Raccontare questo Incubo di Ersilia Lombardo diventa difficile senza macchiarsi di un dei più gravi peccati di questi giorni: lo spoileraggio! Quindi non resta che giocare a Tabù e, senza nominare le parole proibite, cercare di fare qualche riflessione.
Quentin Tarantino dice che raccontare una storia è innanzitutto spiazzare lo spettatore, far sì che non si aspetti mai il passo successivo del racconto. Quando dopo dieci o quindici minuti capisci già dove si va a parare significa che non l’hai raccontata bene. Incubo di Ersilia Lombardo non possiede questo difetto. L’intreccio è abbastanza ben costruito da avvincere lo spettatore e costringerlo a chiedersi come andrà a finire.
Chi è questa donna che farnetica numeri a casaccio? Perché è finita in questa stanza dove sono presenti solo quaderni e un telefono? Chi è la signora Ende? Il mistero, se in un primo tempo si infittisce, piano piano finisce per diradarsi e la protagonista si domanda: non era meglio non sapere?
Una sola attrice – la brava Chiara Muscato -, e pochi elementi scenici per tessere la trama che si svolge davanti all’occhio dello spettatore. Una semplicità francescana che demanda il compito di tenere in piedi l’edificio narrativo tutto all’antica arte dell’attore, missione che Chiara Muscato assolve pienamente.
Troppe volte si vedono sulle scene attori impreparati, carenti di tecnica di base, oppure intrisi di una recitazione affettata e tradizionale. In Incubo di Ersilia Lombardo grazie alla recitazione viva e brillante di Chiara Muscato si scongiura questo pericolo.
Il ritmo della narrazione ogni tanto si addormenta, rallenta fino a quasi fermarsi, ma immediatamente si riprende conducendo senza troppa fatica la nave in porto. L’uso delle luci è puntuale, segno nella narrazione e non semplice corredo d’atmosfera.
Nessun difetto particolarmente evidente nella confezione di questo spettacolo gradevole e di una giusta pezzatura temporale, eppure nonostante questo mi nasce spontanea una riflessione. Quale la finzione di questa piéce? Mi verrebbe da rispondere semplice intrattenimento. Nessuna particolare urgenza da condividere con il pubblico, nessuna questione politica o sociale, solo il gusto di raccontare una storia.
Questo almeno è quello che sembra a me.
Guardate che non è un cercare un difetto ad ogni costo. Raccontare, condividere storie è una delle funzioni che il teatro ha esplicitato nella sua millenaria storia, per cui niente da dire. Il soggetto se l’avessimo visto in un film americano non ci saremmo mica stupiti. Saw inizia proprio allo stesso modo. La modalità di apparizione degli indizi che lentamente acquisiscono senso in un disegno, la vediamo agire in molte delle serie che più appassionano, e nonostante qualche calo di ritmo in Incubo la tensione rimane alta fino alla conclusione.
Rimane la sensazione che manchi qualcosa, che lo spettacolo dal vivo necessiti di una visione del mondo a corredo. Trovarsi in un qui e ora, in un luogo deputato e condividere un evento è qualcosa di più che raccontare una semplice storia: è costruire pensiero in immagine, e questa immagine ognuno se la porta a casa e la adatta a sé, alla sua vita, alla sua personale visione della realtà. Ma ripeto è una mia sensazione che svolgo in forma di riflessione aperta, quasi una domanda che ultimamente mi trovo a pormi sempre più spesso: quali sono le funzioni delle performing arts o live arts nel contesto socio-culturale in cui ci troviamo ad agire? Raccontare storie può avere ancora quel ruolo che aveva in passato? Cinema e serie TV non lo fanno meglio e in maniera più completa?
Non ho una risposta a queste domande, benché per la mia storia personale sia portato a credere che se una funzione il teatro la debba proprio avere dovrebbe essere quella contenuta nell’etimo delle origini: il luogo da cui si guarda il mondo. In Incubo di Ersilia Lombardo, benché lo abbia gustato e apprezzato, mi manca il mondo, l’apertura verso un orizzonte di pensiero sulla realtà.