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Carrozzerie | n.o.t .

Resistenze Artistiche: incontro con Carrozzerie | n.o.t

Per il settimo appuntamento di Resistenze Artistiche ci spostiamo nella capitale per incontrare Francesco Montagna e Maura Teofili di Carrozzerie | n.o.t .

Piccolo miracolo frutto di saggia (auto)gestione e spazio a vocazione multidisciplinare o, meglio, votato a superare le divisioni dei generi, Carrozzerie | n.o.t si situa nei pressi di Ponte Testaccio e ha saputo negli anni intessere uno stretto rapporto con il proprio pubblico ma anche con gli artisti che in quel luogo si sentono a casa.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche, lo ricordiamo, si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.





Carrozzerie | n.o.t . Interno

Potete raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conducete in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Durante il primo lockdown siamo rimasti praticamente fermi, come in letargo, rifiutando quasi completamente la conversione delle attività sulle piattaforme virtuali. Abbiamo fatto pochissimo, scegliendo con grande attenzione cosa proporre in una fase tanto delicata (due i progetti realizzati Geografia Privata e Martiri Metropolitani – https://www.carrozzerienot.com/notsoopen -), ma soprattutto abbiamo atteso, osservato, sfruttato questo tempo lento per riprendere a ragionare e rimettere a fuoco la nostra principale responsabilità come spazio culturale; quella di esserci, di fare tutto il possibile per offrire momenti di incontro e scambio reali alle persone. Abbiamo capito, dopo un primo momento di smarrimento (condiviso da ogni persona sulla faccia della Terra) che era nostra responsabilità fare quello che si poteva fare nel modo più concreto possibile, anche se in forma minima: se potevamo abitare lo spazio in massimo tre sarebbe valsa comunque la pena abitarlo in tre. Abbiamo provato a vivere in presenza ogni attimo possibile.

Sia dopo la prima che dopo la seconda chiusura (forse ancora più traumatica per le attività culturali che stavano cercando di riprendere un discorso) non appena è stato consentito, abbiamo quindi cercato di tornare a rendere vivo e pieno lo spazio di Carrozzerie | n.o.t con tutto quello che si poteva svolgere in presenza secondo le normative vigenti: prove, allestimenti, spazi residenziali, etc.

Abbiamo dovuto attendere molto di più per far ripartire in presenza le attività di formazione professionali e non professionali, che – assieme a quelle artistiche – sono per noi il cuore dell’attività, ma abbiamo cercato di ricostruire con grande attenzione e con scelte non sempre facili il momento della ripresa, consapevoli della grande necessità di relazione che si è sviluppata nel frattempo nelle persone per essere pronti a riceverla e stimolarla con proposte in ascolto e sensibili.

Verso quali direzioni si è puntata la vostra ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Abbiamo cercato di sfruttare questo ritmo inimmaginabile per approfondire i nostri ragionamenti curatoriali e per mettere a fuoco la dimensione più profonda della funzione di Carrozzerie | n.o.t rispetto alla città e all’ambiente in cui agisce. Abbiamo provato a prendere tempo e rimodulare alcune idee. Si ha sempre l’impressione di voler far entrare un elefante in una cinquecento ma abbiamo cercato di mettere a fuoco cosa era fondamentale per noi e per le persone a cui vogliamo rivolgere le nostre proposte (ovvero quasi tutte o almeno sempre una in più di ieri) per poi fare quasi tutto come prima. Cadenze regolari, spazi di immaginazione, momenti di pura astrazione guadagnati con grande pazienza.

Voler trasmettere il valore e le potenzialità delle pratiche artistiche e del teatro come stimolo di relazione e di ragionamento sul mondo a più persone possibili, far sentire a tutti che questi linguaggi sono rivolti anche a loro e sono per loro delle possibilità espressive uniche per reimmettersi nel mondo e guardarlo con occhi nuovi, offrire una possibilità di accesso al ragionamento e alla bellezza nella profonda convinzione di quanto questo possa significare per ciascuno…

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

La nostra struttura non ha mai percepito finanziamenti pubblici prima della pandemia; abbiamo sempre lavorato in totale autonomia facendo derivare dall’attività tutte le possibilità di sostegno agli artisti e svolgimento di nuove proposte laboratoriali o di spettacolo. Alla luce delle chiusure imposte, invece, nella totale impossibilità di far fronte alle spese di gestione e all’affitto dello spazio ci siamo avvalsi delle fondamentali opportunità di sostegno che sono state proposte dalle diverse Istituzioni

Abbiamo dedicato molta attenzione al rinvenimento delle risorse per poter traghettare Carrozzerie | n.o.t come spazio fisico e progettuale attraverso questa situazione e abbiamo partecipato a tutte le iniziative di aiuto economico corrispondenti alla nostra attività risultando idonei ai contributi messi a disposizione del Ministero della Cultura con l’Extra FUS, del Comune di Roma con il Bando Programmi e da alcune iniziative della Regione Lazio per le associazioni culturali. Questi fondi – erogati a fronte dell’emergenza e quindi con criteri del tutto specifici – ci hanno permesso di rimanere aperti e di provare a rilanciare le nostre attività e di dare continuità alla proposta con iniziative calate rispetto alla normativa vigente.

Per rispondere alla seconda parte della domanda dobbiamo ammettere che – come singola realtà – non abbiamo né abbiamo avuto contatti diretti con nessuna di queste istituzioni; tuttavia diverse organizzazioni di categoria si sono fortemente battute per rappresentare situazioni specifiche di piccole realtà come la nostra presso di loro e gli strumenti messi in atto ci sono sembrati il risultato di un livello di ascolto importante.

Il nostro dialogo più diretto rimane quello con altre realtà culturali del territorio (come TdR, Romaeuropa Festival, ATCL) che con la disponibilità ad immaginare e realizzare assieme attività e forme di affiancamento alle compagnie emergenti hanno permesso in parte di mantenere attivo il pensiero di Carrozzerie | n.o.t e di mettere in pratica molto del sostegno agli artisti e alle nuove progettualità sceniche che altrimenti non avremmo potuto veder accadere in questo difficile biennio.

Ora che possiamo ripartire con le attività regolari vogliamo fortemente riprendere la linea di autosostentamento e di relazione fra le attività di Carrozzerie per tornare ad esprimere quanto possiamo in connessione con la presenza e la partecipazione delle persone che frequentano, animano e in sostanza sono Carrozzerie | n.o.t


Carrozzerie | n.o.t . Foyer

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il vostro pubblico?

Durante i periodi di lockdown prima e chiusura poi, il dialogo è rimasto attivo, nel modo più diretto che si possa immaginare: siamo stati sommersi di telefonate, mail, confronti su zoom. L’affetto e la partecipazione delle persone ci ha sorpreso per sensibilità e vicinanza. Abbiamo fatto tesoro di questo slancio, privilegiato l’ascolto e raccolto l’occasione per essere ascoltati. Abbiamo provato ad ammettere le nostre paure, a ricordarci grazie alle voci di artisti e persone comuni quanto fossero immerse in quelle degli altri, senza farci schiacciare da sensazioni orrende come la perdita di senso. Abbiamo provato a mantenere alta la promessa di bellezza e di incontro che sempre cerchiamo di mantenere con le persone che frequentano Carrozzerie e ad essere felici per quel che poco che potevamo fare e lo siamo stati, con onestà.

Quali sono le vostre aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Il presente è l’unica cosa che ci riguarda.

Se gli vuoi anche solo un po’ di bene diventa futuro da solo.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la vostra opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Noi non presentiamo domanda al Ministero in nessuna sezione.

È molto difficile mantenere un’attività culturale autosufficiente, pone dei limiti, ma consente anche di tentare di mantenere il ragionamento quanto più libero possibile dalle logiche fissate dai parametri del decreto.

Sarebbe stato bello se – anche a fronte del grande ascolto dimostrato in pandemia – le nuove disposizioni avessero dimostrato di voler riconsiderare il sistema (super)produttivo che ha schiacciato, vessato e umiliato negli ultimi anni molte formazioni artistiche teatrali. Riconsiderare il tempo della produzione artistica e la tutela delle opere già realizzate, ci sembra davvero fondamentale per non vanificare energie creative e discorso artistico. Creare e ricreare e ricreare come se ci fosse una fonte infinita da cui attingere, come se la terra per dare frutti non dovesse mai riposare. La creazione è un tempo lento a volte improvviso, ma certamente non costante. La grande occasione persa in questo tempo sospeso è stata proprio quella di non trovare il modo per dare spazio al pensiero artistico, al momento della creazione tornando a privilegiare solo il dato produttivo e numerico, la visione del teatro come mercato su cui mettere un prodotto e ottimizzarlo, spremerlo e prosciugarlo. Quasi sempre troppo rapidamente.

Non possiamo chiedere a nessuno di essere un albero che fa frutti ogni anno. Forse, non dovremmo chiederlo neanche all’albero.

Damiano Grassselli

RESISTENZE ARTISTICHE: INTERVISTA A DAMIANO GRASSELLI

Per il terzo appuntamento di Resistenze Artistiche ci spostiamo da Milano a Bergamo per incontrare Damiano Grasselli, direttore, regista e attore di Teatro Caverna, spazio artistico di proprietà del comune. Teatro Caverna abita un quartiere periferico della città: in esso vengono creati progetti che costruiscano attorno all’esperienza artistica un incontro con le persone, fiducioso nella possibilità di vivere una comunità attraverso un dialogo aperto e continuo col presente.

Il ciclo di interviste dal titolo Resistenze artistiche si prefigge l’obbiettivo di delineare, almeno parzialmente, quanto avvenuto nei due anni di pandemia in luoghi artistici situati nelle periferie delle grandi città o nelle piccole cittadine di provincia. Questi sono spazi di azione artistica in cui il rapporto con il territorio e la comunità è stretto e imprescindibile. Tale relazione nel biennio pandemico è stata più volte interrotta in maniera brusca, improvvisa e, per lo meno la prima volta, impensata. Tutti si sono trovati impreparati a quanto è successo in questo periodo e le incertezze sull’entità degli aiuti o nelle normative istituzionali di accesso e conduzione delle attività non hanno certo giovato a una serena laboriosità creativa. Nonostante il continuo richiamo a una normalità riconquistata, ciò che stiamo tutti vivendo, artisti, operatori e pubblico è quanto più distante dalla prassi pre-covid. È giusto quindi porsi una serie di questioni in cui, partendo dall’esperienza passata, provare ad affrontare e immaginare un futuro

Come si sopravvive al distanziamento e alle chiusure? Cosa è rimasto al netto di ciò che si è perduto? Quali strategie si sono attuate per poter tenere vivo il rapporto e la comunicazione con i propri fruitori? Come è stato possibile creare delle opere in queste condizioni? Come lo Stato e la politica hanno inciso, se lo hanno fatto, sulle chance di sopravvivenza? Quali esperienze si sono tratte da quest’esperienza? Queste sono le domande che abbiamo posto ad alcuni artisti ed operatori dedicati a svolgere la propria attività sul confine dell’impero, non al suo centro, al servizio di un pubblico distante dai grandi luoghi di cultura e per questo bisognoso perché abbandonato.

Francesco Pennacchia in Mario e il mago Spazio Caverna

Puoi raccontarci brevemente come è stato abitato lo spazio (o attività artistica) che conduci in questi ultimi due anni a seguito del susseguirsi di lockdown, zone rosse e distanziamenti?

Spazio Caverna negli ultimi due anni ha vissuto diverse fasi. Per i primi 4 mesi di pandemia nessuno (nemmeno noi) è entrato nella sala. Bergamo era talmente sommersa dall’emergenza che ci si spostava solo per evidenti casi di necessità: i teatri erano chiusi e nessuno di noi usciva di casa. Poi abbiamo pian piano riprese, una prima volta, le attività, dedicandoci ai bambini del quartiere in primis. Con la seconda chiusura ci siamo inventati diverse “possibilità” per il nostro spazio: abbiamo creato alcuni podcast radiofonici; abbiamo costruito il progetto di solidarietà e protesta, che abbiamo chiamato Pane e Poesia e che ha avuto grandi riscontri sia tra gli abitanti del quartiere che a livello mediatico nazionale; abbiamo attrezzato un piccolo studio di registrazione e diffusione video per alcune letture e dibattiti coi ragazzi delle scuole superiori. Se però devo citare una cosa particolarmente significativa del nostro dialogo con le persone dico questo: nel nostro quartiere c’è una sede della Chiesa Evangelica. Loro potevano celebrare riti in presenza, ma la loro sede era troppo piccola per contenere tutti col distanziamento. Quindi abbiamo ospitato gruppi di giovani fedeli per i loro canti e preghiere. Sono stati momenti di incontro per decine di ragazzi che altrimenti sarebbero rimasti chiusi in casa ancora una volta. Ci è sembrato necessario farlo.

Verso quali direzioni si è puntata la tua ricerca e attività a seguito di questo lungo periodo pandemico che non accenna a scomparire dal nostro orizzonte?

Personalmente ho letto molto, cercando di approfondire i temi che più mi stanno a cuore: il suono, il silenzio, la musica, la parola, il linguaggio. Il legame che esiste tra questi concetti: in questo senso si è orientata anche l’attività di Teatro Caverna nei periodi di chiusura totale, con produzioni radiofoniche che hanno coinvolti anche attori esterni alla compagnia. Ho lavorato molto per migliorare la ricerca sonora del nostro fare teatro. Ma al tempo stesso ho scritto, ho cercato di dialogare con tutte le persone con cui riuscivo a mantenere contatti: sia in forma pubblica, scrivendo su giornali e riviste, sia in privato, ritornando a fare una cosa che non facevo da un po’, scrivere lettere. E’ stato un modo per scoprire una dimensione più umana del tempo, fatta non solo di scadenze, ma anche di silenzi e riflessioni. La vera ricerca è stata cercare un modo per costruire ponti anche laddove le strade erano deserte.

Le istituzioni come sono intervenute nell’aiutare la vostra attività in questo stato di anormalità? Non parlo solo di fondi elargiti, anche se ovviamente le economie sono una parte fondamentale, ma anche di vicinanza, comprensione, soluzioni e compromessi che abbiano in qualche modo aiutato a passare la nottata.

I fondi sono ovviamente utili: avevamo una struttura da tenere viva anche se chiusa, avevamo delle incombenze. Ricevere i fondi dell’ExtraFus o del Fondo costituito dal Comune di Bergamo è stato molto positivo in quel periodo. Ma non sono mancati anche degli incontri istituzionali che ci hanno convinto a continuare malgrado tutto nel progetto che stavamo creando: per esempio nel secondo lockdown si è cominciato ad immaginare, con l’amministrazione comunale di Bergamo, la possibilità di avere un secondo spazio di lavoro, cosa che è accaduta poca settimane fa. E poi si sono create, anche su proposta di alcune istituzioni locali, reti di lavoro comune dove abbiamo potuto condividere con colleghi situazioni che affrontare da soli sarebbe stato impegnativo. Mi riferisco per esempio alla prima edizione di Lazzaretto On Stage e di Affacciati alla Finestra, due eventi che dopo la prima ondata il Comune ha proposto, le Fondazioni hanno sostenuto e gli artisti hanno programmato. Devo dire che soprattutto nell’estate 2020 e soprattutto nell’ambito cittadino si è avvertito un certo modo di agire “positivo”. In seguito la situazione è divenuta più “ombrosa per tutti”: ora bisognerà capire cosa può rimanere di quell’agire fianco a fianco. Se qualcosa rimarrà…

Quali sono le strategie messe in atto al fine di mantenere un legame con il tuo pubblico?

Questa per noi è stata una domanda centrale, soprattutto da settembre 2020 in poi, quando abbiamo capito che tutto era ancora in divenire e saremmo stati lungamente segregati. La radio su questo mi ha aiutato molto: ho iniziato a “giocare” col mondo radiofonico molto prima che con quello teatrale, avevo solo 15 anni. E così abbiamo iniziato a raccontare storie sia attraverso radio nazionali (abbiamo prodotto Fenoglio e le Langhe: una questione privata per Radio3), con le radio locali, con i podcast da scaricare o appositamente creati per le scuole, per raccontare fiabe ai bambini. Sono arrivati molti messaggi che dicevano: grazie, ci tenete davvero compagnia. Allora a settembre abbiamo deciso di creare un progetto, che oggi prende il nome di Radio Caverna, a partire da una delle tradizioni più amate a Bergamo: la consegna dei doni da parte di Santa Lucia. Su questa tradizione abbiamo realizzato un podcast originale di 8 puntate con un gioco interattivo per le famiglie. Abbiamo raggiunto quasi 5000 ascoltatori con picchi anche di 400 contatti giornalieri, per noi un grande successo. Certo però che ci è mancato molto lo sguardo, il vedersi, il sorridere insieme: per questo ci siamo inventati anche Pane e Poesia. Il nostro è un quartiere che ha qualche difficoltà a stare al passo col costo della vita di Bergamo. Per questo abbiamo inventato una consegna di pacchi alimentari preceduta però da una lettura, faccia a faccia, di una poesia. Chi veniva a prendere la spesa (offerta gratuitamente da un gruppo di donatori) aveva la possibilità di scegliere una poesia e sentirsela leggere da un attore, in presenza. Un modo per scambiare 4 parole, raccogliere storie, vivere delle idee insieme. Anche questo ci ha avvicinato molto alle persone. Non eravamo quelli sul piedistallo che fanno cultura. Eravamo tra la gente, con gli spaghetti, il pomodoro e Majakovskij. La cioccolata, il riso e Quasimodo. Amici poeti, attori, il quartiere. Persone, tra le persone.

Il Tenace soldatino di stagno Regia di Damiano Grasselli

Quali sono le tue aspettative per il futuro anche a seguito della pubblicazione del nuovo decreto per il triennio 2022-2024 dove non si contemplano più stati di eccezionalità legate alla pandemia?

Cerco sempre di chiedermi poco sul futuro. Certo penso a programmare: abbiamo attività in calendario fino a giugno 2024… Intendo però dire che, fissati alcuni obiettivi di base, serve anche che le cose viaggino un po’ da sole, sulla loro strada, con gli eventi che accadono. Il teatro, e lo stiamo scordando follemente, è accadere… Detto ciò è chiaro che si sta un po’ fingendo che tutto sia tornato “normale”. Le persone sono impaurite, impigrite dalle serrate, spaventate dalla situazione lavorative economica. Dire semplicemente: “abbiamo riaperto, ora tornate a teatro”, mi pare utopico e un po’ riduttivo. Forse addirittura canzonatorio. Mi aspetto che nascano progetti, idee (magari anche bandi) che riaccompagnino veramente le persone a teatro. Scriviamo sempre pagine e pagine sulla fidelizzazione del pubblico, ma raramente affrontiamo questo processo in maniera organica. È sempre tutto un po’ lasciato allo “speriamo che qualcuno venga”. Credo che adesso come non mai ci troviamo davanti ad una situazione tale per cui bisognerebbe fare qualcosa per cambiare la relazione col pubblico: non sono scatolette (vuoti ad arrendere) adagiate in platea, sono l’altra metà del nostro lavoro. L’altro è l’altro. Il che non significa andare nella direzione che la massa chiede, al contrario. Stimolare, creare, offrire diversità: YouTube e Mediaset sono molto meglio di noi nel creare intrattenimento. Smettiamo di inseguire quei modelli bulimici. Creiamo una dilatazione del tempo, che alimenti la curiosità delle persone. Nella frenesia aggressiva, il teatro offra lentezza e relazione. Chiaro che il Ministero sta chiedendo numeri e documenti. Ma forse noi non potremmo offrire idee diverse una volta tanto? Non la novità stucchevole (che poi spesso non è nuova). Idee diverse. Andare verso altro. L’altro. Il non IO. Si fa un gran parlare di individualismo: secondo me l’individuo, con la sua responsabilizzazione e la sua unicità, sta scomparendo. C’è un’affermazione cadaverica dell’Io invece: quando noi teatranti parliamo diciamo solo frasi in prima persona singolare sui nostri lavori. Ma credo che al centro del vivere attorale, citando Aldo Capitini, dovrebbe starci questa frase: La mia nascita è quando dico un tu. Non nasce alcun teatro senza il suono di un Tu. Mi aspetto che, Ministero o non Ministero, in me continui a rimanere viva questa cosa. Altrimenti possono seppellirmi anche valanghe di finanziamenti, ma sarei morto in quel caso, sepolto dalla bolsa burocrazia.

Posto che il decreto è già uscito e quindi determinerà nel bene e nel male la vita della scena italiana per i prossimi anni, secondo la tua opinione, cosa non si è fatto, o non si è potuto fare, in questi due anni per mettere le basi per un futuro diverso per il teatro italiano?

Ecco mi riallaccio a quanto ho appena scritto: non abbiamo considerato che c’è un ALTRO. Ripeto: non per seguire gusti e mode, ma per interrogare. L’altro è un punto interrogativo sulla fronte spaziosa delle nostre certezze. Se non siamo capaci di dire: voglio ascoltare altro, vivremo tombali nel nostro mausoleo, piccolo o grande che sia, sarcofago, loculo o urna per ceneri. Saremo la morte del teatro. Si è ripetuto molto questo concetto: il ministro, le istituzioni, le fondazioni… Stanno facendo quello che nessuno aveva fatto in migliaia di anni: uccidere il teatro! E gli artisti? Cosa fanno per tenerlo vivo? La nostra pratica masturbatoria è eccitante (Artaud si chiedeva se avesse senso cercare una compagna sessuale quando ci si può masturbare…). Ma è esclusiva. Non ci accorgiamo che stiamo lasciando fuori i punti di domanda. Carmelo Bene diceva di essere nel porno, e come lui lo era Kafka. Ecco forse la grande occasione persa è proprio questa: continuiamo sulla strada di un desiderio inesauribile di onanismo. Ma questo è molto distante dal creare arte. Poi certo se guardiamo alle occasioni perse dal punto di vista legislativo, possiamo scrivere dieci volumi… Ma in quanto artista tendo a guardare ciò di cui sono responsabile. E di cui mi posso fare carico. La domanda individuale che mi pongo come artista è: che cosa ho da dire realmente che riguardi la vita?