Uno su seimila. L’unico contro i molti. L’unicità che fronteggia spavalda, seppur un poco intimorita, lo sciame. Il titolo dell’ultimo lavoro di Marco Bianchini è una proporzione e una dichiarazione. I numeri sono impietosi, nella loro algida evidenza manifestano uno stato di fatto: uno contro tutti. L’uno diventa lo zero virgola, si fa piccolissimo pur restando origine del mucchio selvaggio. L’uno è il seme, è l’unità base, è il solitario, è il mago dei tarocchi, il possessore di sé, colui che usa la ragione per piegare gli eventi alla sua volontà, è colui che sa usare il mondo a proprio vantaggio, ma è anche la goccia contrapposta alla vastità del mare, la goccia che rischia di sparire, di essere annullata di fronte all’enormità abissale della moltitudine.
L’uno è Arjuna che fronteggia l’esercito dei suoi fratelli, affiancato sul carro da Krishna, l’auriga che guida i cavalli e rende possibile il pieno possesso di sé.
1:6000 di Marco Bianchini è il racconto surreale ma non troppo di una battaglia, quella di chi, diverso in qualsiasi forma, si trova a ergersi, spesso suo malgrado, contro la massa uniforme dei conformi. Una narrazione che par divagare, che procede tortuosa, a salti e balzi, raccontando frammenti che si ricompongono come un mosaico: un libro fantastico e mai esistito che segna lo spartiacque dell’evoluzione culturale (Le avventure del gattino Cicci), la presentazione del distretto economico dell’Alto Vicentino, un manga giapponese (Il Grande sogno di Maya di Sozue Miuchi), e il racconto autobiografico di un’infanzia e un’adolescenza alla ricerca di strategie di integrazione per difendersi dal bullismo. Questi gli elementi mescolati in un racconto superflat dove alto e basso, reale e immaginario, si intrecciano in un linguaggio ironico e divertente ma mai banale.
1:6000 di Marco Bianchini è un canto della diversità che si adatta alla necessaria ma complicata convivenza con la conformità. Poco importa di che natura sia la diversità, se sessuale, esistenziale, professionale, di colore o di partito, importano le strategie che essa mette in campo, non tanto per adattarsi, ma per sopravvivere, per esistere e sussistere. Con pochi elementi e una verve narrativa stimolante si affrontano i pregiudizi, le sofferenze, le umiliazioni, le lotte dell’uno, di qualsiasi uno, per affrontare i seimila sempre pronti a puntare il dito.
1:6000 di Marco Bianchini si inserisce in un filone di opere che negli ultimi tempi interrogano la scena e la comunità che la frequenta. Da MDLSX di Silvia Calderoni, a Todi is a small town in the center of Italy e Un eschimese in Amazzonia di Livia Ferracchiati, – opere queste decisamente più orientate verso la diversità sessuale, tema presente anche nel lavoro di Bianchini -, la scena si interroga sempre più sulla questione dell’accettazione delle eccezioni, sul loro inserimento nel mondo della conformità con pari diritti e dignità di esistenza. In una civiltà che a torto si crede evoluta, civile e libera ci si dimentica troppo spesso che in fondo siamo animali che ancora applicano, fin dalla più tenera età, la legge del branco. Non saremo mai veramente evoluti se non impareremo ad accettare l’eccezione e la ricchezza che porta con sé. Non potremo mai dirci veramente progrediti se non la smetteremo di contrapporre i molti ai pochi, la massa ai solitari, i conformi ai diversi. La convinzione di essere civili è la più falsa maschera che indossiamo. È ora di toglierla e di affrontare la nostra più grande miseria.
1:6000 di Marco Bianchini apre la tredicesima stagione del Teatro della Caduta di Torino. Un programma variegato e interessante con sei prime regionali e due prime assolute in cui spiccano Peti’ Glasse’ de Gli Omini, Finale di Partita di Teatrino Giullare e Lourdes di Andrea Cosentino. Una programmazione che rimarca, qualora ce ne fosse bisogno, l’affermazione di una realtà sempre più importante e vitale nella vita culturale della città di Torino, e che fin dalle sue origini nel 2003 si è dimostrata luogo aperto e accogliente delle più diverse forme di ricerca scenica.