Saul

SPODESTIAMO IL RE: IL SAUL DI GIOVANNI ORTOLEVA

Il Saul di Giovanni Ortoleva ci mette a confronto con un conflitto. Non uno combattuto sui campi di battaglia, per quanto sullo sfondo narrativo questi compaiono in lontananza. Quella che si combatte è una guerra tra generazioni, sola “igiene del mondo”. Il vecchio re Saul, benedetto da Dio fino a diventare primo re di Israele, prima si infatua del giovane David, suonatore di cetra, poi geloso del suo successo contro Golia, diventa il suo più acerrimo nemico.

Oggi Saul è re del rock oscurato da David, astro nascente, destinato a adombrare la sua stella. La reazione è la medesima: incapace di scendere a patti con il tempo che passa, contro il fallimento che segue qualsiasi successo, Saul contrasta il nuovo che avanza inabile a sottomettersi al cambio di passo della grazia divina ora posata su novella fronda.

Terzo in questa dicotomia: Gionata, figlio di Saul, figlio negletto, impedito a sorgere dalla figura del padre ingombrante, non libero come David di scegliersi un destino, perché ingabbiato da un destino. Gionata che invano cerca un dialogo col padre, e lo trova con questo fratello aggiunto a forza, ma è infine obbligato a combatterlo dai doveri filiali. Gionata e David, due giovani a rappresentare le due opposte balze della lotta generazionale: la pianta oscurata e soffocata e il virgulto che cresce benedetto dalla luce.

Il Saul di Giovanni Ortoleva, la cui drammaturgia è opera a quattro mani con Riccardo Favaro, è confronto letterario con i modelli: da una parte il testo biblico, dall’altra il Saul di André Gide. Anche tra queste due figure una terza si insinua, più o meno conscia. È Finale di partita di Beckett che in tutta la prima parte risuona costante: Saul infisso in una poltrona, da cui come Oblomov si alzerà a metà dell’opera, è inabile a far niente da sé e volutamente cieco al mondo (non vuole sapere niente di ciò che succede fuori dalla sua camera d’albergo) a far la parte di Hamm. Clov invece è scisso in un doppio: Gionata è il suo servitore e il suo occhio, obbligato a guardar fuori dalla finestra, David, in altra stanza come Clov nella sua cucina, pronto a giungere a ogni chiamata di Saul. Anche il destino di questo novello Clov è bifronte: Gionata non riuscirà a liberarsi, David uscirà dall’ombra molesta del re. Anche Finale di partita è lotta generazionale: i vecchi nell’immondizia, Hamm cieco e immobile sulla poltrona, Clov zoppo e indeciso se fuggire o no. Beckett lascia aperta la questione, Giovanni Ortoleva e Riccardo Favaro mostrano entrambe le possibilità: il successo di David, l’inabissarsi di Gionata.

Altro risuonare beckettiano è la coazione a ripetere. I dialoghi, gli eventi, le azioni. Tutto è ciclico ritorno dell’eguale ma sempre più affrettato. Variante: una velocità di fuga in spirale accelerata.

In scena la regia si dipana in opposizioni spaziali: Saul e Gionata, Saul e David, infine Gionata e David. Gli elementi scenici sono essenziali: una poltrona circondata da ciarpame in accumulo, un lungo tavolo sullo sfondo al centro, una pedana per David.

Indovinata la scelta dei ritmi e dei toni narrativi. La narrazione procede per accelerazioni e rallentamenti che si susseguono e intrecciano, così come dramma e commedia alternano commozione e dissacrazione. Il mito dell’eterna battaglia, dei Crono che ingoiano i propri figli ma vengono da questi sconfitti è visto con cinica ironia: i padri perderanno di sicuro e quanto più tardi se ne renderanno conto tanto più clamorosa e ridicola sarà la loro caduta.

Questo Saul di Giovanni Ortoleva è, volente o nolente, anche opera politica in un paese come il nostro governato da vecchi, in cui la generazione di mezzo, come Gionata, è stata incapace di scrollarsi di dosso il padre. Sta ora ai giovani, a coloro che vengono per ultimi, spodestarli. E lo faranno sicuramente.

Filippo Tommaso Marinetti nel Primo Manifesto Futurista del 1909 recitava: “I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili“. Oggi i trentenni sono arrivati alla ribalta. Speriamo che ci gettino nel pattume, che sappiano vincere Crono e spodestarlo. Se non viene loro dato spazio se lo prendano, ne va del loro e nostro futuro affinché anch’essi non cadano: “fatalmente esausti, diminuiti e calpesti”.

Visto al Teatro I di Milano il 35 novembre 2019