Chi è Riccardo? Al calar delle luci di sala, Roses di Nathalie Bèasse conduce subito là dove vuole, in quel luogo fisico che è la scena dove la sospensione del tempo e dello spazio si attuano attraverso una delicatezza di immagine che cela il duro lavoro dell’attore nel controllo del proprio corpo. Una ouverture che già mette in campo uno degli aspetti che ritengo più rilevanti del teatro della Bèasse: la leggerezza. E’ una leggerezza che non toglie nulla alla gravità, la sfida solo nella percezione dello spettatore: è una leggerezza riconquistata, come un mare in tempesta che si placa dopo aver travolto ogni cosa quando inizia a restituire, uno alla volta, i frutti della distruzione.
Una manciata di minuti in cui si fa vuoto, ed è un vuoto che già parla, e le luci di sala si riaccendono. Un grande tavolo, un enorme drappo di velluto grigio, calici di vino rosso, sedie, bauli di costumi e di attrezzeria scenica e luci da set fotografico sono gli elementi a vista. Si gioca a carte scoperte, come dire. Tutto ciò che serve a comporre e a scomporre la scena è a portata di mano. Mettere a nudo il teatro è togliere ossigeno alla rappresentazione, chiuderla con tutti i suoi alibi fuori dalla porta.
Gli attori, mescolati tra il pubblico, raggiungono il palco e si scambiano un brindisi di benvenuto. Un incontro familiare che segna il vero punto di inizio, che ci riporta in quella dimensione della quotidianità che è campo di indagine privilegiato di Nathalie Bèasse. Qui non si rappresenta il Riccardo III di Shakespeare, qui si indaga la natura umana, qui ci facciamo delle domande su noi stessi.
Roses di Nathalie Bèasse, il cui titolo si rifà evidentemente alla sanguinosa lotta dinastica della Guerra delle Due Rose tra la casa degli York e quella dei Lancaster per la corona d’Inghilterra, substrato storico nel quale Shakespeare pianta radici per dare alla luce il suo Riccardo III (riprendendo del personaggio storico poco più del nome), è un tiro alla fune tra leggerezza e forza di gravità, tra il gioco del teatro e quello della vita, in un continuo scambio di ruoli tra i bravissimi attori, indomiti nel loro frenetico cambiar pelle attraverso continui cambi costume a vista.
Non c’è un Riccardo III, ce ne sono quattro che in momenti diversi dello spettacolo rispondono alla domanda: “Chi è Riccardo?” E ogni volta questa domanda ci riporta alla realtà, spezzando con ironia l’inganno della scena (che ci vede spettatori senza alcun ruolo attivo) e riportandoci al tavolo della discussione: la ricerca sul personaggio, attraverso l’analisi del testo e il lavoro dell’attore, si è tramutata in ricerca del personaggio, con uno slittamento di senso carico di ironia. Ed è la natura critica e autoironica di questo fare teatro che continua a svelarsi, ad autodenunciare se stesso, che conquista forse di più nel lavoro di Nathalie Bèasse. La capacità di passare con leggerezza, senza forzature, da un’azione scenica di rara poesia al dibattito, trascinando l’attenzione dello spettatore, attaverso il frammentato racconto del trionfo e della caduta di Riccardo III, fino alla follia dell’interrogatorio nel totale sdoppiamento fisico tra Riccardo e la propria coscienza.
In continua mutazione, la scena prende forme curate in ogni dettaglio, dall’aspetto scenografico a quello coreografico, alla musica e alle luci, il cui impianto delicato resistuisce un’atmosfera da sala prove quasi sempre presente, a ricordarci dove siamo.
Secondo appuntamento dei quattro dedicati dalla Biennale Teatro alla regista francese, Roses di Nathalie Bèasse al Teatro alle Tese dell’Arsenale di Venezia è un gioiello di 80 minuti in cui nulla è fuori posto.
Nicola Candreva
Ph: © Wilfried Thierry