daniele ninarello

SPECIALE INTERPLAY: STILL di Daniele Ninarello

Ciò che risulta evidente in Still di Daniele Ninarello, anche a uno sguardo superficiale, profano, persino disattento, è una cifra di rigore implacabile, di studio serissimo, di indagine e ricerca esercitate con feroce disciplina.

La partitura di movimento, da una stasi iniziale, si infittisce in una trama di piccole frasi, a volte minimali, a volte più complesse, che si intrecciano e rimbalzano tra i tre danzatori, giungendo alla massima espansione per poi contrarsi, in maniera inversa, verso un ritorno alla stasi che conclude il percorso. Una partitura di movimento che ricorda quelle musicali di certi lavori di Steve Reich, nell’intrico complicato di ritorni, incroci e intersezioni del fraseggio e del ritmo.

Un viaggio all’interno del movimento, una battaglia costante contro la gravità. Un lavoro rigoroso, quasi scientifico, affrontato con una modalità chirurgica senza indulgere all’emotività. È il linguaggio della danza che viene analizzato nelle sue modalità, nel suo confrontarsi con le forze della fisica e le sue modalità per rapportarsi e/o sfuggire ad esse.

I tre danzatori, Marta Ciappina, Pablo Andres Tapia Leyton e Alessio Scandale, sono esecutori precisissimi, impeccabili e potenti nella loro presenza. Ho usato la parola esecutori perché non vi è interpretazione né rappresentazione, ma esecuzione di movimenti in una partitura complicatissima che richiede disciplina e precisione ineccepibili.

Un lavoro convincente che riflette sulla danza in sé, sul suo linguaggio, che non comunica niente, non rappresenta niente, è solo sé stessa e i suoi principi che si svolgono senza nulla chiedere. L’oggetto è il movimento dal suo sorgere alla sua estinzione attraverso il suo sviluppo, il tutto trattato in maniera oggettiva, distaccata, senza indulgere in manierismi.

Evocativa la scelta musicale che procede di pari passo al movimento, in un accumulo di sonorità fino al climax centrale per ritornare verso il silenzio.

Di tutt’altro tenore il lavoro che segue quello di Ninarello, Striptease del pur talentuoso Pere Faura. Interplay si è aperto con Object del duo Ivgi&Greben, un’opera feroce, violenta, estremamente toccante sullo sguardo, sull’oscenità del guardare soprattutto se riferito al corpo della donna. Uno sguardo rapace, possessivo, che senza vergogna fruga in ogni dove. Anche Castellucci si è spesso interrogato sul guardare, sulla ferocia insita nell’atto, riferendosi all’attore come colui :”che è consunto dallo sguardo ustorio degli astanti e il cui sangue auricolare è corrente, emorragia, libagione al palco”. Striptease vorrebbe parlare di questo, dello sguardo che si aspetta di vedere, del desiderio che innesca di fronte a uno striptease, ma lo fa in maniera sguaiata, sufficiente, in cerca solo della facile risata che conquista il pubblico. Un lavoro arrogante, privo di umiltà, sciatto, a volte quasi insultante. Non ho niente contro l’ironia e l’uso intelligente della leggerezza, il potere dissacrante di tali strumenti, spezza il circolo vizioso del significato che spesso per abitudine attribuiamo alle cose e ai fenomeni, ma devono essere utilizzate con sapienza, non con dissennata approssimazione. Il lavoro di Andrea Costanzo Martini, sempre visto a Interplay, è un esempio lampante.

Il pubblico ha certamente riso molto, ma di questo lavoro si dimenticherà presto, se già non è successo stamattina. Il rigore di Ninarello o la profonda meditazione di Ivgi&Greben agiscono a lungo e rimangono impressi ben oltre il tempo della visione.

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