Nasce come operazione di salvataggio dal macero di una parte della scenografia realizzata da Anna Viebrock per l’allestimento del Tristan und Isolde di Christoph Marthaler, andato in scena per otto anni (dal 2005) al festival di Bayreuth, questo Tristan oder Isolde. Ein pastiche di Anna-Sophie Mahler, giovane regista tedesca di nascita e formazione, ma svizzera di adozione, che di Marthaler è stata assistente alla regia e per sei anni unica responsabile delle riprese. Quello che Anna-Sophie Mahler ci presenta alla Biennale Teatro di Venezia è uno spettacolo che smantella letteralmente l’opera di Wagner (e di conseguenza la regia di Marthaler, diventata ormai un cult, a cui si allude in continuazione, ma senza che ne diventi imprescindibile la conoscenza), decostruendone la struttura narrativa e musicale fino a mandare in pezzi il mito stesso dell’amore romantico.
All’ingresso in sala gli spettatori vengono accolti dagli elementi della scenografia di Bayreuth salvati dalla distruzione e disposti ordinatamente sul palco, allineati come reperti archeologici, mentre un video in loop ne racconta per sequenze il processo di smantellamento. Lo spazio scenico frammentato è già sintesi di quanto accadrà per i successivi 80 minuti: quasi nulla, in fondo, perché la storia non decolla mai (ma non si potrebbe dire lo stesso del Tristano e Isotta wagneriano?), se non fosse che ciò che davvero conta è la struttura di questo “pastiche” che miscela l’opera di Wagner e la sua vita, la regia del Tristano e Isotta di Marthaler e il suo metodo di lavoro, la vita professionale di Anna-Sophie Mahler e la vita di tutti i giorni in un cocktail schizofrenico che ubriaca il pubblico. Tutto rientra in una partitura che sembra uscita da un frullatore lasciato sbadatamente aperto e invece ha la precisione di un orologio svizzero con una meccanica tedesca.
Gli attori cambiano continuamente pelle, spostano e riassemblano gli elementi scenici e ogni mutazione getta i presupposti per quella successiva in un percorso che si sviluppa per associazioni: un flusso di coscienza che rivela una totale dipendenza da sindrome di Stoccolma teatrale; un processo catartico, armato di un raffinato gusto per la parodia, che investe la platea e diventa catarsi collettiva (almeno per un pubblico colto). Le digressioni tecnico musicali sui leitmotiv giocano un ruolo chiave tanto quanto nell’opera di Wagner: è l’accordo di Tristano (o tema del Desiderio che dir si voglia) che apre le danze, così come fa nel preludio del Tristano e Isotta, ed è il Liebestod (tema d’amore-morte) suonato dal vivo su un autentico pianoforte a coda, spinto in scena dallo stesso pianista, a mettere la parola fine a questo viaggio paradossale che si consuma tra i resti della nave (Marthaler ambienta l’intera vicenda sulla nave al cui timone Tristano conduce Isotta da re Marke nel primo atto dell’opera wagneriana) restituiti alla vita dopo il naufragio di Bayreuth, una nave che non è destinata ad attraccare in alcun porto. Sedie a sdraio, pareti, parti del pavimento in parquet, un divano ad angolo sono tessere di un puzzle molto più ampio della scenografia originale, un puzzle che resta volutamente incompleto, irrealizzato e irrealizzabile come l’amore impossibile se non nella morte di Tristano e Isotta.
Anna-Sophie Mahler non si ferma qui, perché il processo di decostruzione investe anche il tema dell’amore romantico in relazione all’oggi. Che influenza può avere nella nostra vita (in cui ogni cosa ha un valore di mercato) una storia d’amore come questa? E’ davvero possibile fondersi in un unico essere, non più uomo né donna? Che funzione ha lo sguardo nell’innamoramento? E, dulcis in fundo, cosa sarebbe successo se Tristano non fosse morto? Probabilmente sarebbe diventato un nuovo re Marke, si risponde la Mahler, a sua volta tradito da un novello Tristano, in un continuo gioco di specchi che ben rappresenta la società odierna. Ce li possiamo immaginare Tristano e Isotta al cinquantesimo anniversario di matrimonio?
Rubens Tedeschi, decano dei critici musicali scomparso nel 2015, definì la musica del Tristano e Isotta come “una sorta di ondeggiamento perpetuo simile al movimento del mare”. È esattamente ciò che fa Anna-Sophie Mahler nel suo Tristan oder Isolde, uno spettacolo in continuo movimento che tra onde e risacca porta verso riva e risucchia ogni cosa.
Nicola Candreva
Ph: Donata Ettlin