Debutta in prima nazionale alla Casa del Teatro Ragazzi all’interno del Festival delle Colline Torinesi Vieni su Marte di Vico Quarto Mazzini.
Vieni su Marte rispetta perfettamente il tema del Festival di quest’anno che, lo ricordiamo, tratta del tema del viaggio in tutte le declinazioni possibili, Il pretesto o motivo scatenante sono le candidature (ben 202568!) inviate nel 2012 per essere selezionati per la missione Mars One con lo scopo di costituire di una colonia permanente sul Pianeta Rosso.
Un viaggio di sola andata verso un mondo pervaso da un ambiente ostile e arido. Cosa ci spinge ad affrontare simili imprese? Alcune delle risposte sono presenti in video, dove alcuni candidati da tutti gli angoli del mondo, spiegano le loro ragioni. Alcune sono fantasiose, altre utopistiche, improbabili, sconcertanti. Dalla pace in un nuovo mondo, alla costituzione di una società diversa e migliore, dalla semplice vanagloria di essere i primi a farlo, a dimostrare strampalate teorie pseudoscientifiche.
Tutte manifestano una volontà di fuga e tutte dimenticano che, se anche lasciamo il mondo intero, portiamo dietro sempre noi stessi e le nostre miserie.
Vico Quarto Mazzini indaga attraverso piccole scene le ragioni del viaggio. Marte diventa qualsiasi cosa. Quegli africani che cercano di salire sul razzo vanno veramente su Marte? Quella è la destinazione per l’insegnante precario trasferito nella sede più lontana e pulciosa possibile? L’attore che vuole portare i testi Bernhard e fondare un teatro lo vuole fare proprio lassù tra le stelle (suggestiva la sua scena in concerto con la vecchina con la bara sulle spalle)? Marte non diventa simbolo di una fuga dai problemi, dalla paura della morte, della nostra incapacità di risolvere e risolversi, così come immagine di un esilio, volontario o meno, netto e irreversibile?
Cornice a tutte queste storie, il marziano, quello vero, in seduta dallo psicologo, per cercare di capire l’umano e le emozioni che lo spingono. Sembra più che altro che voglia conformarsi ai nuovi invasori, compiacerli, diventare come loro.
Vieni su Marte di Vico Quarto Mazzini è dunque uno spettacolo composto per frammenti di storie. I video intervallano le scene. Le storie dei viaggiatori a loro volte alternate con le sedute psicoanalitiche del marziano con il suo scostante e assurdo analista, scene queste le più deboli, a mio avviso, nell’impalcatura drammaturgica. L’amalgama di tutti questi vettori narrativi non sempre è riuscita, per quanto i singoli frammenti siano ben composti e recitati. L’ironia è sottile ed efficace nel tono generale benché, ripeto, manchi un collante forte a tenere insieme l’incedere drammaturgico.
Un esempio potrebbe proprio essere il finale dove alla scena, suggestiva e poetica, della partenza degli astronauti, segue l’ultima seduta del marziano, ormai quasi completamente umano, che racconta un’ultima storia. Una sorta di doppio finale in cui a una scena forte ed evocativa segue una in minore e non veramente pregnante. Il vuoto e la solitudine presente dentro di sé e che ci accompagna ovunque andiamo era già stata ampiamente evocata e forse risulta ridondante. Ultima immagine le facce dei tanti candidati alla partenza per Marte che forse poteva seguire semplicemente la partenza dei due astronauti in casco da motociclista.
Le scene visivamente sono ben costruite. Nel loro apparire dietro il telo di tulle riescono sempre a sorprenderti, pur nella semplicità della composizione, nel creare un mondo al limite della fantascienza. Quelle scale di ferro diventano rampa di lancio verso un nuovo mondo reale o immaginario che sia.
I video del terreno arido, pieno di copertoni abbandonati, che diventa suolo marziano grazie al filtro rosso donano una certa qual atmosfera da Stalker. Molto riuscito quello che inquadra il vuoto nero all’interno della ruota di gomma, vuoto che diventa lentamente sempre più ampio, abisso che si illumina e fa apparire un mondo retrostante colmo delle nostre ansie di fronte a quell’oscuro che abita dentro di noi.
Vico Quarto Mazzini in questo Vieni su Marte, prodotto insieme a Gli Scarti, presenta un lavoro con molte cose buone (la recitazione, l’ironia, un ottimo studio delle luci, la capacità di rendere con mezzi semplici atmosfere complesse) unite a qualche difetto strutturale, primo fra tutti qualche incertezza drammaturgica sicuramente risolvibile con l’evolversi dello spettacolo.
Vico Quarto Mazzini si rivela comunque una realtà interessante e promettente che come altre realtà simili nel nostro panorama italiano avrebbero bisogno di un vero e più accurato sostegno, sia produttivo che distributivo, per sbocciare come meritano. Come ho detto molte volte rispetto a lavori simili, la differenza tra un buon lavoro e un ottimo lavoro spesso sono i dettagli che si ha la possibilità di curare o emendare quando vi è una solida e sana filiera produttiva e distributiva che manca completamente in questo paese.