Lunedì 11 giugno al Teatro Vittoria di Torino è andato in scena, per la rassegna Play With Food, Carne di Frosini/Timpano da un testo di Fabio Massimo Franceschelli prodotto da Gli Scarti e Kataklisma Teatro.
Carne è un’ironica interrogazione in forma di dialogo tra una coppia. Lei vegetariana, forse vegana, e lui vorace carnivoro. La discussione si avvia a partire da queste due posizioni opposte ma gradualmente sonda ed esplora anche angoli più nascosti e scomodi della questione.
Quando la carne diventa oggetto è perché è toccata dalla morte. Il cadavere è non più vivo, resta materia inerte, sfruttabile, vendibile. “Vivo – momento – oggetto”, come dice la donna. Cosa avviene in quel momento che sta tra la vita e la pura materialità dell’oggetto?
Kantor diceva che il teatro parla sempre della morte e questo è particolarmente vero per Carne di Frosini/Timpano. La carne attira su di sé il desiderio di vita, di piacere, d’amore, ma è anche pulsione di morte quando diventa cibo, merce da mercato. La faccenda si fa anche più complicata quando appare chiaro come i due aspetti diventino via via intrecciati e indistinguibili.
Frosini/Timpano sono artisti raffinatissimi nel costruire il loro teatro su questi nuclei incandescenti che suscitano prese di posizioni forti, spesso venate di pregiudizio, aprioristiche, attanagliate da fideistiche posizioni politiche, e che svolti e dipanati presentano grovigli ancora più intricati di polarità contrapposte.
La donna per esempio per quasi tutta la performance è vegetariana convinta ma quando si scopre incinta e anemica, ecco che spinta dal medico, diventa improvvisamente carnivora. Cambia il contesto e l’egoismo spinge a mutare schieramento.
La carne diventa campo di battaglia e per quanto si sorrida si scopre che su questo terreno la nostra civiltà ha poggiato fragili fondamenta fin dall’epoca più ancestrale. Come sottolinea più volte Harari, ma anche Calasso o Girard nei loro scritti, non siamo animale nato onnivoro. Ci siamo trasformati da preda erbivora in predatore carnivoro per imitazione. Siamo balzati in cima alla catena alimentare per volontà non per natura.
Nel sacrificio della carne gli antichi si sono interrogati. La tragedia nasce dal sacrificio del capro espiatorio, la carne bruciata e il sangue versato che scongiurava il male e la sciagura.
Frosini/Timpano, in questo lavoro, sollevano il tappeto sotto cui abbiamo nascosto le magagne intorno alla carne. Si interrogano attraverso la loro modalità sempre venata di comicità astuta, tagliente come un bisturi, sapiente in quanto forma di riflessione, sulla carne e sui pregiudizi di ogni lato e colore politico che gravano sulla questione e non illuminano ma nascondono il vero problema: la morte,
Frosini/Timpano sono due artisti che da sempre mi affascinano per questa loro capacità di mettere con sapienza il proverbiale dito nella piaga. Sia Acqua di colonia, dove in campo c’era il nostro passato coloniale e l’idea che noi italiani ci siamo costruiti di noi stessi e del nostro vergognoso passato; sia in Dux in scatola, dove il corpo del duce morto apre inquietanti scenari sul nostro dopoguerra e il modo in cui abbiamo sanato le ferite aperte dalla dittatura e la guerra civile; sia in Aldo Morto, dove il rapimento Moro viene analizzato senza falsi pietismi per illuminare quanto il fatto di cronaca abbia scosso il nostro immaginario e cambiato la nostra politica.
Frosini/Timpano non hanno paura alcuna di sollevare il vaso e scoprire i vermi che s’agitano al di sotto senza sosta e questo a costo di sembrare scomodi, politicamente scorretti.
Quello che fanno Frosini/Timpano è una messa in crisi costante delle narrazioni che come italiani ci siamo costruiti per fondare questo paese. E una narrazione non è mai veritiera, è sempre un romanzo fatto spesso dai vincitori, in cui si forza la storia per creare una storia.
La domanda che pongono Frosini/Timpano è: quanto sono state inquinanti quelle narrazioni? Quanta verità è stata nascosta perché ci si formasse l’idea che abbiamo di noi stessi? E quanto le nostre posizioni e idee sono corrotte dalle narrazioni che sorgono continue intorno a noi?
Ritornando ad Harari: come specie ci siamo distinti proprio per la capacità di costruire racconti e termini inesistenti proprio per unificarci al di là del piccolo branco. Abbiamo costruito civiltà, imperi e nazioni su concetti illusori: non ci sono frontiere, non ci sono razze, non ci sono nazioni. In quanto termini fallaci non contengono verità, sono tutto e niente, ogni posizione a favore o contro un argomento è costituita da polvere.
Frosini/Timpano ci fanno esperire la polvere, e lo specchio limpido che è nascosto sotto di essa.
Ph: @Emanuela Giusto