La stanza preparata degli Orthographe, preparata come un pianoforte cageano con suoni e luci, è profonda nella terra, nelle suggestive cantine di Villa Torlonia. È una stanza che ricorda quelle evocate da Bruno Schultz: “stanze di cui ci si dimentica. Trascurate per mesi, deperiscono in totale abbandono fra le vecchie mura, e accade che si rinchiudano in se stesse e, perdute per sempre alla nostra memoria, smarriscano a poco a poco la propria esistenza”. In quella profonda e fresca cantina, dove una linea spezzata di laser viola, disegna un percorso tortuoso, mentre una palla di luce evanescente rende le volte mattone ancora più misteriose ed evocative, appare come dal nulla, dal buio che inghiotte i confini della cantina, un uomo che inizia con voce monotona, lenta a raccontare. Il racconto viene dalla raccolta The bells will sound forever di Thomas Ligotti, nichilista e antinatalista convinto, i cui pensieri sono noti ai più nelle tirate di Rusty contro l’essere umano nella prima e fortunata serie True Detective.
E i campanelli risuonano nel paesaggio sonoro, suonano davvero, tanto che pare d’esser per davvero nella casa misteriosa dell’inquietante Signora Pike. Se la voce culla e trasporta come un mantra, il suono raggela e incupisce, quasi stia per avvenire qualche fatto oscuro e illecito, quasi che la malia che promana dalla casa della Signora Pike sia pur presente tra i mattoni e le volte della cantina. E la luce, sapiente, dalla penombra fa emergere figure fino allora non notate, linee di fuga che come lame tagliano lo spazio e disegnano come delle vene pulsanti e frementi. La cantina è viva e partecipa di una natura a dir poco inquieta. E come dal buio è venuta la presenza e la voce, così nel buio ritorna: i campanelli hanno suonato, la storia terribile è stata raccontata.
Orthographe nella regia di Alessandro Panzavolta e con la voce di Massimiliano Rassu, preparano un luogo atto a ricevere il racconto, un luogo che racconta a propria volta, con il suo linguaggio silenzioso, con i suoi scricchiolii, i sospiri dei muri, l’odore di umido, di vecchio e di stantio. E queste voci e questi odori si congiungono con nozze alchemiche ed equivoche con quelle elettroniche, con le luci laser, con i soffusi bagliori in sinfonia con la parola e il racconto. Si vive nella casa della signora Pike, si prova l’inquietudine del signor Kramm, si è immersi nel vecchio solaio e il volto sullo scettro del fool è anche il nostro.
Si emerge da questa esperienza preparata dagli Orthographe con la sensazione di essere in fondo scampati a qualche pericolo, di esser stati testimoni di qualcosa di illecito, e con un sospiro quasi di sollievo si accoglie la calura estiva che si incontra riemergendo da quello strano mondo profondo nascosto in cantina.