Euripides Laskaridis

RELIC di Euripides Laskaridis (GR)

Francia 1896. sulle scene arriva una strana figura a forma di pera, con una sorta di spirale disegnata sul grasso ventre. La testa anch’essa a forma di pera. È vile, dissennato, vizioso, senza vergogna, osceno. Quell’apparizione è destinata a segnare le scene del teatro a venire. La sua presenza è scomoda, perché non ha misura, è fuori da ogni misura. Sgraziata, non bella, piena di tutto ciò che non vorremmo essere, dissacrante, ironica. È Padre Ubu. Il parto della mente patafisica di Alfred Jarry. L’Occidente non è stato più lo stesso da quando Ubu è apparso sulle scene.

Euripides Laskaridis, attore straordinario e artista sublime e intelligentissimo, ha molto di Ubu. Appare sulla scena tra improvvisi lampi di luce in un costume di figura umana sgraziata, eccessiva, con un culo enorme, con un culo in testa come corna, cosce esorbitanti, tacchi alti, viso cancellato dal collant.

Questa figura senza nome né volto attraversa la scena, danza volgare, piscia sulle rovine dove una testa di Alessandro o Apollo funge da WC, fa discorsi vuoti di significato perché sono solo suoni che imitano una lingua, imbastisce uno show osceno fatto di paillettes, luci e fumi, gioca con una palla come il Grande Dittatore ma senza saper bene come e perché. Tutto è osceno, senza misura perché fuori dalla misura, perfino disgustoso. Benché qualche risata attraversi il pubblico la sensazione è che si sia a disagio.

Ma questo spettacolo di Euripides Laskaridis ricorda anche le icone sante di Grecia, dove storie multiple appaiono sparse sulla tavola di legno, tra ori e luci. In questo caso la luce che emana questa parodia di icona è poco scintillante, fatta più di riflessi, cortocircuiti, lampi più che di pura emanazione. Le vicende che emergono sono dissacranti, quasi delle blasfemie. L’osceno ha preso posto sulla scena, la riempie tutta. Non esiste il fuori scena. Ma se tutto è piattamente osceno perché si prova disagio? Dovremmo essere confortati dall’eguaglianza che smussa i picchi, appiattisce le punte, ci rende tutti complici di quest’orgia disgustosa. È che lo specchio non restituisce mai il volto che ci immaginiamo, come una voce registrata che non ci pare mai la nostra. Eppure è così. Siamo parte di un’Europa oscena, che dilania la sua cultura e le sue radici, che si perde in vuoti discorsi senza sostanza né significato, che si perde in vaniloqui e show disgustosi. Siamo corpi sgraziati, senza volto, senza misura, solo ombre che camminano, poveri commedianti che si pavoneggiano e si dimenano per un’ora sulla scena e poi cadono nell’oblio. Siamo la storia raccontata da un’idiota, piena di frastuono e di foga, e che non significa più nulla.

 

 

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ph_miltos_athanasiou

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