Archivi tag: Lina Majdalanie

so little time

SO LITTLE TIME di Rabin Mroué

La storia di Dib al Asmar è incredibile e surreale. Eppur vera. Lina Majdalanie la racconta in So little time con grazia e precisione, senza aggiungere orpelli, elencando i fatti in tutta la loro stupefacente evoluzione.

Siamo nel 1968 quando avviene il primo scambio di prigionieri tra Libano e Israele, tra questi anche il corpo del giovane studente Dib al Asmar morto in combattimento mentre cercava di infiltrarsi. La stampa, il popolo di ogni confessione religiosa, la nazione tutta inneggiò a Dib al Asmar, viene perfino eretta una statua a sua memoria, e intitolata una piazza. La famiglia orgogliosa raccoglie tutti i ritagli stampa nel ricordo del giovane figlio. Ma avviene un fatto incredibile. Dopo qualche tempo, in un secondo scambio di prigionieri ecco che torna Dib al Asmar: vivo! Ma come? E adesso? Dib al Asmar si scopre primo martire vivente, orgoglioso del suo primato visita la sua statua, ma insiste che si scriva sulla lapide: martire vivente. Incontra Arafat, viene ricevuto dalle più alte cariche. Ma comincia a domandarsi: devo tornare a combattere? Ora che sono martire, non devo completare quanto ho cominciato? E soprattutto: chi è che è sepolto nella mia bara?

E così si riesuma il cadavere, che nessuno vuole e così per far dispetto a Israele viene sepolto nel cimitero ebraico. I tempi però cambiano. Scoppia la guerra civile in Libano e la statua viene fatta saltare. Dib al Asmar la fa restaurare a sue spese, la porta all’università che la usa come modello per le lezioni di scultura. Dib al Asmar prende le copie fatte dagli studenti e le distribuisce per Beirut. Viene multato e incarcerato. Da eroe a delinquente.

Ma aver perso la sua identità e l’immagine eretta a sua memoria gli fanno perdere la ragione: Dib al Asmar diventa statua di se stesso, va in giro per la città, si dipinge di bianco e si mette in posa. Ma i tempi cambiano ancora, e con essi la personalità di Dib al Asmar e il suo rapporto con l’immagine e la statua. Si sposa, si affilia a Hezbollah, va a combattere in Siria dove difende le statue del padre di Assad quando incomincia la guerra civile, viene preso per una spia sionista, sparisce dopo un bombardamento dell’Isis. La storia di Dib al Asmar è piena di colpi di scena, incredibile nel suo sviluppo, una storia che racchiude tutte le contraddizioni e i conflitti del Medio Oriente.

Lina Majdalanie la racconta in arabo e francese, con pacata ironia e storica precisione. Non aggiunge niente, si limita a dire e raccontare i fatti. E la sua narrazione si intreccia a una serie di semplici azioni: inserire sue vecchie fotografie in una vasca di acidi dove le immagini sbiadiscono poco a poco fino a scomparire del tuttp; appendere le immagini a uno stendino; riflettere la propria immagine su questo mosaico di fotografie sbiancate; scomparire nel buio. É così che ogni storia nasce e scompare, le immagini nella memoria e nella realtà sbiadiscono, assumono altri significati, infine vengono dimenticate, spariscono nel buio lasciando spazio ad altre storie.

So little time è costituito da un semplice processo che si affianca alla narrazione, e le due procedure si intrecciano come trama e ordito di un disegno. Entrambe sono precise, semplice esecuzione, semplice narrazione. Non c’è indulgenza verso la rappresentazione, quello che interessa è quanto la storia di Dib al Asmar racconti del mondo e non solo del Medio Oriente, quanto la sua immagine diventi storia delle immagini, diventi parte di un processo che riguarda tutti: ogni storia, ogni racconto si modifica nostro malgrado fino a svanire nel nulla per quanto la nostra fama possa essere o divenire fulgida.

So little time è una delicata ma esigente azione filosofica, che pone domande sul mondo e su di noi, e lo fa senza l’arroganza di fornire risposte pret-a-porter.