Non vi è niente di più complesso della semplicità. Sei attori su sei sedie. Seduti lì per quasi due ore a intrecciare storie di vita, che potremmo aver vissuto anche noi, potrebbero esser nostre, e niente altro. Questo è Sempre domenica del giovane Collettivo Controcanto in scena al teatro della Caduta di Torino nell’ambito della rassegna Concentrica.
Il lavoro nobilita. Pure la nostra malconcia repubblica è fondata sul lavoro. Questo ci è stato insegnato e in questo tutti noi crediamo. E se fosse invece un’assoluta annichilente schiavitù, dove ciò che veramente è importante deve esser sacrificato nel nome di questa illusoria nobiltà? E perché mai la parola d’ordine delle nostre vite deve essere indiscutibilmente: sacrificio? Questo continuo dover inghiottir rospi in lavori che in fondo non portano altro alla nostra vita se non una busta paga e un quanto mai precario sogno di pensione, non scortica senza speranza ogni fibra delle nostre anime fino a ridurci a larve vuote che non sanno più nemmeno cosa veramente ci appartenga e sia veramente nostro?
Sono interrogativi fortissimi che risuonano nell’intrecciarsi delle storie che i sei attori evocano seduti sulle loro sedie. Il corriere che vorrebbe aprire un Bad&Breakfast; il concierge che deve mantenere la figlia nata da un rapporto occasionale; la segretaria che vive una relazione anonima e stantia e cade nel più trito dei cliché andando a letto con il capo; il meccanico che vede fallire il suo sogno di impresa prima ancora che incominci; i quattro amici costretti a far solo un week end di vacanze insieme a Sabaudia perché non riescono a far collimare le ferie.
Piccoli drammi quotidiani vissuti per portare lo stipendio a casa, sopravvivere un altro giorno al gioco della vita le cui regole sono state stabilite altrove. Persino le ribellioni, quando nascono, si sgonfiano prima ancora di esplodere perché c’è il mutuo da pagare e un lavoro è sempre un lavoro.
Vi è molta rassegnazione e sconfitta in questo Sempre domenica del Collettivo Controcanto, ma anche ironia tagliente come un bisturi che incide la piaga. Dal bubbone purulento emergono i liquidi infetti e inizia la guarigione. Forse. Perché il quadro che si delinea di quest’Italia è quanto mai misero e sconfortevole.
Un’umanità stanca, affranta, incapace di alzar gli occhi da terra quella che emerge da Sempre Domenica del Collettivo Controcanto. Nella semplicità dei racconti intessuti uno nell’altro si delinea una società italiana sempre più demotivata a cui non resta che riderci sopra, far finta di niente e tirare avanti un altro giorno e nulla più. Sono spariti i sogni, gli ideali, le rivoluzioni. Resta il lavoro che tutto assorbe, tutto ammorba.
La drammaturgia di Sempre Domenica emerge collettivamente dal lavoro del Collettivo Controcanto guidato dalla regista Clara Sancricca, ben sostenuta dai bravi attori Federico Ciaciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero. I personaggi sfumano uno nell’altro grazie a un ritmo serrato e ben congegnato. Gli attori che non animano le persone evocate si sgonfiano come burattini senza fili, immobili, lo sguardo perso a far da controcanto alla vitalità di quelli che sorgono al posto loro. Tutti insieme sospinti da una forza che è altrove e li manovra e ne determina i destini.
Semplicità che nasconde grande lavoro di drammaturgia e di interpretazione. Bravi gli attori a tener vivi i loro personaggi con niente altro a loro disposizione che il corpo e la voce, solamente seduti su una sedia. Niente musica, niente giochi di luce, niente scene o costumi. Solo l’antica arte dell’attore a dimostrare una volta di più che quando il teatro è supportato da buone idee, una visione del mondo e ricerca efficace sa dare il meglio di sé senza il bisogno di effetti mirabolanti.
E ancor più importante è l’aria che circola tra il palco e la sala. Spesso quanto avviene sulla scena resta qualcosa di avulso dalle vite degli spettatori. In Sempre domenica del Collettivo Controcanto vi è una condivisione, un rispecchiamento. Le domande poste dalla scena ci colpiscono perché sono le nostre, le ansie di fuga e di riscatto sono comuni, perfino le sconfitte, la rassegnazione, l’abbandono della lotta.