesce a cogliere. Vi è un senso di libertà e di fluente emozione che libera dalla necessità razionalista e tutta occidentale di voler per forza comprendere un’opera d’arte. Lei è lì nel suo svolgersi qui ed ora e ci pone enigmi come la sfinge, possiamo risolverli oppure ignorarli e godere per qualche tempo la gioia della bellezza dei corpi in movimento.

COREOGRAFIA RAFAEL BONACHELA
luci Damien Cooper
scene e costumi David Fleischer
partitura musicale originale NICK WALES CON KLĀTBŪTNE DI PĒTERIS VASKS
DANZATORI Lucy Angel, Naiara de Matos, Dean Elliott, Riley Fitzgerald, Jacopo Grabar, Liam Green, Madeline Harms, Luke Hayward, Morgan Hurrell, Sophie Jones, Connor McMahon, Jesse Scales, Piran Scott, Emily Seymour and Chloe Young.
produttori Guy Harding, Simon Turner, Tony Mccoy, Annie Robinson, Jenn Ryan
Sydney Dance Company
con il patrocinio dell’Ambasciata di Australia in Italia

Durata 75′

Visto alle Fonderie Limone di Moncalieri il 15 settembre 2023

Variazioni Goldberg

ANNE TERESA DE KEERSMAEKER: LE VARIAZIONI GOLDBERG

Nel capitolo VIII del Doctor Faustus di Thomas Mann, il conferenziere balbuziente Kretzschmar, racconta della lotta furibonda tra Beethoven e il Credo con fuga della sua Messa Solenne op. 123. I detrattori del grande Ludovico Van osavano affermare di una sua manchevolezza nell’arte del contrappunto, unico banco di prova della suprema maestria. Kretzschmar narra al suo ristretto uditorio l’aneddoto inquietante di una notte burrascosa in cui Beethoven, senza cena per averla dimenticata, licenzia le fantesche con le evangeliche parole: “neanche un’ora sapete vegliare con me?” senza curarsi che le ore passate erano ben più di una. Gli amici, al mattino lo trovarono in uno stato miserando ma vittorioso. Il Credo era pur stato scritto.

Il racconto ovviamente è romanzato e ben poco di vero riscontra la Storia. Beethoven, come ricorda Kundera nei suoi stupendi romanzi e saggi, si sforzò piuttosto di conciliare il contrappunto con la forma sonata. come ben dimostrano le sue ultime opere (tra tutte, oltre alla Messa, la Sonata per pianoforte in la bemolle maggiore op. 110, e la Sonata in re per violoncello op.102).

Il succo del racconto manniano si concentra piuttosto in un aspetto: con la conquista della civiltà si è perso in naturalezza, e così la lotta con la forma è diventato sforzo titanico, soprattutto laddove il linguaggio musicale, proprio nel contrappunto, esprime il suo massimo rigore matematico e formale.

Variazioni Goldberg ph © ANNE VAN AERSCHOT

Cos’è il contrappunto che ci spinge a scrivere questa prolissa introduzione? Se si potesse in parole semplici esprimere un’arte complicatissima si potrebbe forse dire così: un concordare di diverse voci indipendenti sotto l’aspetto melodico, e le cui relazioni avvengono per lo più attraverso processi imitativi. Puncta contra punctum dicevano in latino i maestri medievali, ossia nota contro nota. Le voci diverse si rincorrono, appaiate e distanziate insieme, concorrendo a una melodia.

Le leggendarie Variazioni Goldberg, sono un pezzo per clavicembalo a due manuali composto per alleviare l’insonnia dell’Ambasciatore von Kayserlingk, benefattore del giovane Goldberg, allievo prediletto di Johann Sebastian Bach, e restano un caposaldo e un monumento dell’arte del contrappunto. Un pezzo universalmente noto, ripreso dai più grandi concertisti per misurare il proprio virtuosismo (si pensi a Glenn Gould), ispiratore di opere e pensieri sull’arte nel corso degli ultimi due secoli, racchiude in sé la straordinaria bellezza della matematica applicata alla musica.

Le Variazioni Goldberg BWV 988 constano di un Aria con trenta variazioni e una ripresa finale. Le trenta variazioni sono a loro volta divise in tre cicli di dieci: una danza, una toccata e un canone, quest’ultimo man mano che l’opera avanza, aumenta l’intervallo tra le voci. In realtà le trenta variazioni si conformano come due semicerchi il cui punto di tangenza è la variazione n.16, unica di 16+32 battute (le altre sono di 16 o di 32). È un sorta di andata e ritorno dall’Aria iniziale, di cui si varia solo il basso e non la melodia, un rientro ad essa dopo un lungo viaggio. Un riflusso di marea dopo una lunga notte.

Variazioni Goldberg ph © ANNE VAN AERSCHOT

Non è certo mia intenzione mettermi a fare un’analisi delle Variazioni Goldberg in quanto sarebbe usurpare competenze proprie a studiosi di musicologia, quanto piuttosto provare a introdurre il lavoro di Anne Teresa de Keersmaeker, insieme al giovane e talentuosissimo pianista Pavel Kolesnikov, sull’opera di J. S. Bach.

Le due linee melodiche dello spettacolo sono appunto la musica e la danza, indipendenti e intersecantesi, secondo variazioni e riprese. Si riproduce in qualche modo il processo e la struttura dell’opera di Bach, secondo altri principi, più propri al movimento. Il viaggio dall’Aria iniziale alla sua ripresa inizia nel silenzio. È la danza ad apparire per prima e a innescare questa nuova e vitale modalità di contrappunto. La scena è cosparsa di semiellissi a dettare spazi propri al movimento secondo schemi arcani, matematici e magici per noi che non conosciamo l’arte e il pensiero sottesi, ma pronti a rispondere alle sollecitazioni musicali. C’è una segreta corrispondenza tra quei glifi e i tessuti musicali. Tutto è puncta contra punctum, ma senza la lotta titanica di Beethoven. Il confronto è più leggero, apparentemente. Insieme musica e danza affrontano, fianco a fianco, non una lotta ma l’attraversamento di una lunga notte, colma di pericoli nonostante la calma apparente.

Si viaggia alla luce della luna, pallida e argentea come lo schermo sulla destra della scena. La luce si sposta pian piano, modifica la sua incidenza sullo spazio e il movimento, e poi sparisce. Rimane la musica e paradossalmente i nostri sensi si acuiscono. È l’ora più buia. Gradualmente torna una luce nuova, un’alba rosata e poi la chiarore dorato di un sole. È forse sorto un nuovo giorno e con il suo arrivo, ecco la ripresa dell’Aria. Siamo tornati a un punto di partenza. Non si sa se nel percorso siamo cambiati, o se qualcosa è mutato nell’ambiente e nel mondo. È stato un viaggio iniziatico forse. Oppure abbiamo solo attraversato una lunga notte insieme, inconsci dei pericoli che gravavano su di noi.

Variazioni Goldberg Variazioni Goldberg ph © ANNE VAN AERSCHOT

È cifra stilistica di Anne Teresa De Keersmaeker intavolare intensi dialoghi matematici e musicali con i brani che accompagnano le sue coreografie. Bach è stato inoltre affrontato da poco con i sei Concerti Brandeburghesi, ma la frequentazione con il grande compositore tedesco affonda nelle radici della carriera della coreografa belga. Vi è nell’incontro con Bach un manifestarsi di astratto e concreto, la vita del corpo contrapposta ai principi matematici della musica che nell’incontro dal vivo si scambiano un poco le parti: la maestria della danza delle mani di Pavel, mani piene di vita, guizzanti e sorprendenti, e i movimenti geometrici, precisi come quelli di un orologio, asettici, per niente emotivi della de Keersmaeker. Corpo e mente, pensiero e azione, le due voci di questo contrappunto, i due compagni che attraversano la notte per ritrovarsi insieme all’alba.

In tutto questo c’è anche il pubblico che osserva e genera una nuova coppia: ciò che avviene in scena e ciò che viene ricreato nell’occhio dell’osservatore. Si è partiti da una storia dentro una storia e concludiamo con un mito, quello indiano che parla di due uccelli appollaiati sui rami dell’albero della vita. Uno mangia una bacca, l’altro si limita a guardare. Non può esistere uno senza l’altro. Solo guardandosi reciprocamente si garantiscono l’esistenza. Solo nel reciproco sguardo vi è la scintilla della vita.

Visto a TorinoDanza alle Fonderie Limone di Moncalieri il 28 ottobre 2021

Coreografia e danza: Anne Teresa de Keersmaeker

Musica: Variazioni Goldberg, BWV 988 di J.S. Bach

Pianoforte: Pavel Kolesnikov

Collaborazione musicale: Alain Franco

Assistente alla scenografia: Diane Madden

Disegno Luci e Scene: Minna Tiikkainen

Rosas

Durata 120′