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Uovo Festival si interrompe!

Una nuova e  ferale notizia si abbatte sulla fragile cultura italiana: anche Uovo Festival interrompe la sua programmazione. Speriamo che questa sia solo una sospensione, un inciampo nel percorso, perché la sparizione di questo festival, che in tredici anni di vita si era segnalato come un punto di riferimento nelle Live Arts contemporanee in Italia, sarebbe molto grave.

In forma di solidarietà con Uovo festival, a cui auguro di sopravvivere a questo momento buio, ripubblico la recensione e l’intervista a Michele Di Stefano fatta durante la scorsa edizione in occasione della ripresa dello storico spettacolo della compagnia MK E-ink.

E-ink di Mk
e
Sub di MK, Roberta Mosca, Margherita Morgantin, Lorenzo Bianchi Hoesch e Luca Trevisani
con intervista a Michele Di Stefano Leone d’argento alla Biennale Danza 2014

E-ink è uno spettacolo stupefacente. Pensare che ha ormai sedici anni, lo rende ancora più disorientante. Debutta nel 1999 e appare subito come uno dei lavori più innovativi della scena italiana e non solo. Oggi viene ripresentato a Uovo Festival sollecitato dalla sua recente ricostruzione per RIC.Ci Reconstrunction Italian Contemporary Choreography, e questo è un dono al pubblico che non ha potuto assistere, come me, al debutto. Trame sottilissime di gesti, che diventano icone, ideogrammi viventi in perenne formazione/trasformazione/metamorfosi. Proteiche soluzioni e dissoluzioni di gesti, ritmi, figure che disegnano lo spazio con precisione impeccabile. Ma non è un lavoro astratto, è pieno di vita, di forza, di capacità di comunicare anche se non si coglie il senso voluto dagli autori. È un’opera aperta nel senso che libera la mente dello spettatore invogliandolo a cogliere associazioni, a nutrirsi di immagini, a lasciarsi coinvolgere dalla scrittura segniche che i corpi disegnano sul palco. La musica di Paolo Sinigaglia è altrettanto potente, e si lascia tessere con agilità alle forme della danza. È autonoma ma perfetto partner per i due danzatori in scena. Un valore aggiunto.
E-ink è dunque un piccolo gioiello nella recente storia della danza italiana che giustamente viene riproposto. Certe opere è giusto che vengano conosciute dalle giovani generazioni, come è giusto ricordare ciò che di valente è stato fatto. Lo spettacolo oggi ha vita breve, se non brevissimo. Le cose appaiono come meteore e non sempre si è pronti a vederne il volo, seppur luminosissimo, perché le occasioni per osservare corpi celesti sono sempre più rare. Si fa fatica a vedere e a essere visti. Questa riproposta è preziosa perché propone alla memoria e alla conoscenza qualcosa di importante che è giusto tenere presente al fine di creare cose nuove che posseggano il rigore e la maestria di questo piccolo gioiello.
MK come compagnia presenta inoltre un’altra occasione di incontro con la propria attività alla Fondazione Adolfo Pini. Il progetto si chiama Sub ed è una forma di coesistenza performativa di diversi artisti e arti differenti in un contesto urbano decisamente borghese, uno spazio privato sebbene ospitale. In Sub Biagio Caravano, Roberta Mosca, Luca Trevisani e Lorenzo Bianchi condividono un luogo sebbene in spazi diversi. Permettono al pubblico di navigare in uno spazio sperimentando un percorso, farro di segni, di suoni e di corpi danzanti. Di molto impatto emotivo la coreografia di Roberta Mosca. Un danza piena di tensioni, di gesti secchi, di scatti anche violenti, di torsioni innaturali, di ritmi frenetici anche nella staticità sempre convulsa, mai riposante. Un esperimento non nuovissimo ma sempre interessante, perché porta a esperire in modo non passivo la performance. Quando si esplora, bisogna scegliere. Il viaggio costringe al montaggio della visione, dell’esperienza. Per ognuno è diversa, sicuramente più libera perché manca un punto di vista dominante è imposto.

Intervista a Michele Di Stefano
EP: Mi parli dell’origini di questo lavoro? Com’è nato? Quale è stato lo stimolo che ti ha portato a immaginare questa scrittura scenica?
MDS: Il lavoro è nato nel 1999 ed è stato il primo lavoro della compagnia che si è presentato ad un pubblico vasto. In realtà c’erano stati dei tentativi per elaborare dei sistema coreografico preciso e autonomo. E-ink nasce da questo desiderio di inventare un linguaggio. É stato costruito con un ricerca minuziosa dei dettagli corporei che potessero produrre dei sistemi di equilibri dinamici interni diversi da sistemi già preesistenti. Non si fa riferimento a nessun codice si cerca di inventarne uno. É stato un lavoro molto lungo anche se il pezzo dura 12 min. In realtà la costruzione è durata dei mesi e ci sono veri segreti nella composizione, ci sono anche delle vere e proprie tradizioni di frasi ritmiche, delle elaborazioni del rapporto dei due corpi che si intersecano in segni molto precisi. C’è bisogno quindi di un’esattezza e di una precisione molto spietata. Il contrasto è col fatto che il corpo in questo lavoro è immerso in un’energia pulsante che produce spaesamento. Il lavoro nasce proprio dal contrasto con questo desiderio di dettaglio e il desiderio di uscire in maniera sregolata nel corpo, e fa riferimento a un’immagine quella degli oracoli antichi, delle Pizie, delle Sibille che vaticinavano possedute dagli effetti di sostanze psicotrope, e in realtà quando producevano il vaticinio esso appariva metricamente esatto. Un contrasto quindi tra un bisogno di esattezza formale e un desiderio di perdita di controllo.
Ed è un lavoro che quando ha avuto il suo incontro con il pubblico ha scoperto la sua vena comica, per altro non voluta. È stata una sorpresa anche per noi. É una coreografia che ha lanciato il gruppo. È stato un lavoro seminale e ha avuto la fortuna di girare tanto. Ultimamente Marinella Guatterini con il progetto RIC.Ci Reconstrunction Italian Contemporary Choreography ci ha proposto di ricostruire il lavoro e io e Biagio Caravano abbiamo riscoperto nel corpo la stessa esattezza di allora che è riaffiorata in maniera naturalissima. Così abbiamo deciso che era il caso di riproporla almeno una volta. Il caso poi ha voluto che questo avvenisse nello stesso teatro (Il Franco Parenti Ndr.) dove avvenne il debutto, quindi con la stessa carica emotiva. Non ci interessa veramente un ritorno al passato perché non siamo veramente interessati a creare un repertorio, però era interessante riproporre il lavoro e farlo conoscere alle nuove generazioni.

EP: Adesso su cosa state lavorando? Quali sono i progetti che vi intrigano attualmente?
MDS: Adesso abbiamo deciso di lavorare su sistemi performativi che sono fuori dai teatri. È il caso di questa performance che facciamo qui a Milano (Sub I, II, III tenuta sempre in occasione di Uovo alla Fondazione Adolfo Pini ndr.) e del lavoro che faremo a Bologna alla prossima Live Arts Week. Sono lavori che di fatto sono una collezione di lavori di artisti differenti che rientrano in un discorso più ampio che formerà il film che sta girando Luca Trevisani. Ci muoviamo in un territorio molto ampio in cui ci sono delle emersioni performative, non dei veri e propri spettacoli, anche se poi la compagnia tirerà le somme di tutti questo periodo più informale per produrre una coreografia che debutterà qua a Milano al teatro dell’Elfo in ottobre.

EP: Ti pongo ora, come ultima domanda, una questione che ho sottoposto anche ad altri artisti presenti a Uovo: alcune pratiche performative tendono a riformulare, a ridefinire il rapporto tradizionale con il pubblico, a sovvertire la dinamica io agisco/tu osservi, affinché il pubblico possa fare esperienza dell’opera in maniera altra rispetto alle consuetudini. Tu pensi che si utile porre in questione questo rapporto?
MDS: É interessante. In ambito prettamente coreografico, che è il mio specifico, è interessante riuscire a creare una prossimità molto forte che non sia soltanto estetica, nel senso che il corpo, la qualità dello stare e dello stato, si riflette anche nello sguardo del danzatore nei confronti di chi lo guarda. È un oggetto molto interessante. Non a caso questa performance di Roberta Mosca è costruita su un tappeto con il pubblico seduto tutto intorno in un’estrema chiarezza di contatto, di sguardo nello sguardo. Questo tipo di intenzione prossemica mi interessa molto. Non mi interessa portare il pubblico in maniera didattica verso un nuovo modo di fruire. Il pubblico sa come fruire, sa benissimo che desideri vuole. A me interessa dargli delle possibilità. Delle possibilità di stare e di attraversare dei posti, di avvicinarsi molto al performer o di guardarlo da molto lontano. Quello che cerco è un tipo di fruizione più immersivo. Non a caso il lavoro che presentiamo qui alla Fondazione Pini, si chiama appunto Sub a richiamare una possibilità più immersiva. Il teatro, la danza, la performance si compie nell’appuntamento con il pubblico, quello è l’unico oggetto che abbiamo in comune: la durata, il tempo che stabiliamo per stare insieme. Trovare delle forme di arrotondamento dei reciproci desideri del pubblico e del performer è un’indagine molto interessante. Il tipo di spettacolarità creata e pensata fuori dai teatri pone immediatamente la questione del come, dove e cosa fare, ti porta a pensare a come fruire e far fruire la cosa. Troveremo delle risposte possibilmente a queste domande, spero.